Titolo: Il Cancello Oscuro
Autore: Taila
Serie: Original – Fantasy
Genere: Drammatico, triste, romantico, erotico, fantasy
Tipo: Slash, azione, non per stomaci delicati, lemon
Raiting: Rosso
Disclaimers: I personaggi presenti in questa fic sono tutti maggiorenni. Qualsiasi riferimento a fatti, persone o cose realmente esistenti è puramente casuale, questo racconto è frutto della solo della mia fantasia.
Note: Avevo già scritto il primo capitolo di questa fic un po’ di tempo fa, ma l’ho cancellato e ora, dopo averlo modificato e corretto, ho deciso di proporlo. Il motivo di questa scelta sta nel fatto che non riesco a scrivere le het. Ci ho provato, ma sono una slasher e una yaoista convita e con le coppie eterosessuali non vado propriamente d’accordo. Così ho ritirato la fic dal sito e l’ho modificata in una slash ^^ Purtroppo il mio cervello funziona in un solo senso. Con questa slash tratto dei temi un po’ forti – diciamo così – e spero quindi di non offendere la sensibilità di chi legge, nel caso accada mi scuso anticipatamente ^.^
Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che hanno letto l’altra versione. Ringrazio chiunque leggerà e commenterà questa.
Adesso la smetto e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \^0^/Il Cancello Oscuro
Capitolo I: Il cowboyIl sole, che stava tramontando oltre la linea appuntita delle montagne all’orizzonte, inondava il cielo con la sua luce insanguinata, il deserto era un sterminato e scintillante mare di oro liquido. Sey Pears aveva camminato per tutto il giorno e ora era stanco, i vestiti che indossava erano consunti e impolverati. Alzò un po’ la tesa del cappello da davanti gli occhi e vide che, ai piedi della collina su cui si trovava, sorgeva un piccolo villaggio. Per la prima volta negli ultimi giorni sentì la speranza rinascere dentro di lui. Il suo cavallo era morto alcune settimane prima e i suoi viveri erano terminati due giorni prima: nonostante il suo fisico fosse molto resistente e abituato alle condizioni più estreme, era ormai giunto al limite delle forze. Si aggiustò la sacca quasi vuota sulle spalle e iniziò a scendere il fianco della collina.
Arrivò al villaggio che era ormai sera inoltrata. Gli uomini stavano tornando a casa dopo una dura giornata trascorsa a cercare di dissodare e rendere produttiva quella terra arida, mentre le donne stavano preparando la cena dopo essere state a pregare al Tempio. Sey Pears si deterse il sudore dalla fronte con il dorso della mano e, a passi strascicati e pesanti, raggiunse l’unico saloon di quel posto. Era stato costruito sull’angolo del crocevia che intersecava le uniche due strade del villaggio e per questo si trovava in una posizione strategica. Sey Pears si fermò sotto il portico del saloon e annusò l’aria, percependo un forte odore di whisky e tabacco. Entrò e si guardò intorno. Il locale era modesto e costruito su due piani: al piano superiore si trovavano le camere, mentre quello inferiore era ingombro di tavoli sparsi confusamente in tutto l’ambiente, attorno ai quali stavano giocando accanitamente alcuni uomini. In fondo alla sala era stato collocato il bancone, dietro il quale si affaccendava un uomo di spalle.
Attraversando una spessa nuvola di tabacco, Sey Pears si sedette al bancone, appoggiando la sacca sullo sgabello accanto a sé e sorrise notando, attraverso lo specchio che ricopriva la parete di fronte, un fucile nascosto sotto il bancone.
- È possibile mangiare qualcosa?- domandò.
L’uomo dietro il bancone si volse verso di lui e lo scrutò attentamente cercando di capire a quale categoria d’uomo potesse appartenere e se rappresentasse un pericolo per loro.
- Tutto è possibile se si ha la grana.- rispose guardingo.
Sey Pears frugò fra le pieghe polverose del suo spolverino e ne tirò fuori un obolo d’oro del Governatorato di Fals.
- Basta questo?- chiese all’altro uomo mentre gli porgeva la moneta.
Questi l’agguantò incredulo di tanta fortuna e sparì dietro una porticina laterale. Tornò pochi minuti dopo con un vassoio che conteneva uova fritte, della carne bruciacchiata e un boccale di birra chiara e fresca. In un piattino c’era il resto delle monete, nel metterle in tasca Sey Pears si rese conto che l’uomo aveva trattenuto qualcosa per sé, ma era troppo stanco e affamato per protestare.
- Ehi straniero, come ti chiami?- gli domandò l’uomo che non aveva perso d’occhio nemmeno uno dei suoi movimenti.
- Mi chiamo Sey Pears – inghiottì un pezzo di carne quasi senza masticarlo – E tu, invece, un nome ce l’hai?- gli chiese di rimando.
- Mi chiamo Hall Durden e sono il proprietario di questo posto, il
Falco.- rispose impettito.
Sey Pears terminò la sua cena e chiese una stanza e Hall Durden prese un mazzo di chiavi arrugginito da sotto il bancone.
- A noi non piacciono i problemi, se sei un fuorilegge sparisci prima del sorgere del sole.- gli intimò porgendogliele e adocchiando il calcio della pistola che spuntava tra le pieghe dello spolverino dello straniero.
Un sorriso enigmatico schiuse le labbra di Sey Pears a quelle parole.
- Non si preoccupi Mr. Durden, non le causerò nessuna noia!- gli sorrise e prese il mazzo di chiavi.
