Nick autore: kymyit
Titolo storia: Il caso della band visual keiTitolo capitolo: Capitolo 1: Arrivo a Villa Bloomfield.
Genere:Avvertimenti: Giallo, romantico, suspece, thriller... ok, non lo so definire bene, è anche un po' scema come storia.
Breve introduzione: Una nota casa discografica americana decide di lanciare una band giapponese visual kei: gli Shunkashuutou.
Una dei dirigenti invita nella sua villa, insieme agli ospiti asiatici, il suo amico d'infanzia italiano Iyv, il ragazzo di lui e la sua sorellina, Hogan ed Helena Russell.
Quando poi Haruka, la cantante, verrà trovata morta spetterà proprio all'italiano e al suo socio rimboccarsi le maniche e venire a capo del complicato mistero.
Perché niente è come viene fatto sembrare.
Se poi ci si mette un medico legale con cui Iyv ha un conto in sospeso, la situazione non è certo delle migliori.
Eventuali note: E' la mia prima originale, mi chiedo se non l'abbia già postata O_O E' anche il mio primo giallo, non sono ancora esperta nonostante divori polizieschi televisivi e cartacei. Se avete anche qualche consiglio, vi sarei grata **
Capitolo 1: Arrivo a Villa Bloomfield.Hogan spense la sigaretta nel portacenere dell’auto. Richiuse il cassettino e prese a frugare nel cruscotto.
-Cosa stai cercando?- chiese il suo compagno di viaggio, senza distogliere lo sguardo dalla stradina sterrata che andava percorrendo.
-La mia rivista.- rispose, continuando a frugare invano fra documenti e fogli sparsi vari.
-L’ho messa nella tasca dietro il mio sedile.- disse l’altro, accennando un sorriso furbo.
Hogan gli si accostò, frugando dove gli aveva indicato, col viso tremendamente vicino al suo. Il guidatore emanava un profumo molto dolce e fresco, percettibile solo a quella distanza così ravvicinata.
-Tsk… - Hogan fece schioccare la lingua dopo aver recuperato la sua tanto agognata rivista e si allontanò dall’altro con un sospiro di sollievo.
-L’hai fatto apposta.- disse accusatorio, senza neppure guardarlo.
L’altro sorrise –Non ti saresti mai avvicinato spontaneamente a me e, come vedi, io non posso muovermi.-
Era un viaggio lungo. Un’ora dispersi in un bosco per di più in forte ritardo al loro appuntamento. Ovviamente, la colpa era di Hogan, che aveva fatto un sacco di storie.
Hogan Russell era un trentenne cinico, con l’aria vissuta di chi conosce il mondo come le proprie tasche. O meglio quella parte di esso che non tutti conoscono se non attraverso le cronache nere. Aveva scelto lui stesso di vivere in quel modo, circondato dal sangue e dalla violenza. Aveva i capelli grigi in completo disordine (sembrava gli fosse scoppiato un petardo in testa) e le basette leggermente rase prolungate fin sotto l’orecchio. I suoi occhi, o meglio il suo occhio sinistro, era castano. Quello destro l’aveva venduto per una cospicua somma a un trafficante d’organi e sostituito da una benda nera da pirata… avrebbe dovuto vendere anche il rene, ma poi aveva avuto la “sfortuna” d’incontrare il suo compagno e le sue tribolazioni economiche erano finite.
Iyv Lancia, era solo uno degli appellativi utilizzati dal guidatore dell’auto. Era un giovane trentenne di bell’aspetto, dagli occhi verdi e i lunghi capelli biondi che gli arrivavano al termine della schiena. In quel momento li teneva raccolti in una treccia bassa posata sulla spalla, faceva parecchio caldo per essere una giornata di fine estate. Vedere il giovane per la prima volta, poteva causare sorpresa e persino qualche malinteso. Anche Hogan era rimasto leggermente stupito la prima volta che ebbe modo di parlare con lui. Il suo corpo risentiva ancora dell’effetto di alcuni ormoni che aveva iniziato a prendere per lavorare al caso che aveva permesso il loro incontro. Il viso era leggermente femminile, ma giusto appena, e le sue mani erano affusolate e ben curate. I capelli lucidi e sempre perfetti, gli abiti puliti, i denti smaglianti… se fosse stato anche ordinato, avrebbe guadagnato notevoli punti nella mente di Hogan. Iyv era di origini italiane, ma aveva conoscenti quasi ovunque e negli ultimi sei mesi aveva sede lavorativa e domicilio variabile in diverse città americane, con Hogan e la sorellina di lui. La piccola aveva solo quindici anni, figlia della madre di Hogan e di un uomo che li aveva abbandonati sul lastrico. La sua malattia era la causa delle tribolazioni del fratello maggiore, ma grazie al bell’italiano poteva finalmente vivere al di fuori delle quattro mura di una stanza d’ospedale. Helena, quello era il suo nome, dormiva profondamente sdraiata fra i sedili posteriori. I suoi lunghi capelli biondo cenere erano sciolti e in disordine sul cuscino che aveva sistemato sotto la testa. Ogni tanto parlava nel sonno, suscitando sorrisi benevoli e materni da parte di Iyv.
La padrona della villa in cui si stavano recando era una dirigente di una nota casa discografica, figlia di un amico di famiglia del giovane italiano.
-Eccola là!- esclamò trionfante Iyv.
Una parte della villa fece capolino fra gli alberi. Ci volle un poco per scorgerla completamente, ma una volta giunti all’enorme cancello d’ingresso, i tre (Helena si era appena svegliata) poterono ammirare la facciata anteriore in tutta la sua magnificenza.
Era in stile ottocentesco, divisa in tre piani. Aveva indubbiamente subito influenze italiane, lo dimostravano le statue di divinità latine allineate lungo il viale, tutte in bianco marmo pregiato. Helena le fissava, incantata dalla loro armonica bellezza.
-Sembrano quasi persone vere.-
-Aha… venivo spesso a giocare in questo posto.- disse Iyv, abbassando il finestrino per annunciare dal citofono il suo arrivo. Il cancello si aprì quasi subito, silenziosamente.
-E’ grazie al signor Bloomfield che ho sviluppato un forte amore per la mitologia.- concluse l’italiano.
Finalmente l’automobile si fermò e i tre scesero, mentre un uomo longilineo, quasi calvo, sulla sessantina si avvicinava a passo svelto, seguito da una giovane donna dai capelli rossicci di media lunghezza. L’uomo indossava un’elegante camicia bianca, con cravattino, scarpe e pantaloni neri. Lei un vestito color pesca, decorato da una spilla di brillanti bianchi appuntata sulla sinistra, sopra il cuore. Era una spilla a forma di rosa, per essere precisi e doveva costare una vera fortuna.
-Iyv, che piacere!- esclamò la donna, a braccia aperte.
-Emily!- rispose a tono lui, abbracciandola, poi si avvicinò a Hogan e gli cinse le spalle col braccio sottile, mettendosi appena in punta di piedi per rimediare alla differenza d’altezza –Lui è Hogan Russell. Lei invece è Helena, sua sorella.-
-Molto piacere.- Emily strinse la mano alla ragazza e poi al trentenne, ridendo divertita quando questi pizzicò con due dita il braccio dell’italiano, liberandosi di quell’abbraccio non gradito.
-Io sono Emily Bloomfield, mentre lui è il signor Leonard Hopkins.- disse la donna –E’ il mio maggiordomo, una persona di fiducia. Se avrete bisogno, sarà a vostro servizio. Fate pure come se foste a casa vostra.-
Mentre il compagno si lasciava andare ai convenevoli e informava la donna su qualcosa circa i loro nomi, Hogan, che sapeva di cosa si trattava, meditava di strozzarlo, sia per esser stato trascinato in un luogo che non lo faceva sentire per niente a suo agio, sia appunto per quella faccenda. Non poté però esimersi dall’ammirare le linee eleganti e geometriche della facciata. In particolare, la sua attenzione e quella della sorella, furono attratte da un appariscente volto in rilievo sul portone d’ingresso.
-Questo è Giano.- disse Iyv quando furono all'interno e mostrò ai due il rilievo sulla parte posteriore della porta. C’era la stessa identica faccia. -Era considerato dai romani il custode di ogni forma di passaggio, di tutto ciò che ha inizio e fine.-
E parlò, parlò, parlò… Helena lo ascoltava rapita, mentre Hogan si continuava a guardare intorno. C’erano tantissimi piccoli rilievi dell’uomo bifronte sugli stipiti di ogni porta, sulla ringhiera di legno delle scale. E ancora: busti di marmo e altri oggetti da esposizione a carattere mitologico più o meno ovunque.
-Gli altri ospiti sono già qui?- chiese poi Iyv
-Si, sono nel salotto al secondo piano.-
Ironico il giovane si rivolse a Hogan –Mi raccomando, cerca di non sbranare nessuno, eh! Non gioveresti alla mia reputazione.-
Helena alzò gli occhi al cielo, sarebbe successo qualcosa, conosceva bene i suoi polli, specie il fratello.
