Journeys

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Only_
view post Posted on 3/7/2011, 17:23




Nick autore: Only_
Titolo storia: Journeys
Titolo capitolo: Parte I
Genere: romantico, erotico, commedia
Avvertimenti: Slash, Lemon, Long-fic
Breve introduzione: Senza prestare troppa attenzione all'imbarazzo che, potente, aveva cominciato ad invadermi, fissai gli occhi nei suoi, leccandomi allusivamente le labbra, e ripresi a muovere il polso. (…) Una risata si mescolò ai miei gemiti, quando formulai quel pensiero; chiusi gli occhi, masturbandomi più forte e più velocemente, aspettandolo.
Eventuali note: sono felicissima di questa storia, estremamente soddisfatta del mio lavoro e della passione che ci ho messo per scriverla. È in assoluto la cosa più lunga e complessa che abbia mai scritto, ho superato la soglia delle ottomila parole e sono al settimo cielo per questo. Andrew e Francesco mi hanno ostacolata un paio di volte (diamine, non volevano proprio andarsene da quell'ingresso maledetto!), ma poi hanno capito che assecondandomi avrebbero avuto più soddisfazioni (scleri di una povera mente stanca e provata, ignoratemi pure).
Trovo che sia una shot particolarmente ricca, almeno dal mio punto di vista, e ci sono affezionata nonostante tutta la sofferenza che mi ha causato il parto (perché sì, signore mie, è stato un autentico parto scriverla). Ci sono diversi salti temporali, ma tutto sommato dovrebbe essere abbastanza chiara. Oh, vista l'estrema lunghezza a cui non sono assolutamente abituata, ho diviso la shot in due parti u.u
Partecipante al contest Around the World




Journeys
Parte I



«... e non so se accettare il ruolo. Le riprese dovrebbero durare due mesi. Per Matteo sarebbe una stronzata rifiutare, ma... ecco, il Messico è lontano e non voglio, sai... lasciarti qui» conclusi, fissando le mie mani strette attorno ad una tazza di caffellatte caldo.
Ci eravamo alzati da poco e avevo deciso di renderlo partecipe delle mie indecisioni.
Qualche giorno prima avevo ricevuto una succulenta proposta per un ruolo di coprotagonista in un film di un regista abbastanza importante; sarebbe stato magnifico ed avrei accettato ad occhi chiusi, se il suddetto film non fosse ambientato in un paese sperduto del Messico. Non sapevo se era giusto accettare una parte così e lasciare Andrew solo in Italia; dopotutto lui era rimasto per me, non per le opere d'arte o la buona cucina. Solo per me.
«Fra» mi chiamò dolcemente, facendomi alzare gli occhi dalla tazza e puntarli nei suoi «Sai che Matteo ha ragione. Non puoi buttare via un'occasione di questo tipo, non arrivano spesso. È la tua opportunità per farti davvero un nome nel cinema internazionale. Qui in Italia sei abbastanza conosciuto, ormai, ma se chiedessi ad un newyorchese se sa chi sei sono sicuro che ti direbbe di no, magari prendendoti per un pazzo psicopatico» sorrise.
«Sì, ma... non voglio lasciarti qui da solo» bofonchiai, pur sapendo che la sua logica era più logica della mia. Sapevo che rifiutare un'offerta del genere era come scavarsi la fossa da soli, ma davvero non mi andava di lasciarlo in Italia da solo. E non mi andava di stare lontano da lui. Dannazione, due mesi sono tanto tempo! Possibile che non se ne renda conto?
«Nemmeno io scoppio di gioia al pensiero di stare lontano da te per sessanta o più giorni, love, non azzardarti nemmeno a pensare il contrario» mi ammonì subito, scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte ed accarezzandomi dolcemente una guancia «Dico solo che se vuoi davvero realizzare il tuo sogno di diventare un attore famoso devi sapere fare anche questo genere di scelte. So che non è facile, nemmeno io sono molto entusiasta all'idea di non poterti vedere per così tanto tempo, ma rifiutare sarebbe davvero deleterio per la tua carriera».

Quel pomeriggio comunicai a Matteo la mia decisione: sarei partito diretto al Nuovo Continente. Il mio agente sembrava davvero contento e sollevato, ma io non condividevo completamente il suo entusiasmo. Magari il film sarebbe stato un flop ed io avrei sprecato due mesi della mia vita in Messico, lontano da Andrew. Magari al mio ritorno sarebbe cambiato qualcosa, tra di noi.
L'ottimismo non è mai stato una mia prerogativa, ecco.
«Le riprese cominceranno a settembre, la partenza in aereo è prevista il due» mi comunicò Matteo con un ampio sorriso sul volto «Avete ancora un mesetto per starvene tranquilli, insieme, poi dovrete salutarvi per un po'».
Come se non lo sapessimo già.
Gli scoccai un'occhiataccia, afferrando la mano di Andrew ed uscendo dall'ufficio; nonostante fossimo amici da tantissimi anni, rimanevo sempre sconvolto dal poco tatto del mio agente. Secondo lui perché avevo esitato tanto ad accettare? Non ho mai rifiutato un ruolo, e lo sa, cosa pensava che mi passasse per la testa?

Due settimane dopo, quando Matteo mi diede gli ultimi dettagli sulla partenza, divenni quasi isterico. Mancava solo una settimana e mezza, prima del viaggio in Messico, prima di allontanarmi da Andrew per due lunghi mesi.
Quando arrivammo alla macchina, dopo essere usciti dall'agenzia, mi resi conto che ero troppo nervoso per guidare – mi stavano tremando le mani, santo cielo –, così Andrew si mise al volante al posto mio. Fissandomi i piedi in preda allo sconforto, non mi accorsi che la strada che stavamo percorrendo non era quella che portava al mio appartamento. Quando me ne resi conto, eravamo già fuori città.
Andrew non rispose a nessuna delle mie domande sulla nostra destinazione, limitandosi a guardarmi con la coda dell'occhio e sorridermi in modo dolce e rassicurante. Dopo l'ennesima curva e l'ennesima domanda da parte mia, accostò in una piazzola e si mise a trafficare con il suo cellulare. Pochi attimi più tardi, nell'abitacolo risuonarono le note limpide di un pianoforte; non conoscevo quella canzone, ma ebbe un immediato effetto rilassante su di me. Il suono dello strumento era accompagnato da una graffiante voce maschile che, incredibilmente, non strideva per nulla con quella base classica; non compresi tutte le parole – il tedesco lo ricordo solo per sommi capi, dopo le superiori l'ho abbandonato – ma capii il senso del testo senza troppi problemi.
Sentii gli occhi inumidirsi pericolosamente ma, cazzo, non potevo mettermi a piagnucolare come un cretino; in qualche modo, incredibilmente, riuscii a trattenere le lacrime. Mi voltai verso Andrew, commosso, e lui mi regalò uno dei suoi più bei sorrisi, per poi allungarsi verso il mio sedile e baciarmi teneramente. Mantenne la stessa espressione, separando le nostre labbra, e riprese a guidare verso una meta che conosceva solo lui.
Mi rilassai sul sedile, ascoltando quella canzone che ancora invadeva l'abitacolo, e mi godetti il paesaggio che ci circondava; la nostra destinazione rimaneva oscura, le dolci colline che si vedevano in lontananza non mi riportavano nulla di particolare alla mente.
Perso nei miei pensieri, lentamente e senza accorgermene, scivolai nel sonno.