Si alzò e lentamente salì le scale, si guardò intorno cercando il numero della sua stanza e quando la trovò sospirò sollevato. Inserì la chiave nella toppa della porta e, mentre la ruotava, un rumore attirò la sua attenzione. Si volse incuriosito e vide un uomo enorme, con una cicatrice che gli tagliava metà faccia e un occhio, uscire da una delle stanze alla sua sinistra, mentre si riabbottonava i pantaloni sui quali ricadeva una disgustosa pancia flaccida. Ruttò e tirò con malgarbo un ragazzo tremante da dentro la stanza, con gli abiti stropicciati e in disordine. Afferrandolo per i capelli lo costrinse a sollevare il volto verso il suo e la baciò rudemente. Dopo lo scostò da sé con uno spintone e si allontanò con un’espressione soddisfatta ben stampata in viso.
Sey Pears vide il corpo magro del ragazzino scivolare a terra e rannicchiarsi contro il muro alle sue spalle, il corpo scosso violentemente dai singhiozzi che non riusciva a trattenere. Comprendendo cosa gli avesse fatto quell’uomo, corse da lui per aiutarlo: era coperto di lividi, sia vecchi che recenti, da graffi e morsi che sanguinavano ancora. Sey Pears allungò una mano per toccarlo, ma il ragazzo si ritrasse spaventato, raggomitolandosi ancora di più su se stesso, come se volesse entrare dentro il muro dietro di lui. Dentro di sé, Sey Pears imprecò violentemente contro quell’uomo che aveva osato ridurre quel moccioso dall’aspetto così fragile in quello stato. Odiava profondamente chi usava la propria forza per sottomettere le persone più deboli, per questo aveva fatto dell’aiutare gli altri lo scopo della sua vita.
- Non avere paura, non voglio farti nulla. Voglio solo dare un’occhiata alle tue ferite.- gli spiegò cercando di essere il più rassicurante possibile.
Sentendo quel tono di voce gentile e dolce, il ragazzo si voltò guardingo, sollevando la testa verso di lui quel tanto che bastasse per guardarlo in viso e Sey Pears credette davvero che il cuore gli si fosse bloccato nel petto per la sorpresa: gli assomigliava! Quel ragazzino era identico a
lui. Per un lungo, perfetto istante fu come se fosse stato catapultato indietro nel tempo, a quei giorni felici in cui
lui era ancora vivo e risplendeva della sua fulgida bellezza.
- Come ti chiami?- gli chiese piano, come se temesse la sua risposta.
- A… Adam…- gli rispose il ragazzo con una voce roca e calda, che fece tremare qualcosa dentro il petto del cowboy.
Sey Pears lo guardò ancora un attimo, poi, cercando di evitare gesti bruschi che potessero spaventarlo, gli prese delicatamente la caviglia nella mano destra e gli sollevò la gamba.
- Perché lo fai?- gli chiese il cowboy dopo una lunga pausa di silenzio, mentre gli esaminava le ferite.
Adam si morse il labbro inferiore, indeciso se potesse o no fidarsi di quello straniero. Lo scrutò in volto sperando di trovare qualsiasi cosa potesse aiutarlo a prendere una decisione. Era incredibilmente bello. Non riusciva a credere che potessero esistere uomini così affascinanti. I suoi capelli biondi, appena arruffati dal lungo viaggio, incorniciavano un viso perfetto, dalla pelle chiara e liscia, caratterizzato da labbra piene e dal tratto orizzontale. Ma la cosa più stupefacente erano gli occhi: iridi di un azzurro intenso e puro come acqua di fiume, gli stavano rivolgendo uno sguardo caldo, gentile e sinceramente preoccupato. I suoi tocchi su di lui poi erano delicati e rispettosi, come se non volesse spaventarlo o fargli del male, ed era la prima volta che qualcuno lo trattava con un simile riguardo. Di solito gli altri prendevano da lui tutto, strappandoglielo senza alcun riguardo, come se fosse stato solo un oggetto da usare e gettare via.
- Quell’uomo è Urro ed è un fuorilegge temuto da tutti, anche dallo sceriffo. Io e papà non siamo ricchi e non possiamo pagare la sua
protezione. Così lui ha preteso di essere rimunerato in natura. – e un sorriso amaro gli piegò le labbra – Ogni volta che ne ha voglia mi trascina in una camera libera e…- la voce gli morì in gola, mentre le lacrime stavano ricominciando a rigargli le guance.
Sey Pears gli mise due dita sotto il mento e gli sollevò il viso verso il suo, lo guardò con le sue iridi celesti incredibilmente gentili. Perché quello sguardo su di lui era così incredibilmente caldo e gentile? Adam, che non era abituato a essere oggetto di simili attenzioni, avvertì un’ondata di calore risalirgli il corpo fino al volto e concentrarsi nelle sue guance.
- Basta così, Adam. – la sua voce era calda e dolce, mentre gli asciugava le lacrime con gesti delicati, che sembravano voler accarezzare direttamente la sua anima ferita – Non dire più nulla. Adesso vai in camera tua e chiuditi a chiave. Riempi una tinozza di acqua calda e diluiscici dentro questa – e gli porse una bustina contente una polvere rossa – E’ radice di oleandro spinoso, ha proprietà antibiotiche e antisettiche. Resta immerso il più possibile e non uscire per nessun motivo, va bene?- e gli mise la bustina fra le mani.