Il gruppetto scambiò qualche altra battuta all’ingresso, poi il signor Hopkins li scortò fino al salotto, dove attendevano gli altri invitati
Fine Capitolo 1Capitolo 2: Gli ospitiEntrati nel salotto, Iyv poté constatare che tutto era rimasto identico nel corso degli anni.
C’era sempre il caminetto di marmo di fronte alla porta, i due divani di pelle bianca e due poltrone dello stesso materiale disposti intorno ad un tavolino rettangolare basso, dalle forme eleganti e sinuose. C’erano le solite tende rosa in tono col tappeto dello stesso colore e il pavimento di legno, ancora lucido, come nuovo.
Mancava solo una cosa, o meglio, una persona.
Arnold Bloomfield si era spento due anni prima, a causa di un attacco cardiaco che l’aveva stroncato nel suo studio all’età di sessant’anni. Essendo vedovo e non avendo altri parenti se non Emily, la sua fortuna era toccata alla preziosa figlioletta e in parte ai suoi dipendenti più stretti, come il cuoco di famiglia Hugh Hench, il maggiordomo Leonard Hopkins e la cameriera Michelle Hudson, che aveva lasciato la villa dopo un po’ di tempo, causa problemi personali.
Trascorreva le sue giornate davanti al camino, a leggere antichi manoscritti sulla mitologia e le credenze popolari, li considerava la base per comprendere le persone. In base alle loro credenze, fondate o meno, poteva scoprirne le paure, guardare nel loro essere. Per Iyv era stato come un secondo padre. Inutile dire che aveva pianto la sua scomparsa per giorni e giorni.
-Bene, ragazzi.- la voce squillante di Emily ruppe il filo dei suoi nostalgici pensieri –Voglio presentarvi un mio caro amico.- si voltò verso Iyv –Il suo nome è Virgil Nightingale.- poi Helena –Sua sorella Leda- e infine Hogan –e il suo amico, Patrick Varsittart.-
A sentire quel nome, due degli ospiti sussultarono un poco.
-Varsittart?- chiese una ragazza un tantino sovrappeso, seduta in una delle poltrone –Quel Varsittart?-
Hogan annuì, scurendosi appena in volto.
Iyv era una persona parecchio conosciuta, almeno di nome. O meglio, di soprannome, perché nessuno lo conosceva di persona. E lui preferiva così, dopotutto era un personaggio scomodo a molti.
Perché avesse voluto fare scambio d’identità con lui, però gli era ignoto.
“Glielo chiederò più tardi.”
-Lasciate che vi presenti gli altri ospiti.-
Cominciò dalla ragazza grassa.
-Lei è Salomè Portman. E’ il nostro direttore artistico.-
-Molto piacere.- disse l’interessata.
Hogan annuì e le strinse la mano –Piacere mio.- si limitò solo a questo, anche per tutti gli altri.
Il seguente fu Thomas Bowen, il responsabile del marketing, poi quattro ragazzi giapponesi, la causa di quell’affollamento.
Facciamo un passo indietro.
Emily Bloomfield, grazie a suo padre, aprì un’importante casa discografica: la Bloom House of Music o BHM.
La ragazza grassa, Salomè, era da principio la sua segretaria, ma si rivelò un ottimo investimento come direttore artistico, tanto più che aveva gusto nel vestire, idee brillanti ed era una ragazza di mondo, informata su i mezzi di comunicazione, mode del momento e chi più ne ha più ne metta. E dire che aveva solo trent’anni, mascherati alla perfezione dal viso paffuto e lentigginoso, dai capelli rossi e ricci e dall’incredibile quantità di accessori spiritosi con i quali si agghindava. In più aveva un nasino all’insù davvero molto grazioso. Indossava un abitino nero fiorellini gialli e una giacchetta bianca di cotone.
Thomas Bowen, trentotto anni, era anche lui un collaboratore stretto di Emily, precisamente si occupava del marketing. Aveva i capelli castani, lisci, con l’attaccatura alta, pettinati in maniera seriosa. Era l’esatto contrario della collega. Infatti, portava gli occhiali e vestiva un completo impeccabile in gessato. Gli occhiali scivolavano spesso lungo il suo naso aquilino, costringendolo a tirarli su di continuo.
Il terzo ospite era giapponese, come i restanti quattro. Si chiamava Shinnosuke Mitsutani.
Aveva il viso squadrato, i tipici zigomi alti e gli occhi neri sporgenti. Portava anche lui gli occhiali, tondi, e indossava una semplice polo azzurra, abbinata a pantaloni neri. Era sulla quarantina e aveva la fronte alta. I capelli neri lucenti erano pettinati ordinatamente. Una persona abbastanza comune, all’apparenza. In realtà era il manager dei quattro ragazzi che stavano seduti nel divano, intenti a mangiucchiare dolcetti e bere il caffè offerto.
Il piano della Bloomfield era semplice.
Indagando sulle mode giovanili, aveva scoperto che andavano molto di moda i gruppi giapponesi, in particolare le così dette band visual kei, in cui si presta molta attenzione al look dei membri e quindi all’apparenza oltre che alla sostanza.
Si era detta “Perché non lanciare una band del genere?”
Così si era recata nel paese del Sol Levante con i suoi due fidi colleghi e altri addetti ai lavori e aveva scovato quei quattro.
Si facevano chiamare: Shunkashuutou. Le quattro stagioni.
Semplice in quanto a significato e complesso da pronunciare allo stesso tempo.
La ragione era che, casualmente, tutti avevano nei loro nomi i kanji delle varie stagioni o di termini affini. Ed era su questo che avevano lavorato fin a quel momento.
Mafuyu Yukimura, di anni ventuno, era il leader e fondatore del gruppo.
Non era molto alto, né aveva particolari qualità fisiche che lo mettessero in risalto.
Occhi a mandorla, zigomi alti, folta zazzera nera, un piccolo neo sotto l’occhio sinistro. Un classico giapponese, insomma. Certo però che aveva una voce molto dolce e calorosa. Nel gruppo si occupava di cantare, suonare il basso e scrivere alcune canzoni. Indossava una maglietta a maniche corte azzurra e dei pantaloni in gessato, niente di particolare. Era una persona che non amava gli eccessi e anche sul palco, si distingueva per essere il più normale fra i quattro.
La ragazza seduta accanto a lui, si chiamava Shuukako Sekizan, di anni venti. Era la chitarrista del gruppo. Una ragazza molto affascinante e fisicamente matura per la sua età. I lunghi capelli castani, tinti in realtà, presentavano diverse tonalità dal marrone scuro al biondo cenere e i suoi occhi erano scuri e grandi. Indossava una canottiera bianca, coperta da una t-shirt a rete bordeaux e pantaloncini color cachi. I lobi delle orecchie erano decorati da due graziosi orecchini composti di foglioline dai caldi colori autunnali e le labbra contornate da un rossetto scuro, sempre sulle tonalità calde della terza stagione.
Accanto a lei vi era un ragazzo con i capelli rossi scuri. Tinti da un pezzo evidentemente, perché presentavano una fastidiosa ricrescita scura di almeno due - tre centimetri. Il suo nome era Natsuya Minami, anni ventuno, batterista della band. Era più alto di Mafuyu di una buona spanna ed era il più eccentrico del gruppo, insieme alla compagna seduta al suo fianco, non Shuukako. Infatti, aveva espansori neri in entrambi i lobi delle orecchie e lenti a contatto verdi. I capelli erano scompigliati persino più di quelli di Hogan, ed era evidente che aveva del fondotinta sul viso. Indossava una canottiera nera e pantaloncini rossi e neri a fantasia scozzese.
Infine Haruka Sakuragi, anni venti. Se Natsuya era eccentrico, lei lo era certamente in misura maggiore. Essendo la voce principale della band era quasi d’obbligo per lei mettersi in mostra maggiormente, ma per quell’occasione si era vestita con gli abiti più normali che possedeva.
Una magliettina verde con le maniche a sbuffo e la scollatura del collo chiusa da laccetti, minigonna nera e sandali dello stesso colore con le cinghie rosa abbinate nientemeno che ai suoi capelli. La prima cosa che una persona notava in lei, infatti, erano proprio quelli. Una massa liscia e morbida rosa confetto, ora raccolta ordinatamente in due trecce e decorata da un piccolo fermaglio con due cuoricini verde e rosso e la frangetta che superava appena le sopracciglia.
Come Mafuyu si occupava di scrivere i testi delle canzoni per il gruppo.
Il contratto era stato firmato da poco e bisognava discutere altri dettagli quella sera.