Mi svegliai qualche ora dopo, probabilmente; era calato il buio e Andrew i stava delicatamente scuotendo una spalla; lo osservai con gli occhi ancora socchiusi, in risposta mi sorrise.
«We're arrived» mi comunicò, sganciandosi la cintura di sicurezza ed uscendo dall'auto. Ci misi qualche minuto in più, ma dopo essermi stiracchiato e stropicciato gli occhi e aver sbadigliato alcune volte, fui anche io fuori.
Era molto raro che riuscissi a dormire in macchina: ogni volta che c'era qualcuno al volante al posto mio, non potevo fare a meno di alternare occhiate apprensive alla strada e al contachilometri. Ero terrorizzato all'idea di fare un incidente.
Quando avevo appena dieci anni, ad un incrocio, un'automobile aveva tamponato la nostra mentre i miei genitori, mia sorella Anita ed io stavamo andando a fare visita a mia nonna. Papà aveva subito una commozione celebrale, mamma si era incrinata qualche costola per l'impatto; Anita ed io ne eravamo usciti illesi, per fortuna. Traumatizzati a vita, però illesi.
Da quel giorno i viaggi in macchina erano diventati difficili da sostenere, sia per me che per chi guidava; scattavo come una molla per qualsiasi cosa, andavo in iperventilazione per un nonnulla, senza rendermi conto di infastidire il guidatore e ridurre, in quel modo, la sua attenzione sulla strada. Crescendo, soprattutto dopo aver preso io stesso la patente, la tensione era scemata; mi risultava comunque molto difficile rilassarmi tanto da addormentarmi. Nemmeno Anita aveva mai avuto l'onore di vedermi sonnecchiare, in auto, mentre guidava lei.
Appena scesi dall'auto, sentii qualcosa di diverso nell'aria: era più densa, umida... salmastra.
Strabuzzai gli occhi, guardandomi intorno con espressione palesemente stupita.
Ci trovavamo da qualche parte in campagna, probabilmente vicino al mare – sentivo in lontananza il leggero sciabordio delle onde sul bagnasciuga. Davanti a noi c'era una splendida villa a due piani. C'erano alcuni gradini da salire per arrivare alla veranda. Sorrisi tra me, notando quanto quella casa somigliasse a quelle dei telefilm americani della mia generazione; mancava solamente il dondolo su un lato e la bandiera a stelle e strisce affissa sopra l'ingresso.
Andrew, appostato accanto agli scalini, allungò una mano verso di me.
«Come on, honey» mi disse con un sorriso, indicandomi con un cenno del capo la porta.
Il torpore che mi aveva avvolto appena sveglio era svanito in un attimo, ma non riuscii comunque a muovermi dal mio posto accanto allo sportello, paralizzato dalla sorpresa. Probabilmente avevo un'espressione da pesce lesso stampata in faccia. Andrew ridacchiò, mentre tornava sui suoi passi e mi affiancava, per poi prendermi una mano e guidarmi verso la veranda.
«Un'amica mi ha dato il permesso di stare qui per tutta la settimana» mi svelò in un sussurro baciandomi la fronte, prima di mettersi a trafficare con le chiavi. Aprì la porta e mi invitò ad entrare; questa volta non indugiai «Dice che per sdebitarmi dovrò portarti a conoscerla».
Annuii meccanicamente, troppo preso a guardarmi intorno ed esplorare il nuovo ambiente in cui mi trovavo: l'aria dell'interno sapeva di calore, mi sentii subito a mio agio.
«Lo farò più che volentieri!» esclamai con convinzione, muovendomi nell'ingresso ed osservando i bellissimi quadri in stile orientaleggiante che adornavano le pareti ricoperte di legno; lo sentii ridacchiare alle mie spalle «Come si chiama?».
«Fukamizu Megumi».
«Giapponese?».
«Yes sir, Japanese » confermò, cingendomi i fianchi le braccia e posando il mento sulla mia spalla, prima di carezzarmi con la punta gelata del naso la pelle sensibile dietro l'orecchio; sospirai «Ci ha già invitati a casa sua, a Kyoto, al tuo ritorno dal Messico».
Scherza?
«Sei serio? Vuole che andiamo a trovarla in Giappone?» chiesi con la voce di un'ottava superiore rispetto al solito; rise di nuovo, annuendo.
«Sarebbe scortese rifiutare, no? Dopo che ci ha così gentilmente ceduto la sua casa delle vacanze per una settimana, dopotutto, un viaggetto per conoscerla non è così esagerato. E poi non ti piacerebbe girare un po' il mondo? Messico, Giappone... vedrai, Megumi ti piacerà. È una donna splendida; ho lavorato ad una pellicola con lei e, lo giuro, è tutto fuorché la giapponese fredda, austera e silenziosa che cammina un passo dietro agli uomini. È una delle persone più... occidentali, se vogliamo dire così, che abbia mai conosciuto».
Mi irrigidii un poco nel suo abbraccio, indignandomi da solo per l'esagerato senso di possessione che provavo nei suoi confronti. Voglio dire, essere geloso di una donna pur sapendo che Andrew era più gay di Elthon John, Freddie Mercury e George Michael... davvero vergognoso.
«Non ci credo» sussurrò, con tono palesemente divertito, al mio orecchio; il suo fiato caldo mi solleticò la pelle, facendomi venire i brividi «Sei geloso di lei?».
Arrossii, scuotendo il capo; ovviamente non ci cascò.
«Don't worry, Fra. Quando l'ho conosciuta era già felicemente sposata e con figli. Non ha mai mostrato nessun interesse di quel tipo nei miei confronti. E anche se l'avesse fatto, dovresti saperlo, le donne non sono davvero fatte per me» concluse, baciandomi appena sotto l'orecchio, dove il collo e la mandibola si congiungevano. Sfiorò quello stesso punto con la punta del naso, cominciando ad accarezzarmi il ventre dopo aver infilato le mani sotto la mia maglietta.
Com'era naturale, mi rilassai sotto il suo tocco; adagiai mollemente la nuca contro la sua spalla e, languido come solo lui sapeva essere, mi baciò il collo. Mi sfuggì un sospiro soddisfatto, prevedibile, e le sue labbra si piegarono in un sorriso sulla mia pelle.
«Come on, let's go out» sussurrò, posando un nuovo bacio sul mio collo; lo schiocco risuonò nell'ingresso, mi fece ridacchiare. Tolse le mani da sotto la maglietta, lasciandole appoggiate sui miei fianchi, e mi permise di voltarmi.
Cancellammo il mio sorriso baciandoci, la prima volta dal mio risveglio; intrecciai le dita ai suoi capelli scuri, attirandolo ancora di più contro di me. Mi mordicchiò giocosamente il labbro superiore, prima che ci separassimo. Gli sorrisi, fronte contro fronte, poi feci scivolare le mani sul suo collo, sulle spalle, sulle braccia, fino a stringere le sue. Sorrise a sua volta, accarezzandomi uno zigomo con la punta del naso; si allontanò dal mio volto, tirandomi verso la porta.
«Ti va di vedere cosa c'è qui intorno, prima di visitare il resto della casa?» mi chiese, inutilmente visto che eravamo già all'esterno.
«Non che abbia visto molto, fin'ora» ironizzai sorridendo «Siamo vicini al mare, vero?».
Annuì, infilandosi le chiavi di casa in tasca dopo aver chiuso la porta.
Quando aprì il portabagagli, non riuscii a trattenermi dal ridere: evidentemente ero l'unico a non sapere di questa gita.
«So che te lo stai chiedendo: Matteo mi ha aiutato, sì. Doveva farti innervosire per far guidare me. Le borse le hanno portate Sandra e Michele quando eravamo in ufficio» annuì, intuendo i miei pensieri.
Uhm... Matteo allora non è così idiota, alla fine.
Aprì uno degli zaini, tirandone fuori due felpe; mi porse la mia, accennando all'umidità, ed io la presi e indossai senza una parola.
Pochi minuti dopo giungemmo alla spiaggia, approfittando di un sentiero sterrato che correva poco distante dalla casa di Megumi tra i cespugli di more selvatiche – non erano ancora mature, ma Andrew me ne ficcò comunque un paio in bocca.
Non era molto ampia – una dozzina di metri ci divideva dalla battigia – e correva lungo tutta la baia; qualcosa mi fece intuire che durante quella settimana sarebbe stata solo nostra, o quasi.
Quando ci sfilammo scarpe e calze, il contatto con la sabbia gelida mi fece rabbrividire, nonostante la brezza calda che soffiava dall'acqua.
Sulla mia sinistra, dove la spiaggia incontrava uno dei promontori che racchiudevano la baia, c'era un ammasso di scogli. Quasi trascinandolo, costrinsi Andrew a seguirmi.
La sabbia era umida e polverosa e si appiccicava ai miei piedi, ma non ci feci molto caso; avevo altro per la testa, anche se non riuscivo a capire esattamente cosa fosse.
Appena giungemmo agli scogli, mi arrampicai su quello che mi sembrava più ampio; probabilmente avevo un'espressione di infantile divertimento, perché quando mi voltai verso Andrew per farlo salire a sua volta, scoppiò a ridere. Borbottò qualcosa in inglese, continuando a sghignazzare, ma non riuscii a cogliere le parole, sia per il tono basso che usò sia per il suono forte e continuo della risacca.
Quando mi raggiunse lo feci sedere davanti a me; lo abbracciai, circondandolo con le gambe ed appoggiando il mento alla sua spalla, le sue mani si posarono sulle mie, ferme sul suo ventre.
«Manca poco» borbottai qualche minuto più tardi, nascondendo il volto contro il suo collo; era caldo, il contatto con la mia pelle fredda lo fece rabbrividire. Probabilmente non aveva capito a cosa mi riferivo, perché ci mise qualche attimo per rispondermi.
«Non pensarci e goditi questa settimana; siamo solo tu ed io, nessuno ci disturberà. Sette giorni soltanto noi, non sei contento?» domandò intrecciando le dita alle mie «Vedrai, il Messico ti piacerà. C'è un caldo infernale, soprattutto in questo periodo, ma la gente è cortese e molto disponibile; certo, c'è chi ti punta una pistola addosso se per caso lo osservi con l'espressione sbagliata, ma devi essere davvero sfortunato per trovarti questi delinquenti nel paese dove dovete girare» annuì convinto, facendomi sorridere «I prossimi due mesi passeranno in fretta, fidati di me. Ti divertirai. Mal che vada ci prosciugheremo i conti in banca per telefonarci il più spesso possibile» concluse ridacchiando.
Di nuovo restammo zitti; riflettei su quello che mi aveva detto, sorridendo.
«Sei già stato in Messico?».
Annuì.
«Ho girato uno dei miei primi film, lì. Parlo con cognizione di causa, che credi?» scherzò, pizzicandomi giocosamente una guancia, proprio come avrebbe fatto ad un bambino capriccioso.
«Vedi di non cornificarmi, ok?» bofonchiai ad un tratto, esternando la mia vera paura per quei mesi.
Non rise, come mi sarei aspettato, ma si voltò per guardarmi negli occhi; la sua espressione era la più seria e dolce che avessi mai visto, quando posò le sue labbra sulle mie.
«Non lo farò, I promise» mormorò contro la mia bocca, prima di baciarmi ancora, ancora e ancora, finché non mancò il fiato ad entrambi.