Un lampo metallico attraversò l’azzurro dello sguardo del cowboy e Adam comprese all’istante cosa volesse fare. Qualcosa dentro di lui tremò di terrore al solo pensiero che l’altro volesse affrontare Urro: non voleva che quell’uomo così gentile venisse ucciso per causa sua.
- Non lo faccia! Urro la ucciderà!- urlò aggrappandosi disperatamente al suo braccio, tentando di fermarlo.
Sey Pears lo guardò sorpreso dalla sua reazione, poi la sua espressione si addolcì nuovamente, rendendolo di una bellezza quasi dolorosa.
- Fai come ti ho detto e non preoccuparti di nulla.- gli ripeté tranquillamente, mentre si liberava con ferma gentilezza della sua stretta.
Al ragazzo non rimase altro da fare che osservare la sua schiena che si allontanava, mentre scendeva le scale per ritornare al piano inferiore.
- Mr. Pears ha cambiato idea?- gli chiese curioso Hall Durden, vedendolo.
Sey Pears non gli rispose, ma si diresse direttamente verso il tavolo a cui Urro era seduto intento a bere e gli si sedette di fronte. Sul volto ben stampata un’espressione tranquilla, che lo rendeva molto più inquietante.
- Quel moccioso è solo per te?- gli chiese in tono piatto.
Il fuorilegge lo scrutò malevolo con il suo occhio buono, mentre ingollava rumorosamente un lungo sorso di birra.
- Quella puttana è solo per me, per il grande Urro!- gli ringhiò contro, sbattendo il boccale sul tavolo come a voler sottolineare il concetto.
- Se la cava bene?- indagò ancora Sey Pears.
- All’inizio fa un po’ di storie, non vuole stare fermo e per questo devo convincerlo, ma poi devi vedere come si muove sotto di me!- e un ghigno osceno gli deformò le labbra.
Un velo rosso calò davanti agli occhi di Sey Pears, mentre la rabbia montava sempre di più dentro di lui. Ancora dopo tutto quel tempo non riusciva a capire come certi uomini potessero considerare gli altri degli oggetti da usare e rivoltare a piacimento, senza alcuna accortezza, e poi gettare via. E quel pensiero gli portò alla mente
lui.
Lui bellissimo e triste, umiliato nel corpo e nello spirito.
- E se non gli piacesse quello che gli fai?- e la sua voce sfumò in un ringhio feroce.
Urro si fermò, con il boccale sollevato davanti le labbra, a guardare quello straniero che se ne stava seduto davanti a lui, con la testa china in avanti e il volto pericolosamente coperto dalla frangetta bionda.
- Vorresti combattere contro di me per il suo onore? – scoppiò in una risata untuosa – Non pensarci nemmeno: non vale la pena morire per uno come quello.- e sbatté il boccale sul ripiano del tavolo, come se con quel gesto volesse chiudere la discussione.
La rabbia crebbe in Sey Pears fino a raggiungere il punto di rottura, poi tutto divenne rosso e ogni cosa venne divorata del ruggito del sangue nelle orecchie. Il tutto si svolse così rapidamente, che Urro comprese quello che era accaduto solo alla fine: il cowboy era scattato in piedi e lo aveva afferrato per il bavero della camicia, sollevandolo di peso e scaraventandolo sul tavolo, che si era spaccato a metà sotto il suo peso. Sey Pears gli sferrò un rapido pugno nello stomaco che gli ruppe due costole, poi iniziò a percuoterlo al volto con una ferocia tale che ogni colpo tirava via brandelli sanguinolenti di pelle.
Il fuorilegge urlava di dolore, paura e sorpresa, scalciava e si dibatteva con tutte le sue forze, ma non riusciva a liberarsi dalla ferrea presa del suo aggressore. Attorno a loro c’era solo il silenzio attento di chi assiste finalmente a un evento che si era desiderato per molto tempo e che si aveva perso la speranza di poter vedere.
- Smettila, ti prego!- implorò Urro.
- Nemmeno per sogno. Quante volte quel ragazzo ti ha implorato di smettere, ma tu hai fatto finta di non sentire, continuando a fargli del male? – gli sferrò l’ennesimo pugno che gli fracassò un altro osso – Rispondi bastardo!- gli ordinò rabbioso.
- N… non… non… lo so…- cercò di replicare Urro, con la bocca fracassata nella quale si mischiavano saliva e sangue.
Sey Pears emise un verso infastidito, prima che il suo volto iniziasse a mutare. Urro spalancò gli occhi terrorizzato, non riuscendo a capire se ciò che stava vedendo fosse reale o solo un’illusione frutto della sua mente accecata dal dolore. L’azzurro delle iridi del cowboy venne rapidamente divorato da un feroce rosso sangue e le labbra morbide e rosee si trasformarono in mostruose fauci schiuse su di una chiostra di denti affilatissimi. Sulla sua fronte un segno simile a un drago iniziò a brillare di una fredda luce azzurrina. Urro a quella vista urlò ancora più forte.
Con un movimento fulmineo, Sey Pears si sfilò il pugnale dalla cintura e lo piantò nel fianco del fuorilegge, poi il simbolo sulla sua fronte iniziò a brillare più intensamente, schiuse le fauci e succhiò qualcosa dalla bocca di Urro, spalancata in un grido atterrito.
Quando Sey Pears si rimise dritto e si voltò, i lineamenti del suo volto erano tornati normali, perfetti come se fossero stati levigati nel marmo da un abile scultore, come se non fosse accaduto nulla. A passi pesanti si incamminò verso le scale, desiderando solo poter dormire per una notte intera, ma Hall Durden lo bloccò e gli offrì un boccale di birra.
