| Only_ |
| | Nick autore: Only_ Titolo storia: Journeys Titolo capitolo: Parte I Genere: romantico, erotico, commedia Avvertimenti: Slash, Lemon, Long-fic Breve introduzione: Senza prestare troppa attenzione all'imbarazzo che, potente, aveva cominciato ad invadermi, fissai gli occhi nei suoi, leccandomi allusivamente le labbra, e ripresi a muovere il polso. (…) Una risata si mescolò ai miei gemiti, quando formulai quel pensiero; chiusi gli occhi, masturbandomi più forte e più velocemente, aspettandolo. Eventuali note: sono felicissima di questa storia, estremamente soddisfatta del mio lavoro e della passione che ci ho messo per scriverla. È in assoluto la cosa più lunga e complessa che abbia mai scritto, ho superato la soglia delle ottomila parole e sono al settimo cielo per questo. Andrew e Francesco mi hanno ostacolata un paio di volte (diamine, non volevano proprio andarsene da quell'ingresso maledetto!), ma poi hanno capito che assecondandomi avrebbero avuto più soddisfazioni (scleri di una povera mente stanca e provata, ignoratemi pure). Trovo che sia una shot particolarmente ricca, almeno dal mio punto di vista, e ci sono affezionata nonostante tutta la sofferenza che mi ha causato il parto (perché sì, signore mie, è stato un autentico parto scriverla). Ci sono diversi salti temporali, ma tutto sommato dovrebbe essere abbastanza chiara. Oh, vista l'estrema lunghezza a cui non sono assolutamente abituata, ho diviso la shot in due parti u.u Partecipante al contest Around the World Journeys Parte I «... e non so se accettare il ruolo. Le riprese dovrebbero durare due mesi. Per Matteo sarebbe una stronzata rifiutare, ma... ecco, il Messico è lontano e non voglio, sai... lasciarti qui» conclusi, fissando le mie mani strette attorno ad una tazza di caffellatte caldo. Ci eravamo alzati da poco e avevo deciso di renderlo partecipe delle mie indecisioni. Qualche giorno prima avevo ricevuto una succulenta proposta per un ruolo di coprotagonista in un film di un regista abbastanza importante; sarebbe stato magnifico ed avrei accettato ad occhi chiusi, se il suddetto film non fosse ambientato in un paese sperduto del Messico. Non sapevo se era giusto accettare una parte così e lasciare Andrew solo in Italia; dopotutto lui era rimasto per me, non per le opere d'arte o la buona cucina. Solo per me. «Fra» mi chiamò dolcemente, facendomi alzare gli occhi dalla tazza e puntarli nei suoi «Sai che Matteo ha ragione. Non puoi buttare via un'occasione di questo tipo, non arrivano spesso. È la tua opportunità per farti davvero un nome nel cinema internazionale. Qui in Italia sei abbastanza conosciuto, ormai, ma se chiedessi ad un newyorchese se sa chi sei sono sicuro che ti direbbe di no, magari prendendoti per un pazzo psicopatico» sorrise. «Sì, ma... non voglio lasciarti qui da solo» bofonchiai, pur sapendo che la sua logica era più logica della mia. Sapevo che rifiutare un'offerta del genere era come scavarsi la fossa da soli, ma davvero non mi andava di lasciarlo in Italia da solo. E non mi andava di stare lontano da lui. Dannazione, due mesi sono tanto tempo! Possibile che non se ne renda conto? «Nemmeno io scoppio di gioia al pensiero di stare lontano da te per sessanta o più giorni, love, non azzardarti nemmeno a pensare il contrario» mi ammonì subito, scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte ed accarezzandomi dolcemente una guancia «Dico solo che se vuoi davvero realizzare il tuo sogno di diventare un attore famoso devi sapere fare anche questo genere di scelte. So che non è facile, nemmeno io sono molto entusiasta all'idea di non poterti vedere per così tanto tempo, ma rifiutare sarebbe davvero deleterio per la tua carriera».