Tornammo alla villetta quasi correndo, scambiandoci continuamente occhiate divertite e complici e sorridendo come due adolescenti felici che hanno tutta la casa per loro per la prima volta, perché i genitori di uno dei due sono fuori per lavoro.
Andrew aprì la porta e si fece da parte per farmi passare per primo, trattenendomi però per il polso, appena anche lui fu entrato, mi spinse contro la parete, insinuando le mani sotto i vestiti e la lingua tra le mie labbra. Le sue dita mandarono mille scosse di lieve eccitazione a tutto il mio corpo; affondai automaticamente le mie tra i suoi capelli.
Le carezze sul mio petto si fecero più insistenti, si concentrarono nella zona intorno ai capezzoli; quando li pizzicò piano, gemetti carico d'aspettativa. Mossi il bacino contro il suo, mozzando il fiato ad entrambi; Andrew mi morse un labbro, gemetti ancora, poi si allontanò dal mio corpo, rimettendo maglietta e felpa al loro posto e respirando un po' affannosamente.
«Go upstairs» mi disse indicandomi con un cenno l'interno della casa, le iridi blu brillanti di malizia ed eccitazione «La prima porta a sinistra è la stanza degli ospiti, ours».
«Tu dove vai?» chiesi non riuscendo ad impedirmelo, la schiena ancora abbandonata contro la parete. Avevo bisogno del suo sostegno, per non cadere; non ero sicuro che le mie gambe potessero reggermi.
Mi sventolò sotto il naso le chiavi della macchina.
«Sai, Megumi non ha in casa proprio tutto quello che ci potrebbe servire; per alcune cose mi sono dovuto organizzare, portandole da casa» spiegò con un ghigno malizioso sulle labbra; il mio cuore prese a battere ad una velocità indecente.
Trattenni a stento una risatina estremamente poco virile, facendo quanto mi aveva suggerito mentre lui si dirigeva di nuovo all'esterno; con più adrenalina che sangue nelle vene, salii le scale tre gradini alla volta, aggrappandomi al corrimano scuro.
La mia eccitazione pulsava in modo doloroso, costretta nei boxer e nei bermuda di jeans.
Appena entrai nella nostra camera, senza perdere troppo tempo ad osservare la mobilia, mi gettai sul letto; scalciai con impazienza le scarpe, sfilai le calze e mi inarcai sul materasso per sfilare il bottone dei jeans dall'asola ed abbassare la zip. Mi tolsi anche i pantaloni, seguiti a ruota dai boxer, e serrai la mano attorno al mio pene. Grugnii, cominciando a masturbarmi; sarei sicuramente venuto presto, anche se Andrew non fosse arrivato.
Perso nei miei gesti, mi accorsi appena dei rumori che arrivavano dalle scale; sobbalzai, fermandomi, quando Andrew comparve sulla soglia, il mio – solito – zainetto verde marcio in spalla. Si bloccò, spalancando sconvolto la bocca, vedendomi in quel modo.
Senza prestare troppa attenzione all'imbarazzo che, potente, aveva cominciato ad invadermi, fissai gli occhi nei suoi, leccandomi allusivamente le labbra, e ripresi a muovere il polso. Le sue pupille scattavano dal mio volto al mio pene: sembrava quasi che non riuscisse a decidere quale parte di me preferiva. Una risata si mescolò ai miei gemiti, quando formulai quel pensiero; chiusi gli occhi, masturbandomi più forte e più velocemente, aspettandolo.
Non mi fece attendere: con uno scatto fu accanto al letto, mi accarezzò le gambe nude dopo aver lasciato cadere lo zaino accanto al comodino. Risalendo lungo la mia coscia con le punte delle dita, posò la mano sulla mia, rallentando in modo deciso i miei gesti. Credo di aver bofonchiato qualcosa, in quel momento, ma non so esattamente cosa.
Andrew salì con le ginocchia sul materasso, a cavalcioni del mio corpo.
«Fermati» mi ordinò con tono deciso; fu impossibile anche solo il pensiero di disobbedirgli.
Allontanai la mano dal mio sesso con l'ennesimo grugnito, portandola accanto al mio volto assieme all'altra, aspettando la sua prossima mossa. Sorrise.
Infilò le mani sotto la mia maglietta, a contatto con la pelle del mio ventre, e me la sfilò assieme alla felpa; ero completamente nudo sotto di lui.
«Spogliati» borbottai, senza però muovere un muscolo.
«Non vuoi farlo tu?» ribatté, abbassandosi finalmente sul mio volto, prima di baciarmi con un impeto tale da lasciarmi stordito per qualche secondo. Le sue dita avevano cominciato a vagare sul mio petto, due dita si erano chiuse attorno ai miei capezzoli, pizzicandoli e tirandoli leggermente.
Ansimai tra le sue labbra.
«Do you like it?» chiese in un soffio, continuando a torturarmi piano. Annuii, sentendo però il bisogno di toccare la sua pelle; portai le mani a tirargli la felpa.
Sorrise al mio gesto, di riflesso lo feci anch'io; lasciò la mia bocca e si alzò sulle ginocchia per sfilarsi la maglietta, posai le dita su ogni porzione di pelle appena scoperta.
Gettò i vestiti da qualche parte sul pavimento, io sorrisi ancora; affondai le mani nei suoi capelli, tirandolo di nuovo a me per coinvolgerlo in un altro bacio mozzafiato.