- Grazie. Prima di te nessuno aveva osato sfidare Urro. Noi valiamo meno di niente, possiamo vivere finché facciamo divertire uomini come lui… e io ho dovuto sacrificare mio figlio…- e abbassò il capo, schiacciato dal senso di colpa e dalla vergogna verso se stesso.
- Non mi devi spiegazioni né ringraziamenti. La tua birra è la migliore che abbia bevuto.- vuotò il boccale tutto d’un fiato e poi si congedò.
Una notte senza luna né stelle. Ombre che scivolano silenziose fra le ombre. Pioggia gelida, che scende scrosciante sulle rocce acuminate, che si insinua fin dentro le ossa.
Una risata riempie l’aria. Un lungo mantello ricamato d’oro con simboli arcani. Lo scettro del clan Walsh stretto in pugno.
Un lampo che illumina a giorno la notte, strappando bagliori argentei alle rocce nere lucide di pioggia. Un tuono che scuote il cielo e la terra, seguito dal grido straziante di un uomo. Gli otto Re ascoltano e fremono di rabbia nel riconoscere in quell’urlo la voce del principe. Entrano nel castello del clan Walsh, più oscuro e tetro della notte stessa, e perquisiscono una stanza, poi due stanze, poi dieci, senza trovare nulla. Uno dei Re avverte Rem Nye che in fondo al corridoio ci sono delle scale che portano verso il basso, ai sotterranei probabilmente. Scendono un gradino dopo l’altro, meravigliandosi che non ci sia nessuna guardia a fermarli. Quando capiscono il perché, il loro urlo nero scuote il castello fin nelle fondamenta. Il Cancello ha già ottenuto dal principe ciò che voleva. Il suo corpo nudo e martoriato pende al centro della cella da un gancio, le frustate gli hanno strappato via quasi tutta la pelle e un enorme squarcio si apre nero e lucido sul suo ventre. Nonostante tutto però Rem Nye dietro tutto quel sangue riesce a riconoscere la delicata bellezza del suo principe.
Gentilmente gli otto Re lo liberano dal gancio e il suo corpo cade in avanti, inarticolato come quello di una bambola di stoffa.Sey Pears si svegliò di soprassalto, completamente sudato. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva sognato quel maledetto giorno, forse era accaduto perché aveva nuovamente usato i suoi poteri contro quel fuorilegge da due soldi. Ora detestava i suoi poteri e cercava di usarli il meno possibile, ma c’era stato un tempo in cui era stato fiero di possederli, di essere un Prescelto. Un periodo in un cui aveva vissuto solo per difendere loro e quella terra bellissima di cui rammentava ogni valle e ogni altura, ogni colore e ogni profumo.
Scosse la testa infastidito dai suoi stessi pensieri: quel tempo era terminato da molto, ormai tutto era andato irrimediabilmente perduto. Aveva perso tutto ciò che possedeva, tutte le persone che amava erano morte e il Cancello lo stava braccando. Perché quel dannato manufatto era finito in mano sua? Lui non era un re, era solo un servo, perché lui glielo aveva affidato?
La stanza in cui alloggiava era piccola e afosa, sentendosi soffocare Sey Pears si avvicinò alla finestra e la aprì, lasciando entrare l’aria fresca della notte. Socchiuse gli occhi e il buio della sua mente fu invaso dal ricordo di morbidi capelli neri, di occhi verde veleno e di un sorriso seducente.
“Per il tuo amore sto mettendo in gioco tutto me stesso. Se ci scoprissero rimpiangeremmo di non essere morti subito, ma… questa notte non scacciarmi, ti prego!”.
Sey Pears riaprì gli occhi di scatto e si asciugò la fronte imperlata di sudore con il dorso della mano. Gli mancava terribilmente, così tanto che a volte gli sembrava di impazzire. Il dolore per la sua morte e il senso di colpa per non essere riuscito a salvarla lo stavano rodendo implacabili dall’interno.
-
Cedric.- fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Sey Pears stava facendo colazione al bancone del saloon, quando Adam gli si avvicinò.
- Ha dormito bene, Mr. Pears?- gli chiese intimidito, con un piccolo sorriso sulle labbra.
- Benissimo.-gli rispose il cowboy, ricambiando il sorriso e facendolo arrossire.
Il ragazzo lo osservò incantato: era difficile credere che al mondo potessero esistere uomini così belli, per un attimo si chiese se non stesse sognando. Sorpreso dai suoi stessi pensieri, Adam distolse lo sguardo da lui e prese la caraffa versandogli un’altra tazza di caffè.
- Si fermerà qui per un po’?- domandò ancora, sperando che la sua voce risultasse abbastanza ferma e distaccata.
Sey Pears afferrò la tazza per il manico e la portò alle labbra.
- Dipende…- rispose in un tono strano, prima di inghiottire un sorso di caffè.
Adam stava per chiedergli spiegazioni, ma suo padre lo chiamò ordinandogli di servire a uno dei tavoli. La ragazza si scusò con lui e si allontanò. Il cowboy lo osservò per un po’ muoversi per il locale, reggendo in perfetto equilibrio i vassoi. Erano davvero identici. Ogni volta che osservava qui grandi occhi verdi, sentiva il suo cuore contarsi in una morsa dolorosa. A volte gli sembrava che fosse tornato indietro dal mondo dei morti per lui e per quell’amore a cui avevano dovuto rinunciare troppo presto.