Quel pomeriggio comunicai a Matteo la mia decisione: sarei partito diretto al Nuovo Continente. Il mio agente sembrava davvero contento e sollevato, ma io non condividevo completamente il suo entusiasmo. Magari il film sarebbe stato un flop ed io avrei sprecato due mesi della mia vita in Messico, lontano da Andrew. Magari al mio ritorno sarebbe cambiato qualcosa, tra di noi. L'ottimismo non è mai stato una mia prerogativa, ecco. «Le riprese cominceranno a settembre, la partenza in aereo è prevista il due» mi comunicò Matteo con un ampio sorriso sul volto «Avete ancora un mesetto per starvene tranquilli, insieme, poi dovrete salutarvi per un po'». Come se non lo sapessimo già. Gli scoccai un'occhiataccia, afferrando la mano di Andrew ed uscendo dall'ufficio; nonostante fossimo amici da tantissimi anni, rimanevo sempre sconvolto dal poco tatto del mio agente. Secondo lui perché avevo esitato tanto ad accettare? Non ho mai rifiutato un ruolo, e lo sa, cosa pensava che mi passasse per la testa?
Due settimane dopo, quando Matteo mi diede gli ultimi dettagli sulla partenza, divenni quasi isterico. Mancava solo una settimana e mezza, prima del viaggio in Messico, prima di allontanarmi da Andrew per due lunghi mesi. Quando arrivammo alla macchina, dopo essere usciti dall'agenzia, mi resi conto che ero troppo nervoso per guidare – mi stavano tremando le mani, santo cielo –, così Andrew si mise al volante al posto mio. Fissandomi i piedi in preda allo sconforto, non mi accorsi che la strada che stavamo percorrendo non era quella che portava al mio appartamento. Quando me ne resi conto, eravamo già fuori città. Andrew non rispose a nessuna delle mie domande sulla nostra destinazione, limitandosi a guardarmi con la coda dell'occhio e sorridermi in modo dolce e rassicurante. Dopo l'ennesima curva e l'ennesima domanda da parte mia, accostò in una piazzola e si mise a trafficare con il suo cellulare. Pochi attimi più tardi, nell'abitacolo risuonarono le note limpide di un pianoforte; non conoscevo quella canzone, ma ebbe un immediato effetto rilassante su di me. Il suono dello strumento era accompagnato da una graffiante voce maschile che, incredibilmente, non strideva per nulla con quella base classica; non compresi tutte le parole – il tedesco lo ricordo solo per sommi capi, dopo le superiori l'ho abbandonato – ma capii il senso del testo senza troppi problemi. Sentii gli occhi inumidirsi pericolosamente ma, cazzo, non potevo mettermi a piagnucolare come un cretino; in qualche modo, incredibilmente, riuscii a trattenere le lacrime. Mi voltai verso Andrew, commosso, e lui mi regalò uno dei suoi più bei sorrisi, per poi allungarsi verso il mio sedile e baciarmi teneramente. Mantenne la stessa espressione, separando le nostre labbra, e riprese a guidare verso una meta che conosceva solo lui. Mi rilassai sul sedile, ascoltando quella canzone che ancora invadeva l'abitacolo, e mi godetti il paesaggio che ci circondava; la nostra destinazione rimaneva oscura, le dolci colline che si vedevano in lontananza non mi riportavano nulla di particolare alla mente. Perso nei miei pensieri, lentamente e senza accorgermene, scivolai nel sonno.