Qualche minuto più tardi, nudi, eravamo distesi l'uno di fronte all'altro. La mia mano si muoveva lentamente sul suo membro, lo stesso faceva la sua sul mio; stavamo insieme da quasi un anno, avevamo già sperimentato di tutto, eppure non ci eravamo mai fermati a provare quelle che generalmente sono le prime cose che si fanno in un rapporto.
Erano comportamenti abbastanza adolescenziali, eppure li avevo sempre trovati estremamente intimi; la prima volta che ero stato con un ragazzo in quel senso, avevamo entrambi così tanta paura di sbagliare qualcosa da limitarci a masturbarci a vicenda. Sorrisi al ricordo estremamente tenero, Andrew mi rivolse un'occhiata interrogativa.
Era incredibile quanto ci fossimo calmati: meno di mezz'ora prima mi sarei fatto scopare senza troppe cerimonie nell'ingresso, mentre in quel momento ci stavamo dedicando a coccolarci senza alcuna frenesia.
«Perché sorridi?» mi chiese, curioso, continuando a muovere il polso.
Gli raccontai della mia prima esperienza con Paolo – sì, me lo ricordo bene; chi, dopotutto, non si ricorda la sua prima sbandata epica e colossale? – e sorrise anche lui.
«Dici che dovrei essere geloso?» ridacchiò, allungandosi un poco per baciarmi una spalla «Siamo qui, insieme, ti sto masturbando e tu pensi ad un altro».
In effetti, se fosse stato lui a raccontarmi una cosa del genere proprio in quel momento, sarei imploso dalla gelosia; credo che a chiunque sarebbe successo, anche a qualcuno con la soglia della possessività inferiore alla mia. Lui no, ci scherzava sopra; era incredibile.
«Io lo sarei» risposi sinceramente, avvicinandomi ancora un po' al suo corpo e baciandolo vicino alla bocca; mi vennero i brividi, quando il suo fiato caldo mi accarezzò il collo.
«Lo sei stato anche di Megumi; il tuo parere non conta» asserì ridacchiando «Cos'altro hai fatto con questo fantomatico Paolo?».
Era curioso, glielo leggevo in faccia senza problemi.
Allontanò la mano dal mio pene, afferrando il mio polso e costringendomi a fare lo stesso; senza fiatare si posizionò a cavalcioni del mio corpo. Appoggiò il sedere sulle mie cosce, le mani sulle anche e mi guardò, spronandomi a parlare.
Non che ci fosse molto da raccontare: Paolo ed io ci eravamo limitati alla masturbazione in due, non ero nemmeno sicuro che ci fossimo mai visti nudi.
Era stato con Giovanni che era scattata la scintilla.
Era uno dei bagnini della piscina dove mi allenavo con la mia squadra di pallanuoto; ricordo che ogni volta che dovevamo giocare in casa era sempre lì a guardarci. Pensavo che fosse perché ci teneva alla squadra che rappresentava la città, ma poi mi ero ricreduto. Non era lì per la partita, era palesemente lì per me. Ne ero lusingato.
I miei compagni di squadra intercettarono presto le occhiate che ci lanciavamo a vicenda durante gli allenamenti e le partite, cominciarono a punzecchiarmi. Arrossivo in modo colpevole ogni volta che mi chiedevano se Giovanni mi piacesse, non riuscivo ad impedirmelo.
Non fecero terra bruciata come mi aspettavo; certo, sapevano tutti che ero gay e non avevano mai detto nulla, ma fino a quel momento non mi avevano mai visto intento a flirtare con un altro ragazzo. Mi incoraggiarono a fare il primo pasto, magari ad aspettare che finisse il suo turno come bagnino per offrirgli qualcosa da bere prima di andare a casa. Non servì.
Una sera rimasi solo negli spogliatoi, gli altri erano già andati via; non trovavo gli occhialini.
«Sono tuoi questi?».
La voce del bagnino mi fece sussultare, mi voltai a guardarlo con il cuore che mi batteva a mille; aveva in mano proprio i miei occhialini. Sospirai sollevato, sorridendo, ed annuii.
«Li stavo cercando, grazie mille» gli dissi, avvicinandomi.
«Erano nelle docce» commentò sorridendo bieco; arrossii, riponendo gli occhialetti nella loro custodia. Non mi mossi da dov'ero, sembravo inchiodato al pavimento.
Non so chi si avvicinò per primo, ma un attimo dopo ci stavamo baciando e le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi la schiena da sotto la maglietta.
Quella sera ci eravamo limitati alle carezze innocenti e ai baci, non volevamo andare troppo in fretta; c'era stato tempo per tutto il resto. Con Giovanni avevo conosciuto il sesso orale, avevo perso la verginità, avevo imparato a ricevere e dare.
Tutte, o quasi, le mie prime esperienze le avevo avute con lui.
Andrew annuì, alla fine del mio racconto, senza commentare.
«Siamo a due; ci sono altri prima di me? Immagino di sì» sorrise, massaggiandomi le anche con i pollici. Scossi il capo con fermezza.
«Solo loro due. Non sono mai stato con altri, né per storie serie né per... avventure».
Annuì ancora, chinandosi a baciarmi il petto; sembrava estremamente tranquillo, come se fino a quel momento gli avessi parlato di come mi piaceva fare colazione.
Scivolò più in basso con le labbra, fino a giungere al mio ombelico; ne tracciò il contorno con la lingua, per poi mimare in modo piuttosto esplicito una penetrazione. Trattenni il fiato, comprendendo quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

Poco dopo ero a quattro zampe sul materasso; non avevo idea di che ora fosse.
Le mani di Andrew mi stavano accarezzando dolcemente le gambe e il sedere, facendomi sospirare impaziente. Sperai di aver capito davvero le sue intenzioni; sarebbe stato frustrante altrimenti.
Ad un tratto, senza alcun preavviso, posò la lingua sulla mia schiena, cominciando a farla scivolare verso il basso; oh, sì.
Mi separò le natiche, continuando nella sua discesa, finché non giunse alla mia apertura. Credo di aver avuto una specie di infarto quando ho sentito la sua lingua forzarla.
Cominciai a gemere, ricadendo in avanti, non riuscendo a sostenermi con le braccia; affondai il volto nelle lenzuola, le strinsi tra le dita come se fossero la mia unica ancora di salvezza.
«Do you like it?» chiese in un soffio, prima di riprendere esattamente da dove aveva interrotto, senza darmi il tempo di riprendere fiato per rispondergli a parole. Annuii, gemendo con forza il mio apprezzamento.
Credo che in quel momento il mio cervello abbia fatto ciao ciao e se ne sia andato in vacanza per un po'; i miei ricordi di quegli attimi sono così offuscati dal piacere che, davvero, non sarei in grado di descriverli. Tanto più che una delle sue mani era andata di nuovo a stimolare la mia erezione.
L'orgasmo mi aveva stordito più di quanto già non fossi, anche le gambe avevano ceduto ed ero caduto bocconi sul materasso, ansimando pesantemente.
Andrew mi baciò dolcemente la base della schiena, prima di aiutarmi a girarmi ed accoccolarsi al mio fianco, sfiorandomi delicato il ventre.
«Piaciuto?» sorrise contro la mia pelle, continuando a far piovere baci leggeri sulle spalle e sul collo. Annuii, riprendendo fiato pian piano.
«Questo» borbottai «Questo non me l'aveva ancora fatto nessuno».
Rise, scompigliandomi i capelli.
«Lo immaginavo» ghignò, baciandomi una guancia.
Sentii la sua erezione premere contro la mia gamba, non riuscii a trattenere una risata.
«Sei ancora sull'attenti» sorrisi, allungando una mano verso il suo pene, lo accarezzai appena, facendolo sospirare «Dammi un attimo per riprendermi, poi vedo come rimediare».
Non rispose. Chi tace acconsente.
Appena il mio battito e il mio respiro si furono regolarizzati, lo feci sdraiare a pancia in su. Non mi persi nei soliti preamboli, chinandomi direttamente per prenderlo in bocca. Lo sorpresi.
Cominciai da subito a succhiare, tenendo una mano sul suo fianco e l'altra stretta alla base del suo pene, per aiutarmi nei movimenti. Gemetti, quando la punta mi colpì la gola, trasmettendogli delle vibrazioni che lo fecero tremare come una foglia.
Era davvero al limite; bastarono pochi affondi perché si svuotasse nella mia bocca gemendo forte.