“Devo smetterla di correre dietro al passato: lui è morto e non tornerà mai più da me!” si rimproverò irritato.
Tornò a mangiare ma quando incrociò il suo riflesso sul caffè che stava bevendo, non poté impedirsi di pensare a Cedric.
La prima volta che l’hai visto era seduto su una delle panche di pietra del giardino del palazzo reale, intento a leggere un grosso libro. La sua espressione concentrata ma serena addolciva i tratti del suo volto, rendendo la sua bellezza quasi dolorosa. La luce del sole alle sue spalle investiva completamente la sua figura, ricoprendola di un’impalpabile polvere d’oro. Te ne sei innamorato a prima vista.
La sua immagine sembra essere stata impressa a fuoco nella tua mente e nel tuo cuore, acuendo quella sensazione di agitazione febbrile che questa notte pare scorrerti nelle vene. Con uno scatto di reni esci dal letto e decidi di fare una nuotata nel lago. La notte è calda, afosa, immobile. Nuoti un po’ cercando di rilassare i muscoli tesi. Quando esci dall’acqua ti rivesti e ti stendi sull’erba morbida per osservare la luna. Non sai perché, ma una vecchia canzone che ti cantava tua madre quand’eri bambino ti ritorna alla mente e chissà come ti ritrovi a cantarla.
- Non sapevo che il Re dei sette Re avesse una voce così bella.- ti sorprende una voce morbida alle tue spalle.
Ti volti di scatto, dandoti mentalmente dello stupido perché non hai avvertito la presenza di un estraneo che si stava avvicinando, ma ogni parola ti muore in gola quando vedi chi hai di fronte.
- Maestà.- lo saluti compassato inchinandoti, cercando di nascondere l’imbarazzo.
È ancora più bello di quanto ricordassi. La sua risata risuona leggera nella notte.
- Ti prego, lasciamo da parte le formalità: non siamo a corte durante un’udienza ufficiale.- ti dice e qualcosa brilla nel fondo dei suoi occhi.
O forse è più semplicemente il riflesso della luce lunare, ti dici mentre raddrizzi la schiena.
- Non dovreste essere in giro a quest’ora: potrebbe essere pericoloso.- gli dici invece, con un tono che suona vagamente come un rimprovero.
La difesa del Re e del Famiglia Reale è demandata a te e ai tuoi uomini, e non puoi permetterti e non vuoi che a lui accada qualcosa.
- Non se accanto a me ho il Re dei sette Re!- ti risponde con un sorriso malandrino.
E tu non puoi far altro che arrenderti.
- Dove hai imparato a cantare?- ti domanda.
- Mi ha insegnato mia madre. Era una cantante professionista e cantava sempre qualcosa per farmi addormentare.- gli racconti.
Non ti piace parlare del tuo passato, nemmeno i tuoi Re lo conoscono nonostante siate come fratelli, eppure con lui ti è venuto spontaneo farlo. Forse è a causa dei sentimenti che provi per lui, o forse per quell’espressione gentile e franca, a cui sembra impossibile mentire.
Vi guardate negli occhi e sembra che il resto del mondo scivoli via dai vostri sensi.
- Maestà è meglio ritornare al castello.- dici piano, cautamente.
Forse è colpa della notte o di quell’incontro fortuito, ma senti verso di lui un’attrazione irresistibile e devi mettere quanto più spazio possibile fra di voi, per resistere alla tentazione di compiere qualche azione che potrebbe costarti cara. Con un movimento fluido ti rimetti in piedi e tendi una mano al principe per aiutarlo ad alzarsi. Quando le vostre mani si toccano, senti qualcosa scattare dentro di te e, dal modo in cui ti sta guardando, capisci che anche lui ha provato la stessa sensazione. È come se insieme alle vostre mani intrecciate, si fossero legate anche le vostre anime.Il caffè nella tazza ondeggiò per un istante, increspando la superficie e infrangendo in mille onde la sua immagine. Sey Pears sospirò pesantemente, prima di portare la tazza alle labbra e bere una generosa sorsata. I ricordi erano i nemici più terribili da affrontare, perché colpivano direttamente nei sentimenti, nel punto più vulnerabile di un essere umano. Avrebbe dovuto dimenticare, provarci almeno, ma come avrebbe potuto allontanare da sé e scordare l’immagine della persona che ancora ora amava più di se stesso? Anche solo pensare a una simile eventualità era un dolore che lo soffocava. L’aveva perduto per sempre e i ricordi erano l’unica cosa che gli restavano di lui, l’unico appiglio a cui aggrapparsi per non sprofondare nella follia.
Se solo quella sera d’inverno non avesse aperto la porta del suo alloggio…
È una notte buia, senza luna né stelle, sferzata da una pioggia gelida e penetrante, il vento è un lugubre ululato che scuote le fronte e fa tremare ogni cosa. Sei steso sul letto a leggere, tranquillo e rilassato, sicuro che la gente resterà ben rintanata in casa in una notte come questa e non accadrà nulla. Ma è proprio quando non ci si aspetta qualcosa che accade l’imprevedibile.
Alcuni leggeri colpi sulla porta infrangono il silenzio della notte. Subito balzi giù dal letto e sguaini un pugnale, ti avvicini alla porta guardingo perché sai che solo due motivi possono spingere qualcuno a cercarti a quell’ora di notte: perché è accaduto qualcosa di grave a corte oppure è semplicemente qualcuno che vuole ucciderti.