Mi svegliai qualche ora dopo, probabilmente; era calato il buio e Andrew i stava delicatamente scuotendo una spalla; lo osservai con gli occhi ancora socchiusi, in risposta mi sorrise. «We're arrived» mi comunicò, sganciandosi la cintura di sicurezza ed uscendo dall'auto. Ci misi qualche minuto in più, ma dopo essermi stiracchiato e stropicciato gli occhi e aver sbadigliato alcune volte, fui anche io fuori. Era molto raro che riuscissi a dormire in macchina: ogni volta che c'era qualcuno al volante al posto mio, non potevo fare a meno di alternare occhiate apprensive alla strada e al contachilometri. Ero terrorizzato all'idea di fare un incidente. Quando avevo appena dieci anni, ad un incrocio, un'automobile aveva tamponato la nostra mentre i miei genitori, mia sorella Anita ed io stavamo andando a fare visita a mia nonna. Papà aveva subito una commozione celebrale, mamma si era incrinata qualche costola per l'impatto; Anita ed io ne eravamo usciti illesi, per fortuna. Traumatizzati a vita, però illesi. Da quel giorno i viaggi in macchina erano diventati difficili da sostenere, sia per me che per chi guidava; scattavo come una molla per qualsiasi cosa, andavo in iperventilazione per un nonnulla, senza rendermi conto di infastidire il guidatore e ridurre, in quel modo, la sua attenzione sulla strada. Crescendo, soprattutto dopo aver preso io stesso la patente, la tensione era scemata; mi risultava comunque molto difficile rilassarmi tanto da addormentarmi. Nemmeno Anita aveva mai avuto l'onore di vedermi sonnecchiare, in auto, mentre guidava lei. Appena scesi dall'auto, sentii qualcosa di diverso nell'aria: era più densa, umida... salmastra. Strabuzzai gli occhi, guardandomi intorno con espressione palesemente stupita. Ci trovavamo da qualche parte in campagna, probabilmente vicino al mare – sentivo in lontananza il leggero sciabordio delle onde sul bagnasciuga. Davanti a noi c'era una splendida villa a due piani. C'erano alcuni gradini da salire per arrivare alla veranda. Sorrisi tra me, notando quanto quella casa somigliasse a quelle dei telefilm americani della mia generazione; mancava solamente il dondolo su un lato e la bandiera a stelle e strisce affissa sopra l'ingresso. Andrew, appostato accanto agli scalini, allungò una mano verso di me. «Come on, honey» mi disse con un sorriso, indicandomi con un cenno del capo la porta. Il torpore che mi aveva avvolto appena sveglio era svanito in un attimo, ma non riuscii comunque a muovermi dal mio posto accanto allo sportello, paralizzato dalla sorpresa. Probabilmente avevo un'espressione da pesce lesso stampata in faccia. Andrew ridacchiò, mentre tornava sui suoi passi e mi affiancava, per poi prendermi una mano e guidarmi verso la veranda. «Un'amica mi ha dato il permesso di stare qui per tutta la settimana» mi svelò in un sussurro baciandomi la fronte, prima di mettersi a trafficare con le chiavi. Aprì la porta e mi invitò ad entrare; questa volta non indugiai «Dice che per sdebitarmi dovrò portarti a conoscerla». Annuii meccanicamente, troppo preso a guardarmi intorno ed esplorare il nuovo ambiente in cui mi trovavo: l'aria dell'interno sapeva di calore, mi sentii subito a mio agio. «Lo farò più che volentieri!» esclamai con convinzione, muovendomi nell'ingresso ed osservando i bellissimi quadri in stile orientaleggiante che adornavano le pareti ricoperte di legno; lo sentii ridacchiare alle mie spalle «Come si chiama?». «Fukamizu Megumi». «Giapponese?». «Yes sir, Japanese » confermò, cingendomi i fianchi le braccia e posando il mento sulla mia spalla, prima di carezzarmi con la punta gelata del naso la pelle sensibile dietro l'orecchio; sospirai «Ci ha già invitati a casa sua, a Kyoto, al tuo ritorno dal Messico». Scherza? «Sei serio? Vuole che andiamo a trovarla in Giappone?» chiesi con la voce di un'ottava superiore rispetto al solito; rise di nuovo, annuendo. «Sarebbe scortese rifiutare, no? Dopo che ci ha così gentilmente ceduto la sua casa delle vacanze per una settimana, dopotutto, un viaggetto per conoscerla non