Ci facemmo una doccia insieme, poi l'occhio mi cadde sull'orologio appeso alla parete del bagno: segnava le cinque del mattino. Spalancai gli occhi, scioccato, ed Andrew seguì il mio sguardo per capire cosa mi avesse sconvolto tanto. Trattenne a stento una risata.
«Be', a questo punto potremo andare in spiaggia e vedere l'alba. Che ne pensi?».
L'idea non mi dispiaceva; annuii, accorgendomi però che stava trattenendo a stento gli sbadigli.
«Se sei così stanco possiamo rimanere qui; abbiamo una settimana per andare a vedere l'alba sulla spiaggia» sorrisi, accarezzandogli una guancia; un principio di barba mi graffiò i polpastrelli, impedendomi di non pensare come sarebbe stato sentire quella ruvidezza in altre parti del mio corpo «Dopotutto io ho dormito anche in macchina, non so neppure quanto».
«Quasi quattro ore» mi informò, sbadigliando «Sicuro che non ti dispiace sprecare un'alba?».
«Non stiamo sprecando proprio niente, Andy. Andiamo a letto, dai» risposi con sicurezza, prendendolo per mano e trascinandolo verso la nostra camera. Avevamo già cambiato le lenzuola, così non persi tempo a spingerlo sul materasso. Mi sdraiai al suo fianco, gli accarezzai i capelli finché non si fu addormentato, baciandogli la spalla.
Lentamente scivolai a mia volta nel sonno.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 9/7/2011, 08:19




Ecco qui ^^ sono contenta che anche tu sia riuscita a consegnare la storia per il contest XD
Per ora siamo a quota 2 storie consegnate, ancora una e il contest sarà ufficialmente valido *-*
 
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Only_
view post Posted on 9/7/2011, 14:38




Ehm.. questa è solo la prima parte di due, avevo chiest nella discussione se dovevo pubblicare subito anche la seconda o no, ma non mi è arrivata risposta ^^'
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 9/7/2011, 18:45




O.O scusa -.-' compa mia non l'ho letta, comunque si posta pure anche la seconda parte XD
 
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Only_
view post Posted on 20/7/2011, 23:10




Journeys
Parte II



Quando mi svegliai, poche ore più tardi, Andrew stava ancora dormendo.
Lo osservai per qualche attimo, seguendo il profilo del suo volto con la punta di un dito, poi mi alzai, sorridendo.
Chiusi la porta alle mie spalle, quando uscii dalla camera, e facendo il minor rumore possibile scesi le scale. Avevo un'inspiegabile voglia di esplorare quella casa che avevamo a disposizione.
Scoprii dove si trovava la cucina, il mio stomaco ruggì. Effettivamente non avevamo neppure cenato, la sera prima, era ovvio che avessi così fame.
Aprendo e richiudendo tutti i pensili e i cassetti, alla fine trovai un pentolino e una caffettiera e un pacchetto sigillato di caffè. Rassegnandomi all'assenza di bricchi di latte, decisi che mi sarei accontentato di un caffè e qualche biscotto; ne avevo trovato un pacco ancora chiuso in uno dei pensili.
Guardai l'orologio appeso alla parete: erano le due del pomeriggio.
Poco male, allora, non mi sembra proprio il caso di bere un caffellatte a quest'ora.
Riempii la caffettiera e la misi sul fuoco, mi sedetti e cominciai a sgranocchiare qualche biscotto.
«Già sveglio?».
Mi voltai a guardare Andrew, appoggiato allo stipite della porta; aveva gli occhi rossi di sonno, l'espressione di chi non dorme da settimane e un sorriso stanco sulle labbra. Scossi il capo, scendendo con un balzo dal tavolo dov'ero seduto, e gli andai incontro.
«Sono le due» gli comunicai, baciandolo sulle labbra «Ho dormito anche troppo».
Ridacchiò, prima di sbadigliare; mi circondò le spalle con un braccio.
Incerto della sua stabilità, lo guidai verso una delle sedie, facendolo accomodare prima di lasciarlo andare. Quando feci per scostarmi, mi trattenne per un braccio; mi voltai, mi baciò con trasporto.
«Good morning, sweetheart» sorrise, baciandomi ancora.
«Buongiorno anche a te, Andy» ridacchiai, prima che il fischio della caffettiera mi costringesse ad allontanarmi.
«Le tazzine sono nel pensile a destra, sul secondo ripiano; lo zucchero credo che tu abbia già visto dove si trova. Ah, le presine sono accanto al microonde».
Scossi il capo ridacchiando.
«So già tutto, tesoro, ho avuto tutto il tempo di rendere mia questa cucina mentre tu dormivi» annunciai porgendogli la sua tazzina, calcando ironicamente sul nomignolo; cominciai a mescolare il caffè della mia per far sciogliere lo zucchero, sedendomi di fronte a lui.
Restammo in silenzio, scambiandoci soltanto qualche occhiata complice.
«Credo che più tardi sia il caso di andare a fare la spesa» dissi mettendo le due tazzine usate nel lavandino «Ho visto solo roba in scatola, non penso che sia il caso di mangiare quello. Anche perché con tutti i vaccini che ho dovuto fare potrei essere diventato ipersensibile ai conservanti».
Lo sentii muoversi alle mie spalle. A sorpresa, mi abbracciò da dietro; sentire la sua erezione premuta contro il mio sedere mi fece gemere di sorpresa.
«È ancora presto» mormorò contro il mio collo, baciandolo languidamente «Il supermercato apre alle tre e mezza. Che ne dici di passare il tempo facendo qualcosa di divertente?».
Strofinò le labbra contro la pelle sensibile dietro l'orecchio, prima di leccarla e mordicchiarla dolcemente; ridacchiai, avvertendo perfettamente tra le gambe il risveglio della mia eccitazione.
«Perché no» acconsentii, appoggiandomi meglio al lavabo e strusciando il sedere contro il suo bacino; gli si mozzò il fiato «Dopotutto ieri notte non abbiamo concluso molto».
Sogghignò, sfilando ad entrambi i boxer, senza troppe cerimonie; sfregò la punta già umida del suo sesso contro il solco tra le mie natiche, spingendomi ad allargare le gambe ed abbassarmi ancora un po', mentre con la mano destra cominciava ad accarezzare il mio pene che andava irrigidendosi.
Tempestò di baci le mie spalle e la nuca, continuando a muovere il bacino contro di me, poi portò la mano sinistra ad accarezzarmi le labbra socchiuse.
«Il lubrificante è di sopra, honey, non credo di essere in grado di andare a prenderlo» mi disse come se si stesse scusando, infilandomi le dita in bocca ed immergendole nella saliva; cominciai a leccarle e succhiarle sfacciatamente, imitando un gesto ben più intimo, ed Andrew parve gradire perché ansimò forte contro la mia spalla.
Quando non fu più in grado di resistere, sfilò le dita dalla mia bocca e le portò velocemente alla mia apertura; prima la accarezzò piano con le punte, poi premette per far entrare il primo dito. Non fece male, anzi, mi fece venir voglia di sentire qualcosa di più consistente che entrava nel mio corpo. Mi mossi con impazienza contro la sua mano, fece entrare un secondo ed un terzo dito in rapida successione; cominciò a muoverle piegandole un poco e cercando di andare più a fondo possibile.
Cominciai a lamentarmi come un animale agonizzante, involontariamente, l'erezione ormai piena che pulsava nella sua mano. Ridacchiò con il respiro spezzato, baciandomi la nuca.
«Adesso» mormorai; ero pronto, cosa stava aspettando? «Adesso, ti prego».
Mi baciò di nuovo, tra le scapole, poi sfilò le dita dal mio corpo ed allontanò la mano dal mio pene; bofonchiò qualcosa circa l'assenza di preservativi, ringhiai per fargli comprendere quanto fossi al limite. Capì.
Appoggiò una mano sul mio fianco, l'altra probabilmente la usò per indirizzare il suo pene verso la mia apertura; fece entrare i primi centimetri, poi si fermò. Sibilai qualcosa di incomprensibile, e portai le mani all'indietro, sui suoi glutei, per spingerlo ad entrare completamente ed in fretta. Non ce la facevo più, il mio cervello era andato in vacanza per la seconda volta nel giro di un giorno. Quando finalmente capì cosa gli stavo chiedendo, Andrew mi accontentò; dovetti tenermi di nuovo al lavello con le mani, per non rischiare di cadere sotto il suo impeto. Gemetti soddisfatto, finalmente pieno, e assecondai all'istante le sue spinte, che furono da subito regolari e profonde.
Spostò la mano che era sul mio fianco sulla mia, attaccata al lavandino, intrecciando le nostre dita, mentre l'altra tornò sul mio pene, masturbandomi alla stessa velocità con cui si spingeva nel mio corpo. Avevo la sua bocca contro la nuca, sentivo i suoi gemiti farsi sempre più forti; ringhiai qualcosa contro la mia volontà, voltando il capo per cercare il suo.
Andrew capì ancora una volta di cosa avevo bisogno, e si sporse sulla mia spalla per baciarmi. Fu un contatto disordinato, mi rendo conto di aver probabilmente anche sbavato, ma era una cosa indispensabile per entrambi.
Alcune spinte più tardi, avvertii il suo corpo irrigidirsi, prima che il suo seme mi riempisse; per la prima volta in tutta la mia vita sentii l'orgasmo di Andrew davvero al mio interno, marchiarmi come nessuno aveva mai fatto – era la prima volta che succedeva, nemmeno Giovanni non mi aveva mai preso senza profilattico.
Fu una sensazione così strana, così nuova e bella, che subito dopo raggiunsi a mia volta l'apice, riversandomi tra le sue dita e sul lavello. Registrai appena l'urlo che fuoriuscì dalle mie labbra.
Dopo diversi minuti di silenzio, rotto solo dai mostri respiri affannosi, Andrew mi baciò nuovamente la spalla e si sfilò con un grugnito dal mio corpo.
Sentii il suo seme colarmi sulle cosce, mi sfuggì un sospiro soddisfatto.
Avrei voluto dirgli tante cose – quanto era stato fantastico farlo in quel modo, quanto mi era piaciuto sentirlo davvero –, ma mi resi conto di non essere in grado di parlare; rimasi immobile e in silenzio, scosso, appoggiato al lavello sporco del nostro desiderio.
«Tutto bene?» sussurrò Andrew, costringendomi a voltarmi verso di lui; i suoi occhi si fissarono nei miei, lessi la sua preoccupazione ma non ne capii il motivo. Lo scrutai per qualche attimo, prima di sorridere ed annuire. Andava tutto più che bene.
Si rilassò, permettendosi di sorridere a sua volta, e mi abbracciò.
Quando ci separammo lo baciai delicatamente, poi chinai gli occhi sul pavimento e non riuscii a trattenere una risata; avevamo fatto un disastro.
«Magari è il caso che ripuliamo questo casino, prima di uscire» ridacchiai strofinando la punta del naso su suo collo. Annuì con un sorriso.