-Meglio farlo dopo cena.- propose Emily –Il viaggio è stato lungo e faticoso per tutti, perciò, mettetevi a vostro agio e riposatevi fino alle… Leonard, a che ora?-
Il maggiordomo ci pensò su qualche secondo, poi rispose –Direi verso le otto signorina.-
-Molto bene, allora se volete scusarmi, ci vediamo in sala da pranzo per quell’ora. Virgil, la tua camera sai dov’è.-
Iyv annuì, ma non si recò subito nella sua stanza. Gli piaceva chiacchierare e si fermò nel salotto con gli ospiti.
Anche Helena non n’era per niente dispiaciuta, anzi aveva già rotto il ghiaccio con le asiatiche e stava facendo loro il terzo grado. Inutile dire che durante la sua degenza in ospedale si fosse consolata parecchio con fumetti e televisione, perciò era rimasta colpita dal fascino orientale.
Riguardo a Hogan, rimase in silenzio in un angolo, arrovellandosi il cervello, senza accorgersi di essere al centro dell’attenzione. Infatti, mentre perso nei suoi pensieri si chiedeva se ci fosse un motivo particolare per cui Iyv avesse nascosto agli ospiti la sua falsa identità oltre a quella vera, la signorina Salomè e il signor Thomas lo fissavano sottecchi.
Quando finalmente se ne accorse, capì che era soprattutto la benda ad incuriosirli.
-Beh? Che avete da guardare?!- ringhiò scontroso. Se avesse creduto all’esistenza degli angeli custodi, avrebbe sicuramente immaginato Iyv come uno di quelli, posato sulla sua spalla con cetra e aureola, intento a straziarlo affinché si comportasse bene. Cantando.
Iyv cantava in maniera orribile e si ostinava a farlo sotto la doccia per provocarlo e costringerlo a bagnarsi anche lui pur di tappargli la bocca.
Trattenendosi dallo sbraitare o dall’incenerire con lo sguardo i presenti si alzò, e lasciò la sala.
-Vado a riposare un poco.- disse secco.
Helena lo osservò leggermente dispiaciuta per lui, sapeva quanto poco stesse a suo agio in mezzo alla gente, ma non lo seguì.
Il trentenne fece qualche passo veloce, poi si fermò all’imboccatura delle scale del terzo piano.
Il signor Hopkins, che l’aveva seguito, lo raggiunse.
-Le mostro la sua stanza?-
-Aha.- rispose, scostandosi appena e seguendo l’uomo.
Il piano di sopra era un lungo corridoio, con circa dieci stanze da letto con servizi (era pur sempre una villa antica e poi Emily amava invitare persone per far lunghe feste). Hopkins lo accompagnò alla penultima porta in fondo.
-Siamo arrivati, signore.- poi indicò la porta accanto a quella, che era l’uscio sul lato corto del corridoio, di fronte alle scale –Questa è la stanza della signoria, mentre quella di fronte alla vostra è la mia, per qualsiasi cosa, non esitate a bussare.-
-Hai detto la nostra?-
-La sua, di sua sorella e di Iyv.-
-Ah…-
Hopkins gli sorrise –Signor Hogan, so perfettamente come stanno le cose e Iyv parla sempre di lei e della piccola Helena alla signorina Emily, ormai è come se foste di famiglia.-
Hogan fece schioccare la lingua e sorrise amaramente –Già… io però sono sempre l’ultimo a sapere le cose.-
Hopkins alzò le spalle –Che vuole che le dica… sappia che il signorino Iyv non si diverte a nascondersi al mondo intero.-
Il trentenne annuì ancora. Salutato l’anziano, entrò nella sua stanza, in silenzio.
Iyv era ancora al secondo piano, ma stava congedandosi dagli ospiti per riposare un poco prima di cena.
“Quello… quando si diverte davvero? Il suo sorriso… quando è reale e quando è la solita maschera?” Hogan si buttò supino sul letto, senza neppure dargli un’occhiata. Incrociò le braccia dietro la nuca e chiuse l’occhio.
Ignorò Iyv che entrava silenziosamente. Lo ignorò mentre si adagiava accanto a lui.
-Scusa.- disse piano l’italiano –Sono così egoista. -
Sorrise appena Hogan. Il tono contrito dell’altro, quello non riusciva a ignorarlo proprio.
Fine Capitolo 2Capitolo 3: Cena con delitto al termineSe dovessero chiederti, principessa d’Autunno,
Qual è il tuo desiderio
Se potessero esaudirlo
Vorresti davvero che l’onta fosse pagata con la morte di lei?
(Autumn Princess no Kanashimi, Shunkashuutou)
Le otto arrivarono presto. Hogan protestò come suo solito. Ma con un po’ di fatica e tanti sorrisi, Iyv riuscì a farlo alzare dal letto e prepararlo per la cena.
Dovette sfoggiare il miglior sguardo da cucciolo della sua carriera di navigato latin lover (a suo dire) per convincere il compagno a infilarsi una camicia nera e dei pantaloni in gessato eleganti.
Hogan però fu irremovibile su diversi punti: niente cravatta, camicia sbottonata e capelli sparati.
Essere riuscito a dargli un’aria più distinta era già un traguardo ragguardevole, perciò il biondo non protestò e si diede un’ultima sistemata ai propri capelli.
Li legò in una coda di cavallo. In quel modo il collo rimaneva scoperto.
Dannatamente scoperto, a detta di Hogan.
Sembrava lo facesse apposta!
Ad ogni modo, i due erano pronti. Helena si era preparata in precedenza e li aspettava di sotto, giocando a scacchi con la padrona di casa.
-Sei molto brava.- le disse Emily e la ragazzina sorrise.
-Per essere la prima volta, devo ammettere di andare piuttosto bene, però non capisco molte delle sue mosse.- inarcò le sopracciglia.
-Dammi del tu.- le disse -Vedi, è tutta questione di esperienza. Gioco a scacchi tutti i giorni e con gli anni ho imparato trucchi molto interessanti. Però…- guardò verso la porta della stanza –Leonard è decisamente molto più bravo di me. Ho come l’impressione che qualche volta mi faccia vincere.-
-No, dai!- Helena era sorpresa –Davvero, sembra incredibile, sei così brava!-
-Signori.- Il signor Hopkins entrò nel salotto con aria formale –La cena è in tavola.-
-Era ora!- esclamò il batterista.
-Natsuyakun!- lo beccò Shuukako –Un po’ di educazione.-
Lui fece spallucce e s’incamminò tutto contento dietro il maggiordomo. Mafuyu e Haruka seguirono, ma dopo aver lasciato passare la padrona di casa e gli altri.
Iyv e Hogan scesero le scale velocemente, congiungendosi col folto gruppo.
La sala da pranzo era piuttosto grande.
Sulla porta c’era sempre intagliato il volto di Giano. Il tavolo d’ebano scuro era ricoperto da una tovaglia bianca, carica di decorazioni floreali e cibarie.
La maggior parte delle persone presenti ebbe l’acquolina alla bocca al sol vedere gli antipasti di mare. Per non parlare di quelli di terra.
E c’erano forme di pane dall’apparenza bizzarra e deliziosa, fragranti e croccanti al punto giusto.
Il lato sinistro della stanza constava di un piccolo portico al chiuso con grandi finestre dalle intelaiature nere e una porta che dava sul giardino posteriore alla villa.
-Prima di cominciare.- disse Emily, sollevando un bicchiere con del vino rosso –Vorrei proporre un brindisi.-
Tutti si versarono del vino, persino Helena, alla quale Hogan versò circa due dita.
-Agli Shunkashuutou e al loro primo disco internazionale!-
-Agli Shunkashuutou!- fu la risposta.
Dopodiché, tutti si sedettero, con gran sollievo di Hogan, che temeva gli interventi imbarazzanti di Iyv. E vedere sul suo viso quello strano sorrisino malefico, era prova che stava per farne uno.
-Buon appetito.- disse Emily.
E dopo un sentito “grazie” finalmente la cena ebbe inizio.
Il gruppo giapponese preferì prima cosa l’antipasto di mare.
Mafuyu era come sempre composto e ben educato, attento ai modi di fare e si puliva spesso la bocca, dopo tre o quattro bocconi.
Anche Shuukako e Haruka, così come Mafuyu e il signor Mitsutani avevano modi fini o per lo meno educati, infatti, non si gettavano sul cibo come avvoltoi, come invece faceva Natsuya.
Hogan ci diede dentro con gli antipasti di terra e dovette smettere di masticare rumorosamente, per udire la voce della signorina Salomè che gli chiedeva del formaggio.
Si pulì il muso velocemente e le porse, masticando un piatto ricco di tranci di formaggio italiano.
-Quello è pecorino sardo. E’ una vera delizia, vi consiglio di assaggiarlo.- disse Emily indicandone una fetta, mentre la signorina Salomè, presa la sua porzione, passò il piatto prima a Hogan e poi al signor Bowen.
-E’ buonissimo.- fu il commento di Haruka, quasi sorpresa –Tutta un’altra cosa rispetto ai formaggi giapponesi.- le fece eco Shuukako.