è così esagerato. E poi non ti piacerebbe girare un po' il mondo? Messico, Giappone... vedrai, Megumi ti piacerà. È una donna splendida; ho lavorato ad una pellicola con lei e, lo giuro, è tutto fuorché la giapponese fredda, austera e silenziosa che cammina un passo dietro agli uomini. È una delle persone più... occidentali, se vogliamo dire così, che abbia mai conosciuto». Mi irrigidii un poco nel suo abbraccio, indignandomi da solo per l'esagerato senso di possessione che provavo nei suoi confronti. Voglio dire, essere geloso di una donna pur sapendo che Andrew era più gay di Elthon John, Freddie Mercury e George Michael... davvero vergognoso. «Non ci credo» sussurrò, con tono palesemente divertito, al mio orecchio; il suo fiato caldo mi solleticò la pelle, facendomi venire i brividi «Sei geloso di lei?». Arrossii, scuotendo il capo; ovviamente non ci cascò. «Don't worry, Fra. Quando l'ho conosciuta era già felicemente sposata e con figli. Non ha mai mostrato nessun interesse di quel tipo nei miei confronti. E anche se l'avesse fatto, dovresti saperlo, le donne non sono davvero fatte per me» concluse, baciandomi appena sotto l'orecchio, dove il collo e la mandibola si congiungevano. Sfiorò quello stesso punto con la punta del naso, cominciando ad accarezzarmi il ventre dopo aver infilato le mani sotto la mia maglietta. Com'era naturale, mi rilassai sotto il suo tocco; adagiai mollemente la nuca contro la sua spalla e, languido come solo lui sapeva essere, mi baciò il collo. Mi sfuggì un sospiro soddisfatto, prevedibile, e le sue labbra si piegarono in un sorriso sulla mia pelle. «Come on, let's go out» sussurrò, posando un nuovo bacio sul mio collo; lo schiocco risuonò nell'ingresso, mi fece ridacchiare. Tolse le mani da sotto la maglietta, lasciandole appoggiate sui miei fianchi, e mi permise di voltarmi. Cancellammo il mio sorriso baciandoci, la prima volta dal mio risveglio; intrecciai le dita ai suoi capelli scuri, attirandolo ancora di più contro di me. Mi mordicchiò giocosamente il labbro superiore, prima che ci separassimo. Gli sorrisi, fronte contro fronte, poi feci scivolare le mani sul suo collo, sulle spalle, sulle braccia, fino a stringere le sue. Sorrise a sua volta, accarezzandomi uno zigomo con la punta del naso; si allontanò dal mio volto, tirandomi verso la porta. «Ti va di vedere cosa c'è qui intorno, prima di visitare il resto della casa?» mi chiese, inutilmente visto che eravamo già all'esterno. «Non che abbia visto molto, fin'ora» ironizzai sorridendo «Siamo vicini al mare, vero?». Annuì, infilandosi le chiavi di casa in tasca dopo aver chiuso la porta. Quando aprì il portabagagli, non riuscii a trattenermi dal ridere: evidentemente ero l'unico a non sapere di questa gita. «So che te lo stai chiedendo: Matteo mi ha aiutato, sì. Doveva farti innervosire per far guidare me. Le borse le hanno portate Sandra e Michele quando eravamo in ufficio» annuì, intuendo i miei pensieri. Uhm... Matteo allora non è così idiota, alla fine. Aprì uno degli zaini, tirandone fuori due felpe; mi porse la mia, accennando all'umidità, ed io la presi e indossai senza una parola. Pochi minuti dopo giungemmo alla spiaggia, approfittando di un sentiero sterrato che correva poco distante dalla casa di Megumi tra i cespugli di more selvatiche – non erano ancora mature, ma Andrew me ne ficcò comunque un paio in bocca. Non era molto ampia – una dozzina di metri ci divideva dalla battigia – e correva lungo tutta la baia; qualcosa mi fece intuire che durante quella settimana sarebbe stata solo nostra, o quasi. Quando ci sfilammo scarpe e calze, il contatto con la sabbia gelida mi fece rabbrividire, nonostante la brezza calda che soffiava dall'acqua. Sulla mia sinistra, dove la spiaggia incontrava uno dei promontori che racchiudevano la baia, c'era un ammasso di scogli. Quasi trascinandolo, costrinsi Andrew a seguirmi. La sabbia era umida e polverosa e si appiccicava ai miei piedi, ma non ci feci molto caso; avevo altro per la testa, anche se non riuscivo a capire esattamente cosa