Piano scosti il battente, pronto a incassare un eventuale colpo, e quando scopri chi si trova al di là dell’uscio, senti il sangue refluire via e andarsi a nascondere chissà dove nel tuo corpo. Il principe è in piedi davanti a te, stretto in abito leggero che la pioggia ha incollato completamente al suo corpo scosso dai brividi, i capelli sono fradici e spettinati, incollati al viso piccolo e segnato da lacrime invisibili. Gli occhi del ragazzo ti colpiscono come un pugno alla bocca dello stomaco: ti guardano terrorizzati, arrossati per il pianto, timorosi che tu possa scacciarlo.
Velocemente ti scosti e lo lasci entrare nel tuo alloggio, sperando che nessuno abbia assistito alla scena: si scatenerebbe un putiferio se si venisse a sapere che il principe viene a trovarti in piena notte. Lo guardi e ti chiedi cosa l’abbia spinto a venire da te, ignorando tutte le conseguenze che avrebbero potuto investirvi. Non importa che tu l’abbia toccato o meno, lui è il Principe, nessun uomo a parte il Re può toccarlo, è come se fosse collocato in una dimensione a parte. È soltanto uno dei matrimoni politici del tuo sovrano, forse il terzo o il quarto, scevro di ogni sentimentalismo, ma questo di certo non potrebbe salvarti da un’accusa di alto tradimento per questa situazione ambigua in cui ti sei venuto a trovare.
Lui ti guarda e dal sorriso amaro che gli scivola sulle labbra, sembra che abbia letto i dubbi e le paure che affollano la tua mente. Solleva le braccia e, con le dita che tremano, scioglie lentamente i lacci che tengono chiusa la veste leggera che indossa. Piano fa scivolare la stoffa a terra, lasciando alla tua vista il suo corpo nudo, la pelle appena colorata di leggere pennellate ambrate dalla luce che proviene dal fuoco che arde nel camino.
Per un lungo istante pensi che devi distogliere lo sguardo, che non puoi guardarlo, che in questo momento stai tradendo il Re a cui hai giurato fedeltà imperitura. Ma lui è così bello e tu troppo innamorato. Poi un particolare attrae la tua attenzione e scaglie acuminate di ghiaccio ti scorrono nelle vene, quando ti rendi conto di cosa sia in realtà. Il corpo del principe è coperto di cicatrici, ferite e lividi vecchi e nuovi. Lo guardi incapace di credere a quello che stai vedendo, mentre un’ondata di nausea ti risale la gola. Ancora con quel sorriso amaro che pare inciderti l’anima sulle sue labbra, il principe ti si avvicina, tanto che puoi sentire il calore del suo corpo attraverso la stoffa dei vestiti che indossi. Prende una delle tue mani tra le sue e la stringe forte, come se cercasse un po’ della tua sicurezza, mentre ti guarda con i suoi occhi arrossati, grandi e liquidi di pianto.
- A Sua Maestà piace picchiarmi, è il solo modo con cui è capace di eccitarsi. Mi tratta come la più abbietta delle prostitute. Non ce la faccio più Rem, quando ho accettato di sposarlo non era questo che volevo. Lui… Lui non è la persona che credete. C’è qualcosa di oscuro dentro di lui che mi terrorizza. – e si morde il labbro, improvvisamente indeciso, come se avesse detto più di quanto avrebbe dovuto – Poi sei arrivato tu e io ho fatto l’errore più stupido della mia vita. Nonostante fossi già sposato con lui mi sono innamorato di te. Ti amo come non ho mai amato in vita mia. Non mandarmi via, te ne prego.- dice in un basso sussurro, come se provasse vergogna per la confessione che ha appena fatto.
E tu puoi soltanto abbracciarlo e baciarlo. È tutto quello che hai sempre desiderato. Lui, il suo amore. In questo momento non ti importa nulla del Re, né del tradimento che stai compiendo. Tutto quello che riempie la tua mente e il tuo corpo, martellando con la stessa furia di un tamburo da guerra, è lui bellissimo e appassionato come una dio tra le tue braccia.Da quel momento in poi i ricordi diventavano solo una sequenza di spezzoni dolci come miele e amari come veleno. Sey Pears strinse con più forza le dita attorno alla tazza, facendo sbiancare le nocche. Il dolore lo attraversò come una scarica, così crudo da lasciarlo senza fiato. Pochi mesi dopo era scoppiata la Guerra del Nord, mutando per sempre l’aspetto dei Regni settentrionali.
Fino a quel momento il Cancello Oscuro era stato una leggenda, niente più di uno spauracchio che serviva a spaventare i bambini e farli stare buoni. Nessuno aveva mai creduto davvero all’esistenza di quel regno nero che si estendeva oltre i Bastioni, il più estremo confine dei territori settentrionali. Il risveglio era stato per tutti improvviso e terrificante. Non soltanto il Cancello Oscuro esisteva veramente, ma aveva scatenato un’offensiva devastante contro i Regni del Nord, distruggendoli uno dopo l’altro. La Stella Scarlatta, il crudele sovrano di quel reame, era all’affannosa ricerca del
Kamlon, un manufatto che si diceva che era stato forgiato all’epoca dei Figli di Pan con la loro magia ancestrale e che avesse in sé il potere degli Antichi Dei. Se la Stella Scarlatta fosse riuscita a impossessarsi di quel manufatto, avrebbe piegato tutto il loro mondo ai suoi piedi. Ma per quanto facesse, non riusciva a trovarlo e se non fossero stati traditi, era più probabile che non avrebbe mai scoperto il suo nascondiglio.