Iyv prese la sua porzione dopo averla servita a Helena, seduta fra lui e Hogan, e porse il piatto verso Natsuya, il quale rifiutò, fissando il cibo.
-No grazie.- disse.
-Mi dica signor Nightingale, lei di cosa si occupa?- chiese il signor Bowen, tirandosi su gli occhiali.
Iyv si asciugò le labbra dopo aver sorseggiato del vino e posò la forchetta.
-Lavoro come professore di archeologia greca e romana in Italia. E’ stata dura per uno straniero ottenere quella cattedra.- disse, con fare melodrammatico –Lei signor Bowen? Il suo sarà un lavoro stressante, tutti quelle cifre da tenere sott’occhio. Senza contare che il mercato cambia velocemente…-
Da quel momento i due continuarono un discorso a due, fatto di cifre, tasse, costi e chi più ne ha, più ne metta, perciò la padrona di casa fece segno al signor Hopkins di servire il primo.
Questi iniziò a sparecchiare e disporre i piatti più o meno vuoti su un carrello, per poi dirigersi verso la porta di fronte all’entrata, che dava alla cucina.
-Perdonatemi, la cameriera ha avuto dei problemi personali, perciò Leonard si occupa quasi di tutto qui. Avete mai mangiato in un ristorante italiano, signor Mitsutani?-
L’uomo annuì –Una volta soltanto, signorina Bloomfield.- disse educatamente –E’ ho trovato tutto squisito.-
Helena notò che l’uomo pronunciava frasi piuttosto brevi e concise in inglese ed era molto educato, parlava dando del lei a tutti, tranne appunto ai ragazzi giapponesi e alla piccola americana, che chiamava però signorina.
Provava parecchia tenerezza nei suoi confronti e ipotizzò non conoscesse bene l’inglese o avesse paura di fare gaffe.
La portata principale arrivò pochi minuti dopo. Era pasta condita col ragù e fu molto apprezzata da tutti.
Hogan la spazzò dal piatto velocemente, rimanendo quasi soffocato da uno spaghetto, mentre Iyv gli porgeva ridendo un bicchiere d’acqua e Helena gli dava delle pacche sulla schiena.
La signorina Salomè era piuttosto a suo agio in quel clima allegro di festa e non si fece problemi a fare il bis.
I ragazzi orientali ebbero qualche problema con le posate, ma riuscirono comunque a gustare le delizie che furono servite da quel momento in poi.
Dopo la pasta, fu la volta dell’abbacchio al forno, con contorno di peperoni ripieni, melanzane sott’olio e gratin di patate.
-Natsuchan, nelle patate c’è il formaggio.- disse Haruka al suo vicino, dopo qualche boccone.
Quello corrugò appena le sopracciglia e rimise il vassoio apposto, servendosi poi con i peperoni (e lasciandoli nel piatto scoperto del formaggio anche in quelli) le melanzane e un grosso trancio di carne.
-Posso farvi qualche domanda?- chiese educatamente Helena.
-Dimmi, Ledachan.- rispose Haruka, sorridendo.
-Volevo sapere: nei vostri concerti recitavate dei ruoli?-
-A volte sì, a volte no.- fu la risposta.
-Tu che ruolo facevi?-
Haruka sorrise –Io ero la principessa, la guerriera del regno degli zombi…-
-L’amante del principe Volcan.- la beccò Shuukako.
Haruka le lanciò un’occhiataccia, che certo non sfuggì all’intrepido “professore d’archeologia”.
-Sempre meglio del ruolo di principessa della Porta d’Autunno, quel giorno non hai dato il meglio, mia cara.- rispose con aria provocatoria. Ciò detto le due si fissarono in cagnesco per qualche secondo e fecero cadere il discorso.
Helena ci rimase piuttosto male, ma Mafuyu le fece un sorriso, sussurrandole di non preoccuparsi.
La cena proseguì liscia come l’olio.
Fu la volta della frutta e infine del dolce.
Quando tutti terminarono e si diressero nel giardino, Leonard Hopkins si occupò di sparecchiare e rimettere in ordine la sala.
All’esterno, i grilli frinivano vigorosamente, coprendo talvolta le chiacchiere degli ospiti.
Emily accompagnò Helena e gli invitati stranieri a conoscere le meraviglie di quel piccolo giardino, mentre Iyv si calò nel suo ruolo di Virgil Nightingale e supportò in silenzio Hogan, il quale dovette subire l’interrogatorio da parte del signor Bowen e della signorina Salomè.
-Dev’essere stata dura lavorare a quel caso sul principato di Sealand.- disse lei.
Hogan sbottò –Tutti i casi sono difficili.- e Iyv alzò gli occhi al cielo.
-E’ assurdo pensare che chi dovrebbe proteggerci e guidarci si diletti in modo così crudele.- fu il commento amaro di Bowen –I nomi dei politici coinvolti non sono stati resi noti, se non sbaglio, vero?-
-Esatto.- fu la risposta di Hogan. Secca.
Iyv gli porse il pacchetto di sigarette e gliene accese una mentre il trentenne la reggeva fra le labbra.
Entrambi avevano passato un’esperienza parecchio snervante a Sealand, ai tempi del loro primo incontro, circa quattro anni prima.
Era “cominciato” tutto con una busta anonima.
Dentro vi erano informazioni riservate del destinatario con promesse di guadagno in caso di vincita a quel reality.
Un Reality Show in diretta mondiale, ecco cosa credevano che fosse.
Un evento senza precedenti e con enormi possibilità di far carriera anche per disadattati poveri in canna com’erano i partecipanti.
C’era anche un’ereditiera russa, ma lei era un caso a parte.
Lei e quel ragazzino appena uscito dal riformatorio furono gli unici a salvarsi.
La ragazza africana che sognava di fare la stilista, il pianista svedese caduto in disgrazia a causa della droga, l’anziana senzatetto che viveva nella metropolitana di New York… erano tutti morti.
Ingannati, attirati con false promesse e uccisi.
Perché chi è utile alla società sopravvive. Chi no, viene eliminato dal gioco e dalla vita.
Che poi, anche la vita è un crudele gioco che esalta alcuni e schiaccia altri senza pietà.
E si dice che le prove che essa ci propone siano proporzionali alla nostra capacità di sopportarle.
Inversamente proporzionali, secondo Hogan.
Lui fu pagato per fare la spia sui concorrenti. Per svelare chi era a conoscenza che oltre quella porta rossa non c’erano fama e gloria ma morte e oblio.
Nessuno oltre chi scommetteva sulle loro vite vedeva quelle immagini.
E Hogan lo sapeva.
Soffriva, ma riceveva il denaro.
Helena poteva essere curata e quello lo aiutava a sopportare tutto.
Poi Iyv lo attirò nella sua stanza quella notte.
Hogan scorse la sua sagoma nuda dietro la tendina della doccia, conobbe quel “piccolo” segreto. Assaporò le sue labbra sottili e si strinse a quelle spalle insolitamente robuste.
Si aggrappò a quei capelli con forza, venendo a sapere da Iyv, con quel loro alfabeto morse, tutto particolare, che lui era un poliziotto. Che non doveva prestarsi a quell’abominio.
Che anche lui sarebbe stato ucciso e Helena non avrebbe più ricevuto le cure.
E infine…
Infine rimasero in quattro, perché le prove concrete, oltre la testimonianza di Hogan Russell, considerato testimone inaffidabile, arrivarono solo dopo la morte di Erika, la ragazza africana.
Per tutti quei cento giorni, entrambi dovettero fingere di non sapere, sorridere a tutti, senza poter salvare nessuno.
Un inferno abbracciato da entrambi con coraggio.
Hogan per Helena, Iyv per la giustizia, per il bene degli oppressi e dei dimenticati.
Di coloro la cui vita è posposta al denaro.
-Mi spiace che Patrick sia così scontroso.- s’intromise Iyv –Ma è stata un’esperienza parecchio dura e vi assicuro che prima di agire, ha lavorato tantissimo su quel caso.-
E chi meglio di lui poteva saperlo? Si era fatto passare per una prostituta transessuale, altra pecca della società agli occhi di chi si celava dietro le telecamere e puntava il dito giocando sulle loro vite e la sera andava a caccia di sesso a pagamento sulle autostrade.
Ipocriti bastardi.
Ad ogni modo, il discorso cadde poco dopo, quando i due curiosi capirono quanto poco propenso al dialogo fosse il grande investigatore Patrick Varsittart, conosciuto di nome in tutto il mondo per le sue doti deduttive e i suoi metodi fuori dal comune.
Circa un’ora dopo, gli ospiti si congedarono e si ritirarono nelle loro stanze per la notte. I giovani orientali si divisero in due camere. Le ragazze nella stanza al lato sinistro del corridoio, i ragazzi di fronte a loro.
Gli altri tre presero camere separate.
Iyv e Hogan si chiusero la porta alle spalle, ma poco dopo Helena la riaprì, uscendo, con alcune riviste sottobraccio e il suo lettore mp3.