fosse. Appena giungemmo agli scogli, mi arrampicai su quello che mi sembrava più ampio; probabilmente avevo un'espressione di infantile divertimento, perché quando mi voltai verso Andrew per farlo salire a sua volta, scoppiò a ridere. Borbottò qualcosa in inglese, continuando a sghignazzare, ma non riuscii a cogliere le parole, sia per il tono basso che usò sia per il suono forte e continuo della risacca. Quando mi raggiunse lo feci sedere davanti a me; lo abbracciai, circondandolo con le gambe ed appoggiando il mento alla sua spalla, le sue mani si posarono sulle mie, ferme sul suo ventre. «Manca poco» borbottai qualche minuto più tardi, nascondendo il volto contro il suo collo; era caldo, il contatto con la mia pelle fredda lo fece rabbrividire. Probabilmente non aveva capito a cosa mi riferivo, perché ci mise qualche attimo per rispondermi. «Non pensarci e goditi questa settimana; siamo solo tu ed io, nessuno ci disturberà. Sette giorni soltanto noi, non sei contento?» domandò intrecciando le dita alle mie «Vedrai, il Messico ti piacerà. C'è un caldo infernale, soprattutto in questo periodo, ma la gente è cortese e molto disponibile; certo, c'è chi ti punta una pistola addosso se per caso lo osservi con l'espressione sbagliata, ma devi essere davvero sfortunato per trovarti questi delinquenti nel paese dove dovete girare» annuì convinto, facendomi sorridere «I prossimi due mesi passeranno in fretta, fidati di me. Ti divertirai. Mal che vada ci prosciugheremo i conti in banca per telefonarci il più spesso possibile» concluse ridacchiando. Di nuovo restammo zitti; riflettei su quello che mi aveva detto, sorridendo. «Sei già stato in Messico?». Annuì. «Ho girato uno dei miei primi film, lì. Parlo con cognizione di causa, che credi?» scherzò, pizzicandomi giocosamente una guancia, proprio come avrebbe fatto ad un bambino capriccioso. «Vedi di non cornificarmi, ok?» bofonchiai ad un tratto, esternando la mia vera paura per quei mesi. Non rise, come mi sarei aspettato, ma si voltò per guardarmi negli occhi; la sua espressione era la più seria e dolce che avessi mai visto, quando posò le sue labbra sulle mie. «Non lo farò, I promise» mormorò contro la mia bocca, prima di baciarmi ancora, ancora e ancora, finché non mancò il fiato ad entrambi.
Tornammo alla villetta quasi correndo, scambiandoci continuamente occhiate divertite e complici e sorridendo come due adolescenti felici che hanno tutta la casa per loro per la prima volta, perché i genitori di uno dei due sono fuori per lavoro. Andrew aprì la porta e si fece da parte per farmi passare per primo, trattenendomi però per il polso, appena anche lui fu entrato, mi spinse contro la parete, insinuando le mani sotto i vestiti e la lingua tra le mie labbra. Le sue dita mandarono mille scosse di lieve eccitazione a tutto il mio corpo; affondai automaticamente le mie tra i suoi capelli. Le carezze sul mio petto si fecero più insistenti, si concentrarono nella zona intorno ai capezzoli; quando li pizzicò piano, gemetti carico d'aspettativa. Mossi il bacino contro il suo, mozzando il fiato ad entrambi; Andrew mi morse un labbro, gemetti ancora, poi si allontanò dal mio corpo, rimettendo maglietta e felpa al loro posto e respirando un po' affannosamente. «Go upstairs» mi disse indicandomi con un cenno l'interno della casa, le iridi blu brillanti di malizia ed eccitazione «La prima porta a sinistra è la stanza degli ospiti, ours». «Tu dove vai?» chiesi non riuscendo ad impedirmelo, la schiena ancora abbandonata contro la parete. Avevo bisogno del suo sostegno, per non cadere; non ero sicuro che le mie gambe potessero reggermi. Mi sventolò sotto il naso le chiavi della macchina. «Sai, Megumi non ha in casa proprio tutto quello che ci potrebbe servire; per alcune cose mi sono dovuto organizzare, portandole da casa» spiegò con un ghigno malizioso sulle labbra; il mio cuore prese a battere ad una velocità indecente. Trattenni a stento una risatina estremamente poco virile, facendo quanto mi aveva suggerito mentre lui si dirigeva di nuovo