Quando ripartimmo per tornare in città, mi chiesi se un giorno saremo tornati in quell'angolo di paradiso. Inconsciamente avevo accettato l'idea di andare fino in Giappone per conoscere Megumi da un po', in quel momento mi sentii impaziente di farlo.
Guidò di nuovo Andrew, stavolta non dormii.
Rimasi con il naso appiccicato al finestrino tutto il tempo, come un bambino, assaporando tutte le curve morbide del paesaggio che ci circondava, mi impressi a fuoco nella memoria la strada che stavamo percorrendo. Andrew, al mio fianco, canticchiava a bassa voce la canzone che mi aveva fatto sentire all'andata, tenendo il tempo battendo le dita sul volante.
«Grazie» sussurrai senza staccare gli occhi dalla campagna che scivolava dolcemente fuori dall'auto. Ero sicuro che mi avesse sentito; doveva avermi sentito.
Sentii una sua mano scompigliarmi i capelli; quando mi voltai a guardarlo, un ampio sorriso era disegnato sulle sue labbra. Teneva gli occhi sulla strada, ma sapevo che in qualche modo si era accorto del rossore che si era diffuso sulle mie guance.

La mattina del due settembre mi svegliai con addosso un nervosismo che avrebbe steso un bue. Non ero ancora pronto per separarmi da Andrew, non per così tanto tempo.
«Come on, sweetheart, non ti devi buttare così giù. Sono sicuro che ti divertirai, questi due mesi passeranno senza che tu te ne accorga. E poi, immagina di vedere il tuo nome nei titoli di coda di questo film, al cinema» cercò di rassicurarmi; allargò le braccia, probabilmente cercando di mimare il grande schermo «Francesco Avena, nel ruolo del sergente Carlos Martinez. Sarà emozionante, fidati di me; ti dimenticherai presto della fatica».
Grugnii, alzandomi dal letto e dirigendomi in bagno; udii il suo sospiro sconsolato, mi sentii in colpa per averlo trattato così. Nemmeno lui era contento della nostra separazione, eppure cercava lo stesso di tirarmi su il morale. Lo stavo davvero trattando malissimo.
Nonostante tutto, non tornai indietro a scusarmi; mi sarei comportato peggio, ne ero assolutamente certo, e non volevo litigare con lui proprio l'ultimo giorno che potevamo passare insieme.
Rimasi nella doccia più tempo del dovuto, appoggiando la fronte al muro e lottando per reprimere le lacrime che cercavano di sopraffarmi; è sempre stato un mio brutto vizio, quello di piangere per la rabbia o il nervosismo. Da piccolo mi avevano sempre preso tutti in giro per questo.
Quando uscii dal bagno, mi diressi in cucina. Notai subito, appiccicato al frigorifero, un post it giallo fosforescente. Mi avvicinai per leggerlo.

Torno subito, devo andare a ritirare una cosa.
Ti ho preparato la colazione, è nel microonde.
Andrew



Chissà cosa deve ritirare.
Non ci pensai troppo, presi la tazza dal microonde e un paio di biscotti dal pacchetto e mi sedetti a tavola per mangiare. Per provarci, almeno.
I biscotti mi sembravano troppo secchi, il caffellatte troppo caldo, non riuscii a mettere nulla nello stomaco; anche questo è un problema che ho da quando ero piccolo.
Prima che Andrew rientrasse, mi ero premurato di versare la colazione nel lavandino e di pulire tutto. Non mi aveva entusiasmato l'idea di sprecarla ma, davvero, non riuscivo a mangiare nulla.
Mi ero anche vestito e stavo accarezzando l'idea di fumarmi una sigaretta.
Sul fondo dell'armadio c'era un pacchetto praticamente pieno, era da anni che non lo toccavo. L'avevo comprato subito dopo il mio primo provino. L'ansia, lo ricordo come fosse ieri, era a livelli altissimi.
Alla fine, con un grugnito, aprii il pacchetto e presi uno di quei cilindretti di veleno concentrato, accendendolo chinandomi sul fornello acceso. Il sapore dolciastro del fumo mi invase la bocca, lasciai che scivolasse nei miei polmoni prima di soffiarlo via; non tossii, stranamente.
Presi un bicchierino di plastica con un pochino d'acqua ed uscii in balcone. Non volevo riempire la casa di fumo, dopotutto.
Seduto a terra appoggiato alla portafinestra, lasciai che il nervosismo bruciasse lentamente assieme al tabacco, stupendomi ancora una volta come fosse semplice tranquillizzarmi in quel modo.
Fu così che mi trovò Andrew quando tornò a casa.
Uscì in balcone e si sedette accanto a me senza dire una parola, chiedendomi con un sorriso di passargli la sigaretta. Lo feci, notando che dal sacchetto di plastica che aveva posato a terra spuntava un pacchetto colorato. Inspirò un paio di volte, prima di restituirmela.
Mi incantai ad osservare come il fumo usciva in piccole volute dalle sue labbra socchiuse.
«Ho un regalo per te» sorrise Andrew, porgendomi il sacchetto, dopo che ebbi spento la sigaretta nel bicchierino «Spero ti piaccia, non è un modello recentissimo ma servirà al suo scopo».
Quel giorno il caldo era insopportabile.
Avevamo interrotto le riprese perché era davvero impossibile rimanere al sole; indossavo ancora gli abiti del sergente Martinez, mi sentivo soffocare.