-Dove vai, signorina?- chiese Hogan indispettito, già a petto nudo, pronto a infilarsi sotto le coperte.
-Emily mi ha chiesto di dormire in camera sua.-
-Emily? Già le dai del tu?- ribatté Hogan.
Helena inclinò la testa fissandolo –Tu dai del tu a chiunque.-
-Affondato.- fu la risposta di Iyv, che si beccò l’ennesima occhiataccia.
-Ad ogni modo, divertitevi.- sghignazzò e fuggì via.
Hogan rimase basito –Divertitevi?!-
Dal corridoio la quindicenne sentì il fratello inveire verbalmente, e con insulti anche pesanti, contro l’investigatore. Alzò gli occhi al cielo rassegnata e bussò alla porta della stanza di Emily.
Non poté però fare a meno di sentire uno strano vocio proveniente dalla stanza delle due nipponiche.
Non capiva bene, finché non percepì distinte parole nella loro lingua natale, delle quali capì ben poco.
Ad ogni modo era certa che stessero animatamente discutendo.
La porta della stanza di Emily Bloomfield si aprì mentre la ragazza ancora fissava l’uscio da dove provenivano le parole sommesse delle due.
-Scusami Helena, ero sotto la doccia… che succede?-
-Non so… sembra stiano discutendo.-
Emily scosse la testa –Sono irrecuperabili. Litigano spesso, ma smetteranno presto. Dai entra.-
-BRUTTA TESTA DI CA-
La frase di Hogan fu per fortuna interrotta da un cuscino volante.
Le due, ancora nel corridoio diedero una scrollata di spalle, entrambe rassegnate anche dell’irrecuperabilità di due certi individui.
-Scordatelo!- ringhiò Hogan –Oggi no!-
Iyv rimise su la faccia contrita da cerbiatto.
-Ma io… siamo soli…-
Hogan portò il suo viso vicino a quello del biondo, fissandolo comunque dall’alto in basso –Quale parte di “Oggi no” non capisci?-
-Il “no”.-rispose subito Iyv, baciando poi Hogan, troppo disarmato da quella risposta veloce per sfuggire a quelle braccia lunghe e sottili che si avvinghiarono intorno alle sue spalle ossute.
Troppo debole nel desiderio di sentire il corpo caldo di quel disgraziato strofinare col suo. Hogan presto cedette a quel carnale desiderio e si lasciò indagare, scoprire, pian piano.
Lasciò carezzare a Iyv il suo viso, le sue spalle, il suo petto.
Aspettò che si dilettasse con i suoi capezzoli, che li assaporasse come deliziose fragoline su una torta invitante fatta di carne e sangue.
Attese sempre con meno pazienza che scendesse a carezzare i suoi fianchi, che torturasse il suo interno coscia con quei morsetti bastardi (lo adorava, ma mica poteva dirglielo?).
Infine lasciò che aprisse piano le sue gambe, svelando quell’entrata per il mondo del piacere.
Si sentì così idiota e cercò di serrare le gambe, ma Iyv fu ancora una volta più lesto e si gettò a capofitto su di lui, impedendo la chiusura di quel paradiso col suo corpo.
-Nessuno saprà…- gli sussurrò, col viso vicinissimo al suo -… che ti sto prendendo, caro il mio Mr. Muscolo…-
Un ringhio feroce gli diede il segnale di via libera.
Ormai Hogan Russell era semplicemente rassegnato ad avere Iyv fra le sue gambe.
Ma era anche convinto, che appena questi avrebbe abbassato la guardia, si sarebbe trovato una bella sorpresina fra le chiappe.
-E’ notevole come una ragazzina come te, possa accettare questa situazione.- disse Emily
-Vedi… a un certo punto io… io ho scoperto cosa faceva mio fratello. Perciò… sono contenta che abbia trovato qualcuno con cui stia bene.- disse piano Helena. Pensare a quello che Hogan faceva per lei, ignaro che a un certo punto l’avesse scoperto, la faceva commuovere e non poteva fare a meno di versare qualche lacrima.
Emily posò le carte che aveva in mano e le porse un fazzoletto.
-Su su, cara… comunque sia, anche Iyv…- scosse la testa –Patrizio… anche lui ha finalmente trovato qualcuno. Ha il brutto vizio di fuggire dalle relazioni col prossimo. E’ un signor svincolone quello.-
La parola “svincolone” fece ridere Helena.
Gemette sempre più forte e finalmente, con un’ultima spinta e un potente gemito, Hogan venne sul petto di Iyv.
Il biondo gli sorrise, carezzandogli le guancie e asciugandogli le lacrime colate fino alle ispide basette.
-Abbi pazienza, mio caro. Ora ti raggiungo, in paradiso.-
L’italiano riprese a spingere, ormai prossimo anch’egli all’orgasmo, sempre più rapido, con la coscienza che veniva sempre meno e finalmente, accompagnato da un’ultima poderosa spinta del bacino, esplose dentro il corpo di Hogan.
I due si lasciarono andare ansimanti sul letto per diversi minuti.
Sudati e insoddisfatti.
Era stato veloce ed entrambi volevano un lento ed estenuante secondo round, perciò si alzarono contemporaneamente per “aggredirsi” a vicenda e si ritrovarono a faccia a faccia, arrossati e sconvolti.
I capelli di Iyv erano un disastro e quelli di Hogan… sembravano più un enorme, devastato, batuffolo di cotone argenteo.
-Oddio, dovresti vederti!- rise Iyv sguaiatamente e Hogan gli afferrò le spalle, atterrandolo sul materasso –Vedremo fra poco chi dei due non dovrà essere visto…- sorrise maliziosamente e gli strinse forte il membro con la mano destra.
Iyv mugugnò, sollevando un umile protesta, quando un urlo interruppe quell’idillio.
E anche la prima volta, dopo tre settimane, in cui Hogan rendeva l’italiano il suo passivo.
Il signor Hopkins fu il primo a uscire dalla sua stanza, seguito da Emily e Helena.
La donna fece rimanere la ragazzina alle sue spalle, mentre tutti si radunavano nel corridoio.
-Shuukako?!- chiese Natsuya, bussando alla porta.
La ragazza aprì, tremante.
-Haru… Haru…- aveva il fiato corto e il viso sconvolto.
Natsuya le cinse i fianchi, per rassicurarla.
-Shuu, che è successo?-
-Harukasan?- chiamò Mafuyu.
Nessuna risposta.
O meglio, la risposta giunse. Da Shuukako.
-Mo… morta…-
Fine Capitolo 3Capitolo 4: L’indagine di HoganCala il sipario, ma aspetta!
Non andare via. Attendi!
La notte è lunga, ma l'alba è ormai prossima.
Confida nel sole, che svelerà l'arcano.
(Midnight Arcane, Shunkashuutou)
Una volta dentro la stanza delle due ragazze, Iyv chiuse la porta per poter lavorare in santa pace, anche se a malincuore. Perché per quanto amasse i misteri, non era certo felice di sbrogliare intricate tele tessute al costo di vite innocenti.O anche solo a costo di vite umane. Innocenti o meno, le vite son vite. Non hanno un valore calcolabile numericamente.
Emily, nel frattempo, aveva fatto accomodare gli ospiti e l'esigua servitù presente nella villa, nel salotto al piano inferiore.
Hogan rimase immobile sull'uscio, mentre il vero investigatore infilò dei guanti di plastica che portava sempre con sè.
Non si sa mai...
-Non credi sia ora di rivelare la tua vera identità?- sbottò l'americano.
-Eeeeh?- esclamò Iyv in falsetto -Ma non ci penso nemmeno!-
-Tsk...- sbottò l'altro.
-Vieni, vieni, devo spiegarti quello che devi dire.- disse velocemente Iyv, facendogli segno con la mano di avvicinarsi .
L'americano fissò trucemente il compagno -Come sarebbe a dire?-
L'italiano era vicino al letto, intento a fotografare il corpo della povera Haruka col suo palmare. Scattava foto da tutte le angolazioni ad ogni particolare sulla scena del delitto che potesse tornare utile. Perché era una scena del delitto, non il teatro di una morte accidentale.
-Non ho intenzione di continuare a fingermi te.- protestò Hogan.
Iyv continuò a trafficare col cellulare.
-Oh beh... se non vuoi... peccato però, per una settimana volevo essere a tua completa disposizione...-
Com'era facile incastrare Hogan... Iyv sapeva che se ne sarebbe pentito, ma certo non l'avrebbe dato a vedere. Quella piccola "innocente!" provocazione fece abbassare le difese dell'americano, che si mostrò perlomeno disponibile all'ascolto.
-Ho mandato le foto della scena del delitto a Theodore, in modo da ottenere un consulto, non si sa mai.-
-Quel Theodore? Non fa il secondino?- ribattè Hogan.
-Si si, ma ha agganci nella scientifica. Cioè, li avrei anche io, ma qualcuno lassù mi odia.- ridacchiò, come se nulla fosse.