all'esterno; con più adrenalina che sangue nelle vene, salii le scale tre gradini alla volta, aggrappandomi al corrimano scuro. La mia eccitazione pulsava in modo doloroso, costretta nei boxer e nei bermuda di jeans. Appena entrai nella nostra camera, senza perdere troppo tempo ad osservare la mobilia, mi gettai sul letto; scalciai con impazienza le scarpe, sfilai le calze e mi inarcai sul materasso per sfilare il bottone dei jeans dall'asola ed abbassare la zip. Mi tolsi anche i pantaloni, seguiti a ruota dai boxer, e serrai la mano attorno al mio pene. Grugnii, cominciando a masturbarmi; sarei sicuramente venuto presto, anche se Andrew non fosse arrivato. Perso nei miei gesti, mi accorsi appena dei rumori che arrivavano dalle scale; sobbalzai, fermandomi, quando Andrew comparve sulla soglia, il mio – solito – zainetto verde marcio in spalla. Si bloccò, spalancando sconvolto la bocca, vedendomi in quel modo. Senza prestare troppa attenzione all'imbarazzo che, potente, aveva cominciato ad invadermi, fissai gli occhi nei suoi, leccandomi allusivamente le labbra, e ripresi a muovere il polso. Le sue pupille scattavano dal mio volto al mio pene: sembrava quasi che non riuscisse a decidere quale parte di me preferiva. Una risata si mescolò ai miei gemiti, quando formulai quel pensiero; chiusi gli occhi, masturbandomi più forte e più velocemente, aspettandolo. Non mi fece attendere: con uno scatto fu accanto al letto, mi accarezzò le gambe nude dopo aver lasciato cadere lo zaino accanto al comodino. Risalendo lungo la mia coscia con le punte delle dita, posò la mano sulla mia, rallentando in modo deciso i miei gesti. Credo di aver bofonchiato qualcosa, in quel momento, ma non so esattamente cosa. Andrew salì con le ginocchia sul materasso, a cavalcioni del mio corpo. «Fermati» mi ordinò con tono deciso; fu impossibile anche solo il pensiero di disobbedirgli. Allontanai la mano dal mio sesso con l'ennesimo grugnito, portandola accanto al mio volto assieme all'altra, aspettando la sua prossima mossa. Sorrise. Infilò le mani sotto la mia maglietta, a contatto con la pelle del mio ventre, e me la sfilò assieme alla felpa; ero completamente nudo sotto di lui. «Spogliati» borbottai, senza però muovere un muscolo. «Non vuoi farlo tu?» ribatté, abbassandosi finalmente sul mio volto, prima di baciarmi con un impeto tale da lasciarmi stordito per qualche secondo. Le sue dita avevano cominciato a vagare sul mio petto, due dita si erano chiuse attorno ai miei capezzoli, pizzicandoli e tirandoli leggermente. Ansimai tra le sue labbra. «Do you like it?» chiese in un soffio, continuando a torturarmi piano. Annuii, sentendo però il bisogno di toccare la sua pelle; portai le mani a tirargli la felpa. Sorrise al mio gesto, di riflesso lo feci anch'io; lasciò la mia bocca e si alzò sulle ginocchia per sfilarsi la maglietta, posai le dita su ogni porzione di pelle appena scoperta. Gettò i vestiti da qualche parte sul pavimento, io sorrisi ancora; affondai le mani nei suoi capelli, tirandolo di nuovo a me per coinvolgerlo in un altro bacio mozzafiato.
Qualche minuto più tardi, nudi, eravamo distesi l'uno di fronte all'altro. La mia mano si muoveva lentamente sul suo membro, lo stesso faceva la sua sul mio; stavamo insieme da quasi un anno, avevamo già sperimentato di tutto, eppure non ci eravamo mai fermati a provare quelle che generalmente sono le prime cose che si fanno in un rapporto. Erano comportamenti abbastanza adolescenziali, eppure li avevo sempre trovati estremamente intimi; la prima volta che ero stato con un ragazzo in quel senso, avevamo entrambi così tanta paura di sbagliare qualcosa da limitarci a masturbarci a vicenda. Sorrisi al ricordo estremamente tenero, Andrew mi rivolse un'occhiata interrogativa. Era incredibile quanto ci fossimo calmati: meno di mezz'ora prima mi sarei fatto scopare senza troppe cerimonie nell'ingresso, mentre in quel momento ci stavamo dedicando a coccolarci senza alcuna frenesia. «Perché sorridi?» mi chiese, curioso, continuando a muovere il polso. Gli raccontai