Il volto di Sey Pears si oscurò davanti quei ricordi, mentre la rabbia e il rimorso montavano sempre più dentro di lui, mordendogli l’animo con i loro denti avvelenati. Se solo avesse compreso prima, se solo non si fosse lasciato ammaliare come tutti gli altri, se solo avesse dato ascolto ai dubbi di Cedric, forse le cose sarebbero andate diversamente e l’Elkin non sarebbero ora un’immensa distesa di cenere e detriti. Sey Pears scosse la testa, scacciando quei pensieri, perché sapeva bene che né con i se né con i ma si va da qualche parte, l’aveva imparato duramente sulla sua pelle.
Nessuno avrebbe mai creduto che il Re potesse tradire tutti. Tesseva e tramava nell’ombra come un serpente tra le rocce, pronto a sgusciare fuori all’improvviso e a mordere, accecato da una cupa e illusoria brama di potere. Il Re aveva consegnato non solo tutto il suo regno al Cancello, provocando la morte di centinaia di persone, ma anche il principe. Sey Pears ancora non era ancora riuscito a capire come avesse fatto a scoprire che proprio lui a custodire il manufatto, persino il cowboy non era a conoscenza di quel segreto. E ora era lui a portare sulle spalle quel tremendo peso, in nome di quell’amore che non riusciva a dimenticare.
Se soltanto Cedric si fosse fidato di lui fino in fondo avrebbe potuto fare qualcosa, aiutarlo e magari anche cercare di proteggerlo. Quello era uno dei maggiori rimorsi del cowboy. Ma come poteva biasimarlo? Per tutta la sua giovane vita aveva dovuto guardarsi da individui che avrebbero bramato appropriarsi del potere immenso che custodiva, non ultimo il suo regale consorte, perché avrebbe dovuto credere che lui era diverso dagli altri?
Sey Pears serrò le palpebre nel tentativo di scacciare quei ricordi dolorosi, che sembravano tagliargli l’anima come lame acuminate, ma erano così tanti che non riuscì a opporvisi. Infondo anche quello era un modo per vedere una volta ancora il suo principe.
Il corpo martoriato e insanguinato del principe tra le tue braccia pesa come un macigno. Sai che per tutta il resto della vita che ti resta da vivere, non riuscirai mai più a dimenticare questa immagine. Inginocchiato sul pavimento di pietra fredda e viscida del suo stesso sangue, non riesci a staccare lo sguardo dal suo volto bellissimo anche nel sonno della morte. Sollevi una mano e con il dorso delle dita gli accarezzi la guancia ricoperta di sangue gelido e viscoso, in un gesto riverente che racchiude tutto l’amore che hai sempre provato per lui. Arrivati a questo punto a cosa serve nascondersi ancora? Lui, l’unica ragione per cui valesse davvero vivere, è morto. Il regno che hai giurato di difendere è distrutto e non risorgerà mai più dalle sue ceneri. Il Re per cui hai combattuto e sanguinato si è rivelato null’altro che un traditore dedito unicamente alla ricerca del potere assoluto.
Il tuo intero mondo è stato polverizzato, hai perduto tutto e l’unica cosa che ancora ti resta è la sete di vendetta e i tuoi Demoni per compierla.
- R… Rem…- è stato un sussurro così basso che temi di averlo soltanto sognato.
Per un lungo istante resti immobile, con il battito del cuore accelerato al massimo, perché temi di abbandonarti a una chimera. Poi un tocco impalpabile e freddo sul tuo collo ti scuote, abbassi di scatto la testa e tutte le tue più feroci speranze vengono esaudite. Il principe non è morto, non ancora almeno, le palpebre sono socchiuse e le sue iridi ti guardano spente con il loro verde malato, le labbra un tempo rosse come succo di melograno ora sono bianche e spaccate in più punti, ma ti stanno ugualmente rivolgendo un piccolo sorriso sofferente.
- Cedric…- sussurri incredulo, appoggiandogli il palmo sul lato del viso e chinandoti su di lui, occupando tutto il suo campo visivo.
Il sollievo è un’ondata calda e dolorosa che ti investe da capo a piedi, coagulandosi nel tuo cervello, facendoti girare la testa e impedendoti di capire che sta morendo, che quelli sono i suoi ultimi momenti. I tuoi Demoni sono presenze silenziosi attorno a voi, rispettose del tuo dolore e di quella poca intimità che possono garantirvi.
- Non potevo morire così… dovevo vederti…- bisbiglia tra i rantoli, ogni parola pronunciata è una fatica superiore alle sue forze.
- Shhhh… Non parlare amore mio, risparmia le forze. Damian ti guarirà e tu starai bene, noi…- la sua mano che si stringe sulla stoffa della tua manica ferma i tuoi sproloqui.
- Non c’è molto tempo, sto andandomene Rem, quindi ascoltami. – ottenuto il tuo assenso continua – Sul lato sinistro del mio petto c’è un sigillo nascosto, aprilo e prendi quello che verrà fuori.- lo sforzo per lui è tanto che per un attimo vacilla, i suoi occhi si rovesciano all’indietro e uno strano sospiro gli rotola tra le labbra.
- CEDRIC!!!!- gridi terrorizzato all’idea di vederlo morire, di perderlo.