-Chissà perché poi...- fece l'americano con dipinta sul viso una sarcastica espressione.
-Non è colpa mia se ho un bel faccino.-
-No, tu hai una gran faccia da cu...- -Su su!- lo interruppe Iyv -Concentriamoci.-
Hogan sospirò e mise anche lui dei guanti di plastica forniti dal compagno.
Il corpo di Haruka giaceva di fianco sul letto, girato verso la parete del bagno.
Ora, la stanza era composta di due letti e un divano letto. I due letti erano uno di fianco all'altro, ma separati da uno dei comodini. Il letto dove giaceva Haruka era il secondo, dietro di esso vi era l'armadio, davanti il letto vuoto che forse era di Shuukako e il muro del bagno. Davanti alla porta del bagno c'era un corridoietto che dava sulla porta della stanza, la quale però non si vedeva se non dalla zona del divano. Fra questo e i letti vi era un tavolino colmo di dolciumi e borsette e un sacco di gadget femminili che Hogan non aveva mai visto se non nei suoi peggiori incubi. Peluche grandi, peluche piccoli, peluche minuscoli, calzini per cellulare, non si sa mai prendesse freddo, portachiavi con lucetta per avvisare delle chiamate, porta caramelle di peluche... Il paradiso delle mocciose e delle ragazzette infantili, sempre per come la vedeva Hogan. In più, molti di questi gadget erano rosa shocking.
Uno shockante rosa shocking.
Il colore principale della stanza era il verde chiaro. O almeno, le lenzuola e il divano lo erano. Anche i tappeti e le tende. I muri erano color panna e le porte di legno scuro, con annessa testa di Giano.
Gli occhi vacui della ragazza erano socchiusi e la sua gola presentava una profonda ferita. Una mano era stretta intorno ad essa e perciò coperta di sangue, l'altra era penzoloni, anch'essa insanguinata, ma un particolare attirò l'attenzione di Iyv.
La prima cosa che fece, dal momento in cui Hogan aveva fatto sloggiare tutti coi suoi modi "carini e gentili" e si era rintanato con lui nella stanza, fu il controllare che Haruka fosse morta davvero.
Purtroppo era così.
Poi aveva controllato l'ora. Le 22:33.
Svolte queste fondamentali azioni, si era messo a fare le foto.
-Una persona che sta morendo dissanguata non mette certo il braccio in questa posizione, col dito indice puntato e le altre dita socchiuse.- disse, assorto nei suoi pensieri.
Così, Iyv, si portò a controllare minuziosamente e non sommariamente quel lato del letto. Pareva indicare il muro del bagno, ma l'italiano comprese invece che la ragazza -Stava lasciando un ultimo messaggio.-
Hogan lo raggiunse, incuriosito. Iyv allora scostò un poco il corpo di Haruka e scoprì delle strane macchie di sangue sulle lenzuola.
-Cosa sono?- chiese Hogan corrugando le sopracciglia.
-Sono caratteri giapponesi.- rispose l'altro.
-E cosa c'è scritto?-
-Non lo so.- fece Iyv con una smorfia. Prese il cellulare e scattò l'ennesima foto. Poi si alzò.
-Dunque, ascoltami bene. Haruka è morta nell'intervallo fra le dieci e le dieci e trentatré minuti. E' stata colpita al collo con un'arma da taglio, il suo corpo è stato poi spostato per coprire il messaggio, ciò significa che fino al momento della morte o quasi l'assassino era qui dentro.- camminò per la stanza continuando a cercare qualcosa, si chinò per controllare sotto i letti e in ogni angolo. Nel frattempo continuava ad esporre il modus operandi e le sue immediate deduzioni -La ferita è netta e profonda, sferrata con forza. Ed è perpendicolare al lato sinistro della gola. Da quello che posso capire, le sue corde vocali state danneggiate.Non ha potuto chiedere aiuto ed è morta dissanguata- fece una pausa - Per infliggere questo tipo di ferite c'è bisogno di forza. E perché poi una ferita simile? C'è un significato?- Iyv continuò a snocciolare deduzioni su deduzioni, nel frattempo Hogan vagò per la stanza, alla ricerca di una possibile arma del delitto.
Poi vide qualcosa luccicare al debole chiarore lunare.
La finestra era chiusa, ma le tende no.
-Guarda questo.- disse Hogan, richiamando l'attenzione di Iyv su un piccolo oggetto tintinnante, appena raccolto vicino alla porta del bagno.
Iyv si voltò.
Era un orecchino coperto di sangue. Ed era di Shuukako.
-E' lei l'assassina?- fece Hogan.
Iyv scosse la testa -Troppo comodo dire così.- prese l'orecchino dalle mani dell'altro -Non sono convinto, per la questione della forza esercitata sull'arma del delitto. E poi, non dovevi toccarlo...- scosse un poco la testa -Comunque, prima di affermare chi sia l'assassino dobbiamo controllare gli alibi. E l'unico confermato è il nostro.- ovviamente mise su la solita faccia da schiaffi e col dito compose dei cerchietti immaginari sul petto del compagno, costringendolo ad arretrare. E sporcandogli un po' la camicia di sangue. -Ops, adesso è diventata una prova del reato... dovresti levarla...- lo guardò maliziosamente ed Hogan gli diede un "leggero" pugno sulla fronte.
-Finiscila!-
Iyv scosse ancora la testa e aprì le braccia al cielo, alzando le spalle -Non sai proprio stare agli scherzi...- disse, con aria tragica, poi tornò serio -Comunque, dopo aver confermato gli alibi, potremmo davvero escludere o aggiungere qualcuno alla lista dei sospetti. Perciò, mi raccomando cerca di mantenere la calma.-
-Eh?-
-Devi fare tu gli interrogatori.-
-No.-
-Settimana soli soletti, a tua disposizione in una stanza d'albergo, tutto pagato dal sottoscritto, prendere o lasciare?-
Hogan strinse i pugni.
-Giura.-
-Giuro.-
Sospirò profondamente e batté il capo sulla porta, piano.
-Andata.- sogghignò sornione.
-Com'è facile convincerti, maniaco.- disse sarcastico Iyv.
Nel salotto, Shuukako stava seduta sul divano, con accanto Natsuya e Mafuyu. Il rosso le teneva la mano e le cingeva come poteva le spalle con il braccio. Lei continuava a dondolarsi in avanti, con le lacrime agli occhi e tremava. Emily ed Helena sedevano nel divano di fronte. La padrona di casa cercava di mettere a suo agio la ragazzina, divenuta pallida a causa dell'accaduto e anche lei con le lacrime agli occhi.
Il signor Mitsutani teneva il capo chino fra le mani e lo scuoteva incredulo. Mafuyu era forse l'unico che riusciva a mantenere un certo contegno, ma si mordeva di tanto in tanto le labbra e aveva gli occhi umidi. Natsuya era scosso da tremiti di rabbia, anche se non piangeva. Anche la signorina Salomè e il signor Bowen, seduti sulle poltrone, erano scossi. Lui si sistemava continuamente gli occhiali per il nervoso, lei non faceva che soffiarsi continuamente il naso. Il signor Hopkins aveva preparato del tè per tutti e lo stava servendo, silenziosamente. Era turbato sì, ma non lo dava a vedere.
Era stato un soldato un tempo perciò suo malgrado era abituato a simili situazioni e sapeva agire razionalmente di conseguenza. Ma non era insensibile, tutt'altro. Vicino alla finestra, intento a fumare una sigaretta, stava un uomo di cinquantaquattro anni. Era di media altezza, con una prosperosa pancia rotonda. Indossava una camicia bianca e pantaloni neri. Aveva ancora addosso il grembiule da lavoro, sporco dei residui di cibo. Il suo nome era Hugh Hench ed era il cuoco di famiglia di villa Bloomfield, con vent'anni di servizio sulle spalle e trenta di esperienza.
Quanto Hogan e Iyv fecero il loro ingresso nella stanza, tutti alzarono lo sguardo e li fissarono.
O meglio fissarono Hogan, alias il grande investigatore Patrick Varsittart.
Questi si sentì infastidito per le attenzioni non gradite, ma memore del patto con l'italiano e della sua presenza come "assistente", il fasullo investigatore intimò a tutti di rispondere alle sue domande, con un cipiglio scuro che avrebbe fatto tremare i morti.
-Ora ognuno di voi mi dirà cos'ha fatto dopo cena.-
Iyv sospirò impercettibilmente e diede un pizzicotto al fianco del compagno, che però lo fulminò con lo sguardo.
I pizzicotti s'intensificarono, ma avevano un certo ritmo dispettoso che Hogan riconobbe.
Iyv voleva dirgli -Mi raccomando, calmo, carino e coccoloso.- il che si poteva riassumere in cinque lettere -Buono.-
Il giovane avanzò nella stanza e cominciò ad esporre i fatti.