della mia prima esperienza con Paolo – sì, me lo ricordo bene; chi, dopotutto, non si ricorda la sua prima sbandata epica e colossale? – e sorrise anche lui. «Dici che dovrei essere geloso?» ridacchiò, allungandosi un poco per baciarmi una spalla «Siamo qui, insieme, ti sto masturbando e tu pensi ad un altro». In effetti, se fosse stato lui a raccontarmi una cosa del genere proprio in quel momento, sarei imploso dalla gelosia; credo che a chiunque sarebbe successo, anche a qualcuno con la soglia della possessività inferiore alla mia. Lui no, ci scherzava sopra; era incredibile. «Io lo sarei» risposi sinceramente, avvicinandomi ancora un po' al suo corpo e baciandolo vicino alla bocca; mi vennero i brividi, quando il suo fiato caldo mi accarezzò il collo. «Lo sei stato anche di Megumi; il tuo parere non conta» asserì ridacchiando «Cos'altro hai fatto con questo fantomatico Paolo?». Era curioso, glielo leggevo in faccia senza problemi. Allontanò la mano dal mio pene, afferrando il mio polso e costringendomi a fare lo stesso; senza fiatare si posizionò a cavalcioni del mio corpo. Appoggiò il sedere sulle mie cosce, le mani sulle anche e mi guardò, spronandomi a parlare. Non che ci fosse molto da raccontare: Paolo ed io ci eravamo limitati alla masturbazione in due, non ero nemmeno sicuro che ci fossimo mai visti nudi. Era stato con Giovanni che era scattata la scintilla. Era uno dei bagnini della piscina dove mi allenavo con la mia squadra di pallanuoto; ricordo che ogni volta che dovevamo giocare in casa era sempre lì a guardarci. Pensavo che fosse perché ci teneva alla squadra che rappresentava la città, ma poi mi ero ricreduto. Non era lì per la partita, era palesemente lì per me. Ne ero lusingato. I miei compagni di squadra intercettarono presto le occhiate che ci lanciavamo a vicenda durante gli allenamenti e le partite, cominciarono a punzecchiarmi. Arrossivo in modo colpevole ogni volta che mi chiedevano se Giovanni mi piacesse, non riuscivo ad impedirmelo. Non fecero terra bruciata come mi aspettavo; certo, sapevano tutti che ero gay e non avevano mai detto nulla, ma fino a quel momento non mi avevano mai visto intento a flirtare con un altro ragazzo. Mi incoraggiarono a fare il primo pasto, magari ad aspettare che finisse il suo turno come bagnino per offrirgli qualcosa da bere prima di andare a casa. Non servì. Una sera rimasi solo negli spogliatoi, gli altri erano già andati via; non trovavo gli occhialini. «Sono tuoi questi?». La voce del bagnino mi fece sussultare, mi voltai a guardarlo con il cuore che mi batteva a mille; aveva in mano proprio i miei occhialini. Sospirai sollevato, sorridendo, ed annuii. «Li stavo cercando, grazie mille» gli dissi, avvicinandomi. «Erano nelle docce» commentò sorridendo bieco; arrossii, riponendo gli occhialetti nella loro custodia. Non mi mossi da dov'ero, sembravo inchiodato al pavimento. Non so chi si avvicinò per primo, ma un attimo dopo ci stavamo baciando e le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi la schiena da sotto la maglietta. Quella sera ci eravamo limitati alle carezze innocenti e ai baci, non volevamo andare troppo in fretta; c'era stato tempo per tutto il resto. Con Giovanni avevo conosciuto il sesso orale, avevo perso la verginità, avevo imparato a ricevere e dare. Tutte, o quasi, le mie prime esperienze le avevo avute con lui. Andrew annuì, alla fine del mio racconto, senza commentare. «Siamo a due; ci sono altri prima di me? Immagino di sì» sorrise, massaggiandomi le anche con i pollici. Scossi il capo con fermezza. «Solo loro due. Non sono mai stato con altri, né per storie serie né per... avventure». Annuì ancora, chinandosi a baciarmi il petto; sembrava estremamente tranquillo, come se fino a quel momento gli avessi parlato di come mi piaceva fare colazione. Scivolò più in basso con le labbra, fino a giungere al mio ombelico; ne tracciò il contorno con la lingua, per poi mimare in modo piuttosto esplicito una penetrazione. Trattenni il fiato, comprendendo quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Poco