Il mio primo mese in Messico era passato senza troppi problemi o crisi isteriche, soprattutto grazie al regalo che Andrew mi aveva dato il giorno della partenza.
Accarezzai il cellulare grigio con la punta delle dita, sorridendo come uno stupido, ed entrai nella mia roulotte. Accesi l'aria condizionata e la impostai per rendere l'ambiente piacevolmente gelido.
Osservando l'orologio da polso – incredibilmente perfettamente funzionante – dell'uniforme che indossavo, feci un rapido calcolo dei fusi orari. In Italia erano le dieci di notte, tentennai per qualche secondo prima di comporre il numero di Andrew e portarmi il cellulare all'orecchio. Dopotutto era stato lui a dirmi di chiamarlo quando volevo.
Rispose al secondo squillo, la sua voce mi fece rabbrividire.
«Hi, honey» mi salutò dolcemente «How are you?».
«Mi manchi» soffiai nel ricevitore, senza rendermene perfettamente conto.
Lo sentii ridacchiare piano, in qualche modo malinconicamente.
«I miss you too» mormorò nello stesso modo.
Restammo in silenzio, senza preoccuparci del credito che si consumava; la promozione che Andrew mi aveva regalato assieme al cellulare serviva proprio a questo, dopotutto.
Ridacchiò di nuovo, questa volta divertito.
«Pensa che mi manchi così tanto che ho dovuto affittare un porno».
Risi forte, non riuscendo a trattenermi; anche io avevo pensato di fare una cosa simile.
Glielo dissi, reagì allo stesso modo.
«Non fai niente questa sera?» gli chiesi quando il momento di ilarità fu sfumato «Qui abbiamo interrotto le riprese, uno dei cameraman è svenuto. C'è un caldo infernale, oggi».
«Matteo mi ha chiesto se avevo voglia di andare da qualche parte con lui e gli altri, ma sinceramente la mia serata davanti alla televisione sembrava più allettante» sorrisi; lo sentii sibilare qualcosa tra i denti, prima che aggiungesse «Ho pagato per questo film, mica posso riportarlo indietro senza averlo visto».
In quell'attimo realizzai che film stesse guardando. Arrossii – il perché ancora non lo capisco – e mi premetti una mano sulla bocca per non lasciarmi scappare esclamazioni di alcun tipo.
Dio, sta guardando un porno. Lo sta guardando mentre è al telefono con me.
«Non capisco davvero come possano fare una cosa del genere in quella posizione» commentò.
Me lo immaginai mentre piegava la testa per cercare di vedere la scena da un'altra angolazione, immaginai anche la scena che stava guardando.
Mi si seccò all'istante la bocca, sentii un formicolio familiare al bassoventre; quando chinai gli occhi sul cavallo dei pantaloni, un gemito soffocato mi uscì dalle labbra. Andrew lo sentì; sono sicuro che ghignò, compiaciuto, magari inumidendosi le labbra con la lingua.
«Credi che sia il caso di sperimentare qualcosa di nuovo?» mi chiese con quel suo tono malizioso che mi faceva sempre impazzire; lo immaginai mentre si inumidiva le labbra, un altro gemito sfuggì al mio controllo. Ridacchiò «Direi di sì. Spogliati».
Mi si mozzò il fiato, mi affrettai ad eseguire l'ordine; sembrava che non fosse nuovo a quel genere di situazioni, ma scacciai quell'idea fastidiosa dalla mente. Appoggiai il cellulare sul letto, prima di sfilarmi non senza problemi la parte superiore della divisa che indossavo. Abbassai le veneziane, chiusi a chiave la porta, poi mi tolsi quei dannai anfibi – che poche settimane prima mi avevano ricoperto i piedi di dolorose bolle – e le calze; infine lottai con il bottone dei pantaloni mimetici. Quando recuperai il cellulare, sdraiandomi sulle lenzuola fresche grazie al condizionatore, non avevo nessun vestito addosso.
«Sono nudo» soffiai con un certo imbarazzo nel ricevitore, aspettando di sapere da Andrew cos'avrei dovuto fare a quel punto. Sentii un sospiro carico di desiderio; mi morsi le labbra per non gemere, strinsi a pugno la mano libera per non permetterle di correre subito al mio membro teso.
«Anche io» mi rispose con voce bassa e sensuale «Toccati il petto, come faccio sempre io. Immaginami lì, con te».
Lo feci.
Le mie dita scivolarono sul ventre, accarezzandolo piano ed immergendosi nell'avvallamento dell'ombelico, poi risalirono fino ai capezzoli, stringendoli e tirandoli piano.
Gemetti, lo sentii fare lo stesso.
«Ora falle scendere, lentamente, accarezzati con un dito e fammi sentire se ti piace».
Feci come mi aveva detto ancora una volta.
Abbandonai i capezzoli, scendendo nuovamente lungo il ventre, intorno all'ombelico, poi ancora più in basso, tra i peli pubici; li tirai un poco, tanto per imitare quello che lui faceva sempre, ed ansimai nel cellulare. Ignorando il bisogno di afferrarmi e basta, continuai quella tortura, immaginando il corpo di Andrew contro il mio. Un sospiro insoddisfatto lasciò le mie labbra.
«Voglio toccarti» mormorai con tono piagnucoloso, sfiorandomi con le dita la punta congestionata.
«Ssh» sussurrò, trattenendo a stento un gemito «Sto facendo esattamente le stesse cose che sto dicendo di fare a te. È come se mi stessi toccando tu, Francesco, è come se ti stessi toccando io».
Gemetti forte, mandando mentalmente al diavolo l'imbarazzo.
«Cosa... cosa devo fare adesso?» gli chiesi continuando ad accarezzarmi appena.
«Ti piace?».
Ansimai pesantemente nel cellulare, per farglielo capire da solo.
«Sembra che ti piaccia» sorrideva, ne ero sicuro.
Diversi ordini eseguiti e diverse domande inutili più tardi, venni con un lungo gemito ringhiato tra i denti, schizzandomi il ventre con il mio piacere e sentendo Andrew fare lo stesso, a centinaia di chilometri di distanza. Con il respiro affannoso, allungai una mano fino a raggiungere il lenzuolo superiore, accartocciato ai piedi del letto. Mi ripulii alla meno peggio, mentre cercavo di riprendere fiato.
Qualcuno bussò alla porta, per richiamarmi sul set. Con la voce ancora incerta, risposi che stavo per arrivare e salutai Andrew, chiudendo la chiamata e sorridendo soddisfatto.
Un altro tabù era stato spezzato.

Quando rimisi finalmente piede sul suolo italiano, mi sembrò che quei due mesi in Messico fossero passati in un lampo. Andrew mi aspettava all'aeroporto, un cartello con scritto “Francesco Avena” in una mano e un ampio sorriso sul volto.
Mi dovetti trattenere per non saltargli al collo come una di quelle ragazzette dei film per adolescenti in piena crisi ormonale, che si gettavano a pesce sui loro principi azzurri.
E, diamine, non sono una ragazzina e lui non è il mio principe azzurro; ci mancherebbe altro! Dove sarebbe il divertimento?
Andai a recuperare il mio trolley – verde marcio, naturalmente; si capisce che è il mio colore preferito? –, prima di andargli incontro.
Quando gli arrivai davanti, indicai con un cenno del capo il cartello che teneva in mano.
«Pensavi che non ti riconoscessi?» gli chiesi con un sorrisetto ironico, inarcando un sopracciglio.
«In realtà pensavo che non ti ricordassi più il tuo nome, sergente Martinez» rispose lui, divertito. Stavamo mascherando egregiamente la nostra voglia di saltarci addosso.
Ebbene sì, gente, siamo due grandi attori!
Risi, allungandomi per baciargli una guancia. Fu una mossa a dir poco azzardata: il suo odore mi penetrò le narici, rendendo piuttosto complicato evitare di...
Troncai il pensiero sul nascere, altrimenti sarebbe stato dieci volte più difficile trattenermi.
«Devi salutare qualcuno?» mi chiese Andrew all'orecchio, con un tono che mostrava perfettamente tutta la sua impazienza e la sua voglia di tornare a casa.
«No, ho avvisato tutti sull'aereo; ho detto che sarei scomparso subito dopo essere atterrati» confessai, stringendo una mano sul suo avambraccio e guardandolo con un sorrisino malizioso.
«Mmm, perfect» commentò compiaciuto.