-Haruka Sakuragi è stata uccisa, ma questo lo sapete già... tu.- si rivolse a Shuukako, la quale alzò la testa. Hogan esitò e continuò ad indicarla, poi schioccò le dita, cercando di ricordarsi il suo nome.
-Shuukako.- fece lei, tirando su col naso.
-Cosa stavi facendo fra le 22:00 e le 22:33 minuti?-
Lei lo fissò sbigottita, con le labbra semi aperte.
-Non... non penserà che io...-
-Per me siete tutti sospetti. O quasi.- disse interrompendola -Tu eri con lei, perciò, è ovvio che tu sia la prima a cui devo verificare l'alibi.-
"Però..." pensò Iyv "Impara in fretta..."
Il vero investigatore avanzò nella stanza e si mise a braccia conserte accanto al cammino, di fronte a Hogan.
-Allora?-
Shuukako esitò.
-Stavo asciugandomi i capelli in bagno. Non mi sono... accorta di nulla.- fu scossa da un tremito.
-Prima stavate litigando, però.-
-Si, ma litighia... litigavamo sempre... oddio!- raccolse la testa fra le mani -Non riesco ancora a credere che sia morta...-
-Perché avete litigato?
Shuukako scosse la testa -Per motivi sentimentali... - lanciò un occhiata verso Natsuya, mentre sollevava il capo -Lei ha avuto una breve avventura... no, non si può definire avventura, ma si è messa in mezzo fra me e il mio ragazzo.-
-Natsuya, giusto?- intervenne Iyv sorridendo -A tavola parlavate del principe Volcan, così...-
Shuukako arrossì, ma annuì.
Natsuya la abbracciò teneramente.
-Con Haruka è stato un bacio. Un errore. Avevamo già chiarito. E comunque litigavano anche per altre cose.-
-Si...- continuò Shuukako.
Hogan annuì, ma non disse nulla dell'orecchino di Shuukako. Alla ragazza mancavano tutt'e due.
-Allora, cos'hai fatto dopo la lite?-
-Sono andata in bagno e mi sono lavata i capelli. Haruka continuava a parlare, l'ho ignorata. Poi ho acceso il phon per asciugare i capelli. Non so quanto ci ho messo. Forse un quarto d'ora, venti minuti...-
Mentre Hogan poneva le domande e la ragazza rispondeva, Iyv registrava la conversazione. Poteva tornare utile per confrontare ancora le deposizioni. Così quando l'americano passò a Natsuya, Iyv salvò il file e iniziò la seconda registrazione. Sempre per motivi di praticità.
Shuukako concluse dicendo di aver trovato Haruka morta sul letto appena uscita dal bagno.
-Anche io ero in bagno.- fece Natsuya -Facevo la doccia.-
-Qualcuno può confermarlo?-
Mafuyu annuì -Ero sul terrazzino a fumare, lui è stato in bagno tutto il tempo.-
-Qualcuno può invece confermare il tuo alibi?-
-Si.- disse -Il signor Hench era fuori a buttare i rifiuti, ci siamo salutati.-
Hogan fissò l'uomo, che annuì.
L'interrogatorio generale si protrasse per circa un'ora.
Le persone che Iyv aveva escluso a priori erano Helena, Emily, il signor Hopkins e Hugh Hench. La signorina Salomè disse di essersi messa a leggere un libro, ma ad un certo punto aveva bussato alla sua porta il signor Bowen, con una telefonata di lavoro in linea. Così lui era entrato nella sua stanza e avevano sistemato alcuni dettagli per l'uscita del disco, dettagli di cui avevano informato Emily attraverso il cellulare.
-A che ora è entrato nella sua stanza?- chiese Hogan e il signor Bowen ci pensò su pochi secondi -Verso le 22:10, 22:15.-.
Hogan continuò con le domande ai due, poi si rivolse al signor Mitsutani, che affermò di essere piuttosto stanco e di essersi messo a dormire, infatti aveva indosso il pigiama. Ma non aveva qualcuno che potesse confermare il suo alibi.
Terminato con loro, ovviamente Hogan interrogò Emily e gli altri che sia lui che Iyv reputavano innocenti a priori. Ma bisognava essere imparziali.
Quando, infine, la tortura terminò, Hogan ed Iyv, dopo aver intimato i presenti di non muoversi dal salotto, uscirono dalla stanza e si misero a parlare in cima alle scale.
-Sei stato bravo.- disse il biondo dando all'altro una sonora pacca sulla spalla.
-Ahi!-
-Scusa, scusa!-
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Il colpevole!-
-Calmo... prima bisogna trovare l'arma del delitto.-
L'americano fissò il compagno dritto negli occhi -Qualcosa mi dice che tu sai qualcosa.-
Iyv scosse titubante la testa -Diciamo ni... ho un sospetto, ma ancora non posso dire nulla.- si alzò e si diresse verso le stanze. -Rimani di guardia mio eroe, nulla è come sembra!- e rise come un idiota.
Fine capitolo 4.Capitolo 5: Rivelazioni shock prima dell’alba.
Aggrappati a quel ricordo e piangi
Perché solo le lacrime e il dolore
Possono farti sentire vivo.
Stupisciti di quanto è cruda questa verità.
(Tears, Shunkashuutou)
Iyv tornò nella stanza delle due nipponiche con circospezione.
Una scena del crimine fa sempre uno strano effetto a chi vi entra. Ci si sente inadeguati e non pronti a cosa ci si può trovare innanzi. C’è la morte nell’aria e un corpo senza vita. Una persona che alle volte pare dormire, altre volte è talmente assurdo che tutto quel sangue, che tutta quella situazione, sia reale. E quasi ci si aspetta che un qualche fantomatico regista esclami –Stoooop!- e che il protagonista dell’orrido spettacolo si alzi come se nulla fosse accaduto, scrollandosi di dosso il sangue e il cerone mortuale.
Iyv non era un attore.
Non per carriera.
Non recitava.
Non nei film.
Recitava nella vita reale di fronte agli estranei, ma le persone intorno a lui morivano sul serio.
E di fronte ad Haruka non poté che sentire una scossa di rispetto al cuore per una ragazza che neppure ben conosceva. Aveva un bel sorriso, però. E ogni bel sorriso spento le rammentava quel piccolo angelo che non era riuscito a salvare.
Strinse i pugni.
“Non è certo questo il momento…” pensò e prese a cercare qualcosa per la camera.
Un’arma! Un coltello, un pugnale, qualsiasi cosa di tagliente e con cui esercitare una certa forza.
L’italiano tentò di ricostruire la scena dal punto di vista di Shuukako.
-Se fosse stata lei, dunque…-
Si piazzò davanti al letto di Haruka e prese a gesticolare, poi si allontanò. Aveva acceso il cronometro. Si fermò ancora come a discutere con lei, poi si chiuse in bagno. Il lavandino era bagnato e Shuukako non aveva rimesso in ordine. Poco prima aveva dato un’occhiata sommaria.
Terminata la virtuale ricostruzione del delitto, azzerò il cronometro e memorizzò il tempo impiegato, che, ad ogni modo, era soltanto un parametro indicativo. Tornò nuovamente in bagno e diede un’occhiata più approfondita. Perché nella stanza lui e Hogan non avevano trovato nulla.
-Si è lavata la testa.- disse pensieroso -Se avesse ucciso prima Haruka, ci sarebbe del sangue, ma qui mi sembra tutto pulito.- mise il broncio –Uff… avrei dovuto portarmi dietro del luiminol…-
Gli venne in mente un plausibile nascondiglio, così tolse il coperchio al serbatoio dell’acqua per il gabinetto e diede un’occhiata dentro.
Nulla.
Solo acqua.
Sospirò.
Se l’assassina era Shuukako, aveva tutto il tempo di liberarsi dell’arma, ma, di contro, non aveva così tanti minuti a disposizione per ripulire eventuali schizzi di sangue e simili. Il bagno era immacolato e il sangue si limitava soltanto alla zona in cui avevano rinvenuto il corpo e a quell’orecchino trovato da Hogan vicino alla porta del bagno. L’altro orecchino era nel piccolo portagioie di Shuukako. Il che rendeva la situazione ancora più strana.
Iyv era perciò convinto che non fosse lei la colpevole. Glielo suggeriva il suo istinto, innanzitutto, e in più c’era quel messaggio. Prima di parlarne con i presenti doveva avere qualcosa di più in mano. Guardò il suo palmare e vi scoprì un mms non letto da parte di Theodore.
-Molto bene, amico, vediamo che hai da riferire.- disse fra sé, assorto, pigiando il tasto d’invio. Il messaggio fu aperto e davanti agli occhi verdi dell’italiano comparvero i caratteri
ツンデレ con annessa lettura e traduzione.
Tsundere: dicesi di un personaggio forte e combattivo che si rivela generoso e amorevole, contraddicendo così l’apparenza iniziale del suo carattere. ツンデレっ娘, Tsunderekko, è il sostantivo usato per indicare una ragazza col carattere Tsundere.