dopo ero a quattro zampe sul materasso; non avevo idea di che ora fosse. Le mani di Andrew mi stavano accarezzando dolcemente le gambe e il sedere, facendomi sospirare impaziente. Sperai di aver capito davvero le sue intenzioni; sarebbe stato frustrante altrimenti. Ad un tratto, senza alcun preavviso, posò la lingua sulla mia schiena, cominciando a farla scivolare verso il basso; oh, sì. Mi separò le natiche, continuando nella sua discesa, finché non giunse alla mia apertura. Credo di aver avuto una specie di infarto quando ho sentito la sua lingua forzarla. Cominciai a gemere, ricadendo in avanti, non riuscendo a sostenermi con le braccia; affondai il volto nelle lenzuola, le strinsi tra le dita come se fossero la mia unica ancora di salvezza. «Do you like it?» chiese in un soffio, prima di riprendere esattamente da dove aveva interrotto, senza darmi il tempo di riprendere fiato per rispondergli a parole. Annuii, gemendo con forza il mio apprezzamento. Credo che in quel momento il mio cervello abbia fatto ciao ciao e se ne sia andato in vacanza per un po'; i miei ricordi di quegli attimi sono così offuscati dal piacere che, davvero, non sarei in grado di descriverli. Tanto più che una delle sue mani era andata di nuovo a stimolare la mia erezione. L'orgasmo mi aveva stordito più di quanto già non fossi, anche le gambe avevano ceduto ed ero caduto bocconi sul materasso, ansimando pesantemente. Andrew mi baciò dolcemente la base della schiena, prima di aiutarmi a girarmi ed accoccolarsi al mio fianco, sfiorandomi delicato il ventre. «Piaciuto?» sorrise contro la mia pelle, continuando a far piovere baci leggeri sulle spalle e sul collo. Annuii, riprendendo fiato pian piano. «Questo» borbottai «Questo non me l'aveva ancora fatto nessuno». Rise, scompigliandomi i capelli. «Lo immaginavo» ghignò, baciandomi una guancia. Sentii la sua erezione premere contro la mia gamba, non riuscii a trattenere una risata. «Sei ancora sull'attenti» sorrisi, allungando una mano verso il suo pene, lo accarezzai appena, facendolo sospirare «Dammi un attimo per riprendermi, poi vedo come rimediare». Non rispose. Chi tace acconsente. Appena il mio battito e il mio respiro si furono regolarizzati, lo feci sdraiare a pancia in su. Non mi persi nei soliti preamboli, chinandomi direttamente per prenderlo in bocca. Lo sorpresi. Cominciai da subito a succhiare, tenendo una mano sul suo fianco e l'altra stretta alla base del suo pene, per aiutarmi nei movimenti. Gemetti, quando la punta mi colpì la gola, trasmettendogli delle vibrazioni che lo fecero tremare come una foglia. Era davvero al limite; bastarono pochi affondi perché si svuotasse nella mia bocca gemendo forte.
Ci facemmo una doccia insieme, poi l'occhio mi cadde sull'orologio appeso alla parete del bagno: segnava le cinque del mattino. Spalancai gli occhi, scioccato, ed Andrew seguì il mio sguardo per capire cosa mi avesse sconvolto tanto. Trattenne a stento una risata. «Be', a questo punto potremo andare in spiaggia e vedere l'alba. Che ne pensi?». L'idea non mi dispiaceva; annuii, accorgendomi però che stava trattenendo a stento gli sbadigli. «Se sei così stanco possiamo rimanere qui; abbiamo una settimana per andare a vedere l'alba sulla spiaggia» sorrisi, accarezzandogli una guancia; un principio di barba mi graffiò i polpastrelli, impedendomi di non pensare come sarebbe stato sentire quella ruvidezza in altre parti del mio corpo «Dopotutto io ho dormito anche in macchina, non so neppure quanto». «Quasi quattro ore» mi informò, sbadigliando «Sicuro che non ti dispiace sprecare un'alba?». «Non stiamo sprecando proprio niente, Andy. Andiamo a letto, dai» risposi con sicurezza, prendendolo per mano e trascinandolo verso la nostra camera. Avevamo già cambiato le lenzuola, così non persi tempo a spingerlo sul materasso. Mi sdraiai al suo fianco, gli accarezzai i capelli finché non si fu addormentato, baciandogli la spalla. Lentamente scivolai a mia volta nel sonno.
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