Quando arrivammo all'appartamento abbandonai il trolley nell'ingresso e mi sfilai la giacca, mentre Andrew mi spingeva verso la camera da letto; ridacchiai, voltandomi, affondando le dita nei suoi capelli e baciandolo, finalmente, come avrei voluto fare all'aeroporto. Mi mancava sentire il suo corpo contro il mio, il suo sapore tra le labbra, le sue ciocche nere che mi accarezzavano il viso; mi mancava sentire le sue mani su di me, il suo respiro sulla pelle, la sua gentile irruenza mentre spingeva i fianchi contro il mio per farmi sentire il suo desiderio.
Lo spinsi contro la parete, sbottonandogli in fretta il cappotto che indossava ed affrettandomi ad infilare le mani sotto la maglia che indossava; il suo calore contro i palmi mi inebriò, per qualche secondo non riuscii a fare nulla di più che continuare a baciarlo. Sembrava che da quello dipendesse la mia sopravvivenza; in quel momento, non era neppure troppo inverosimile.
«Bedroom» soffiò sulla mia bocca, posando le mani sulle mie spalle ed allontanandomi gentilmente.
Grugnii qualcosa di incomprensibile, cercando di nuovo le sue labbra, ma lui ridacchiò e mi spinse via, afferrandomi poi per un polso e trascinandomi in camera.
Ci spogliammo in fretta, gettando gli abiti alla rinfusa sul pavimento, poi Andrew si lasciò cadere di schiena sul letto, invitandomi con un ghigno malizioso a raggiungerlo. Lo feci senza farmi pregare, appoggiando le ginocchia accanto ai suoi fianchi e i gomiti ai lati della sua testa. Lo baciai ancora, insaziabile, e feci toccare le nostre erezioni.
Mi si mozzò il fiato, quando sentii una sua mano afferrarle insieme e cominciare a muoversi piano; mi separai dalle sue labbra di scatto, espirando bruscamente l'aria che avevo nei polmoni.
Avvertii il suo sorriso, gemetti quando l'altra mano si posò sulla mia nuca per spingermi la testa contro il suo petto e mi strinse la parte superiore dell'orecchio tra i denti. Affondai i miei nella pelle morbida del suo collo.
Il movimento della sua mano continuava, mentre ci lasciavamo segni in ogni porzione di carne che riuscivamo a raggiungere, graffiando, mordendo, succhiando. Quando si fermò ero ad un passo dall'orgasmo.
Mormorò qualcosa al mio orecchio, non riuscii a decifrare esattamente le sue parole; ridendo mi spinse e ribaltò la nostra posizione, mettendosi a cavalcioni su di me. Si sporse verso il comodino e prese il tubetto del lubrificante ed un preservativo. Me lo infilò senza perdersi in fastidiosi preamboli, ma la sua espressione mentre lo faceva era così terribilmente oscena da farmi venire quasi all'istante. Sorrise, baciandomi l'anca, poi aprì il tubetto del lubrificante e se ne spremette un po' sulle dita. Guardandomi fisso negli occhi, si sdraiò nuovamente al mio fianco; fece scivolare la mano lungo il suo petto, sfiorandosi appena, per poi farla sparire tra le sue stesse gambe.
Riuscii ad intuire esattamente il momento in cui si penetrò con una prima falange per cominciare a prepararsi, guardandolo mi si seccò la gola. Socchiuse gli occhi, quando al primo dito se ne aggiunse un altro e poi ancora un terzo, quando fu finalmente pronto, mi sorrise incoraggiante.
Mi posizionai tra le sue gambe e gliele sollevai tenendole da dietro le ginocchia, poi la stessa mano che l'aveva lubrificato si chiuse sul mio sesso per guidarlo durante i primi attimi della penetrazione.
Fu bello sentirmi di nuovo parte di lui, poter godere di nuovo del suo corpo e della sua vista mentre lo spingevo velocemente verso l'apice.

«Tu... tu... sei incredibile» borbottai quando fu tutto finito, sfilandomi dal suo corpo e buttando il preservativo nel cestino accanto al letto, lasciandomi poi cadere al suo fianco, sul materasso e attirandolo contro il mio petto. Gli morsi il collo, per poi tempestarlo di baci; mi era mancato tantissimo, in quei due mesi. Averlo di nuovo tra le dita era un'emozione enorme, mi sentivo quasi scoppiare il cuore; ero felice.
Ridacchiò, con il fiato corto, accarezzandomi i capelli con aria soddisfatta.
«Non te n'eri ancora accorto?» fece inarcando un sopracciglio con espressione divertita. Mi schioccò un bacio sulla guancia, solleticandomi la pelle con quell'accenno di barba che mi piaceva tanto, poi si allontanò un poco da me.
Mugugnai qualcosa, seccato dall'improvvisa distanza tra i nostri corpi.
Mi sentivo estremamente stupido, ma desideravo davvero entrargli nella pelle, fondermi con lui; devo aver preso troppo sole, in Messico.
Sentii che apriva uno dei cassetti del comodino – sì, quello dove generalmente mettevamo i preservativi ed il lubrificante, che però quel giorno, chissà perché, erano posati semplicemente sul ripiano superiore – e frugava alla ricerca di qualcosa. Masticò un paio di imprecazioni in inglese, facendomi quasi scoppiare a ridere, prima di esclamare qualcosa con palese soddisfazione; evidentemente aveva trovato quello che cercava.
Quando tornò accanto a me, cingendomi il torace con un braccio, aveva uno strano sorrisetto sulle labbra; mi fece una certa impressione, era abbastanza inquietante. Finsi di rabbrividire per farglielo capire, si lasciò andare ad una risata che mi fece ribollire il sangue nelle vene.
«Ho una sorpresa per te» annunciò, sventolandomi un pacchetto piatto e colorato sotto il naso; allungai una mano per afferrarlo, ma lui lo spostò fuori dalla mia portata, sogghignando subdolamente divertito «Però devi riuscire a prenderla».
Sbuffai.
«Hai idea di quanto sia stanco?» bofonchiai, storcendo il naso e sottolineando la mia stessa domanda con un sonoro quanto finto sbadiglio; evviva l'infantilismo «Non puoi pretendere che io riesca a rubarti qualcosa in queste condizioni».
«Sembra che tu sia stato in grado di fare altro, nelle stesse condizioni» ribatté lui accennando maliziosamente alla nostra nudità.
«Quello dovevo farlo, ne andava della mia sanità mentale».
Rise forte, abbassando la guardia per un attimo. Ne approfittai all'istante, riuscendo a strappargli il pacchettino dalle mani; sorrise compiaciuto, annuendo alla mia mossa.
«Da perfetto bastardo» commentò «Distrai il nemico, poi lo colpisci nel suo punto nevralgico. Davvero da bastardo».
Scossi il capo con fermezza, spingendolo di nuovo di schiena contro il materasso e salendo a cavalcioni su di lui.
«No, tesoro, è da persona intelligente; non ti avrei mai sottratto la mia sorpresa, se non avessi fatto questo. Lo sai benissimo anche tu; non riuscirai a farmi sentire in colpa».
«Spero solo che tu non abbia detto balle, per riuscire a distrarmi» commentò, continuando però a sorridere divertito.
«Solo la verità».
Mi chinai a baciarlo dolcemente, comprendendo a cosa si stava riferendo; quando ci separammo aprii la busta, curioso ed impaziente come un bambino il giorno del suo compleanno.
Mi bloccai di colpo, spalancando la bocca.
Lo guardai con la mia migliore espressione da pesce lesso, sfilando i due biglietti aerei dal pacchetto; sorrise compiaciuto, spingendomi a leggere la destinazione.
Giappone.
«Tu magari te ne sei dimenticato, ma lei non l'ha fatto» sorrise, davanti alla mia smorfia stupita «Ti porto a conoscere Megumi, non sei contento?».
E poi sono io, il bastardo.
 
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4 replies since 3/7/2011, 17:23   57 views
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