Lui non parla, riporta il suo sguardo sofferente nel tuo e stringe più forte le dita sul tuo braccio, per dirti di fare presto. Tu obbedisci, apri il sigillo e un oggetto avvolto in una fredda luce azzurrina cade nella tua mano. Lo guardi pregando che non sia quello che credi.
- Questo è il Kamlon… ora sei tu il suo custode… proteggilo a qualsiasi costo… a… a loro ho dato una copia… promettimelo!- e il suo sguardo nel tuo è febbrile.
- Te lo prometto.- dici solennemente e un sorriso sollevato gli tende per un attimo le labbra.
- Baciami.- ti chiede ed è tutto quello che vuoi anche tu.
Avvicini i vostri visi e le sue labbra non sono più morbide e calde sotto le tue, ma fredde e dure come marmo, hanno perso il loro sapore dolce e ora hanno il gusto ferroso del sangue e quello amaro delle lacrime. Spingi la tua bocca contro la sua, in cerca di quel bacio di cui hai disperatamente bisogno. Il principe schiude le labbra martoriate, ma non per risponderti. Un pesante sospiro gli scivola fuori dalla gola, mentre la mano che ti stringeva il braccio allenta improvvisamente la presa e cade sul pavimento, e tu capisci che è davvero tutto finito.- Mr. Pears va tutto bene?- una voce dolce e incerta lo strappò ai suoi pensieri.
Il cowboy batté un paio di volte le palpebre, come per dissolvere l’incubo dal quale si era appena destato, e sollevò lo sguardo sulla persona che lo stava chiamando. Per un attimo credette di stare ancora sognando, che Cedric fosse ancora vivo e insieme a lui. Soltanto a una seconda occhiata si rese conto di alcuni piccoli particolari, come gli occhi più grandi oppure i capelli neri appena più scuri e perennemente arruffati, che distinguevano Adam dal suo principe.
Fisicamente i due erano uguali, ma quel ragazzo che lo stava fissando preoccupato era molto più fragile, più dolce e bisognoso di affetto, e per questo gli infondeva un profondo istinto di protezione. Guardandolo provava il desiderio di abbracciarlo e spegnere così tutti i tormenti che lo assalivano, di cancellare il dolore di ferite che non si sarebbero mai rimarginate. Cedric invece era testardo e sfuggente, a volte Sey Pears aveva la netta sensazione che non fosse sempre presente quand’era con lui, che qualcosa di più importante avesse occupato tutta la sua attenzione. Non che non fosse certo dei suoi sentimenti, ma a volte gli sembrava di essere completamente solo anche quando lo stringeva tra le braccia.
Sorrise appena e si diede dello stupido per quei pensieri che non poteva evitarsi di formulare.
- Sì, va tutto bene. Stavo soltanto
pensando.- e bevve in un solo, lungo sorso ciò che restava del caffè ormai freddo.
- Spero di non averla disturbata.- e lo sguardo di Adam assunse un’espressione testa e spaventata, come quella di un cucciolo che si aspetta di avere una punizione dal suo padrone.
Sey Pears non poté evitare di avvertire qualcosa dentro di lui contrarsi dolorosamente. Quelle reazioni erano l’effetto dei maltrattamenti che aveva subito da Urro e si sentì ferocemente felice di aver tolto quel bastardo di mezzo. Il cowboy aveva votato la sua nuova vita alla difesa dei più deboli, ma non era solo disinteressato altruismo quello che provava per Adam. C’era qualche altra cosa che lo spingeva ad aiutarlo, ma non desiderava sapere cosa fosse davvero. Forse era codardia la sua o forse, più semplicemente, la paura di scoprirsi e voltare pagina. Restare ancorati al passato era più facile che ricominciare daccapo, poteva restare rannicchiato nel comodo nido che si era scavato in tutti quegli anni di fuga e continuare a piangersi addosso. Se invece avesse indagato su quelle fragili emozioni che Adam aveva iniziato a fargli provare, sarebbe stato costretto a uscire dal suo nascondiglio, ad affrontare i suoi fantasmi e, soprattutto, a ricominciare a vivere. E lui non voleva, perché avrebbe significato che il suo cuore era ancora vivo, che non era morto insieme a Cedric e ai suoi Demoni, che poteva ancora battere e fargli provare emozioni come quelle. E lui non voleva dover più soffrire in quel modo.
Deglutì a vuoto e, improvvisamente, fu preso dal desiderio di allontanarsi da quel ragazzino. Lui, il Re dei Sette Re, capo indiscusso dei Demoni Azzurri delle Elkin, guerriero indomito e invitto che non aveva mai indietreggiato davanti a un nemico, adesso scappava davanti a un ragazzo spaventato e tremante, che lo guardava con quei suoi enormi occhi verdi colmi di adorazione. Sorrise di se stesso e si disse che forse sarebbe stato meglio morire di fame e sete nel deserto, invece di finire in quel villaggio dove ad attenderlo c’era una guerra che aveva già perduto in partenza.
Con un movimento elegante e sinuoso, Sey Pears si rimise in piedi e mentre si allontanava dal tavolo, passò accanto ad Adam e con una carezza scherzosa gli scompigliò i capelli già spettinati, un modo per dirgli che andava tutto bene e non doveva preoccuparsi di averlo offeso.
Sorpreso il ragazzo si portò la mano sulla testa e, contemporaneamente, si girò per osservare il cowboy che usciva dal saloon. Era arrossito fino alla radice dei capelli e sentiva il cuore battergli furiosamente nel petto. Non poteva credere di essersi innamorato di una persona che era praticamente un’estranea.
Continua...