“Interessante…” pensò e, mentre rifletteva, Iyv continuò a stuzzicarsi il mento e le labbra col pollice e l’indice.
“La cerchia dei sospetti si stringe, ma c’è qualcosa che non va… perché scrivere un aggettivo invece del nome? E poi… solo il primo carattere sembra chiaro…”Ormai era sicuro al cento per cento che qualcuno aveva stravolto il messaggio per accusare qualcun altro.
Mentre usciva dalla stanza di Haruka e Shuukako, ricevette un altro messaggio di Theodore.
Quello che lesse gli piacque ancora meno di tutta quella situazione.
Allan Blackmoore si stava dirigendo a villa Bloomfield!
Chiuse a chiave la porta della stanza per evitare intrusioni da parte dell’assassino, nel caso questi, o questa, avesse voluto cancellare eventuali prove e si appoggiò alla parete, sconsolato.
-Questa non ci voleva proprio…- disse piano e socchiuse gli occhi in preda allo sconforto.
Dopo un pesante sospiro e la triste constatazione che Blackmoore avrebbe raggiunto la villa appositamente per rompergli le uova nel paniere, l’italiano entrò nella stanza di Natsuya e Mafuyu.
Hogan era rimasto seduto sulle scale per tutto il tempo, intento a contare i gradini per la noia.
Dopo diverso tempo, mentre Iyv faceva la perquisizione della stanza dei due ragazzi giapponesi, la porta del salotto si aprì e Helena si presentò assonnata e preoccupata davanti a lui.
-Posso stare con te?- chiese, stropicciandosi gli occhi.
-Non saresti dovuta uscire.- rispose lui, ma lei si sedette ugualmente fra le sue gambe, un gradino più in basso, accoccolandosi sul suo petto.
-Ehi!- protestò lui, ma non la fece spostare.
Iyv al suo posto avrebbe fatto un volo giù dalle scale da Guinness dei primati.
L’americano sorrise fra sé con tenerezza, carezzando la chioma castana della sorellina. Voleva qualcosa da fare? Eccola lì. A lei piaceva tanto quando lui le massaggiava i capelli. La faceva sentire protetta. La mamma le accarezzava sempre la testa, ma era stato Hogan a dare il via a quel modo di vezzeggiarla.
-Fratellone…- disse lei, piano.
-Dimmi.-
-Secondo te, è giusto che quando muore una persona, gli altri pensino solo ai soldi?-
Hogan rimase un attimo interdetto –Perché me lo chiedi?- domandò.
-Il signor Mitsutani e il signor Bowen stanno discutendo per questo.-
-Non è neppure qui…- sospirò profondamente, Iyv –Allora deve averla con sé, oppure l’ha scaricata addosso a qualcuno o in qualche altra stanza della villa, o fuori... - consultò l’orologio –Non ho molto tempo prima che Blackmoore arrivi.-
Se non fosse stato per quel contrattempo, si sarebbe dedicato alla caccia dell’arma con più entusiasmo e attenzione. Proprio preferiva evitare di vederlo, quello. Non poteva spuntarla ed era nel torto marcio.
Scosse la testa respingendo i pessimi pensieri che s’impadronirono per un istante della sua mente.
-Stammi lontano o io…-
-Ti prego, calmati.-
-No! Io l’ammazzo! Ti giuro che l’ammazzo!-
Iyv rivide i suoi occhi vitrei, la bava alla bocca, la pistola che tentennava, preda di una mano malferma e agitata.
Allora lui era così inesperto…
-Ti prego…- disse, cercando di infondere in quell’invasato un minimo di calma. Un poco di buon senso.
Lei piangeva.
Lo supplicava…
Lei…
Era così giovane.
Strinse i pugni e i denti.
-No… merda… no…-
Strinse le mani fino a far sbiancare le nocche.
Non era da lui comportarsi così. Doveva calmarsi, rimettere su la sua aria compiaciuta da buontempone e tornare da Hogan allegro e spensierato.
-Tsk…- sospirò e passò alle altre stanze.
Non trovò nulla in nessuna di esse.
Perquisì da cima a fondo la villa, ma non trovò ancora nulla. Così, decise di uscire e dare un’occhiata fuori. Arrivato al pianerottolo dove stava il suo uomo, l’italiano tentò di mettere su un bel sorriso per passare inosservato.
-Perché quella faccia da funerale?- gli chiese Hogan appena lo vide.
Inutile dire che aveva spirito di osservazione. Iyv cercò di rigirare la domanda.
-E tu che mi dici? Prendi troppo freddo qui?- disse chinandosi su di lui.
-Non c’entra un cacchio adesso. Allora? Trovato nulla?- era palesemente impaziente.
Iyv scosse la testa.
-No, niente arma. Credo dovrò frugare per tutto il giardino…-
-A quest’ora di notte? -
-Ho lo spray al peperoncino!- esclamò quello alzando il braccio in segno di vittorioso saluto –E poi, se non è uscito nessuno dal salotto, sono perfettamente al sicuro, continua a fare la guardia, mio eroe!-
Hogan mise il broncio.
-Perché non facciamo il contrario? Il mio culo sta diventando di marmo!-
-Iyv…- fece Helena mettendosi a sedere composta.
-Dimmi.- le disse lui.
-Poco fa il signor Bowen ha iniziato a dire che ora che Haruka è morta dovevano ridimensionare il budget e cose simili. Il signor Mitsutani allora se l’è presa dicendogli che doveva vergognarsi per aver pensato ai soldi in un momento simile… insomma, ti sembra modo di comportarsi questo?!-
Era visibilmente scossa, la ragazzina. Iyv le carezzò la testa.
-Il signor Bowen fa gli interessi dell’azienda. Non è solo per lui, ma anche per tutti loro collaboratori. Immagino abbia solo sbagliato i tempi in cui iniziare il discorso, ma ti assicuro che non è una persona avida. E’ solo molto razionale, ecco.-
-Lo conosci bene, vedo…- Hogan lo fissò sottecchi e Iyv sorrise maliziosamente.
-Ebbene sì. Ti confesso che siamo stati molto intimi.-
Quando all’americano quasi venne un infarto alla notizia, l’italiano prese a ridere.
-Tu sei troppo divertente. Grande e grosso e abbocchi ancora a certi scherzi!-
L’americano allora si alzò di scatto e lo afferrò per il bavero. Iyv mise le mani in avanti e non lo guardò in faccia per non scoppiargli a ridere davanti.
-Smetti di fare scherzi del cacchio!- lo strattonò.
-Quanto sei permaloso.- fece quello, fissando un punto imprecisato oltre le scale.
La porta del salotto si aprì piano e la testa di Emily fece capolino sull’androne.
-Ehm… Virgil?- domandò scrutando i tre sulle scale –Va tutto bene?-
-Mi sta violentando.- rispose l’italiano senza peli sulla lingua e con un tono lamentoso.
E ancora, Hogan fu lì per lì per buttarlo seriamente giù dalle scale.
-Allora?-
Era la signorina Salomè che si affacciava anche lei dal salotto.
-Ha scoperto qualcosa, signor Varsittart?-
Hogan ammutolì e Iyv gli lanciò un’eloquente occhiata.
Allora l’americano lo lasciò andare e il biondo rispose a suo nome all’interlocutrice.
-Direi che siamo sulla pista giusta, signorina. Stiamo arrivando per fare il punto della situazione. Ci fareste la cortesia di accomodarvi?-
-Hai davvero in mano qualcosa?- domando Hogan al suo compagno, una volta che furono di nuovo soli.
Quello scosse la testa.
-Solo una marea d'indizi. Ma voglio provare a far una cosetta. Fai come ti dico e avremo il colpevole prima dell'alba.-
°°°
Si svegliò.
Dove si trovava?
Era tutto buio e c’era un penetrante odore di ruggine.
Cercò di mettersi a sedere, ma le braccia erano intorpidite e bloccate dietro la schiena.
“Cos’è successo?” pensò.
Provò a parlare, ma qualcosa sulla sua bocca glielo impediva.
Sentiva delle voci e dei rumori ovattati, ma non riuscì a emettere versi udibili.
Alla fine lasciò perdere.
Cercò di mettere a fuoco gli ultimi ricordi che affioravano nella sua mente confusa.
-Ricordati di chiamare quando arrivi.- disse una voce.
Si, ma poi?
Batté appena la testa sul pavimento.
“Che diavolo è successo?”°°°
Iyv aveva preso nuovamente posizione accanto al caminetto.
Hogan era al centro dell’attenzione collettiva, intento a chiedersi se fosse una cosa saggia quello che stava per fare. Ma come si suol dire, via il dente e via il dolore.
Cavoli di Iyv.
Fu breve, conciso e secco, come suo solito.
-Ora vi rivelerò il nome dell’assassino.- disse.
Gli occhi di tutti erano sgranati e curiosi.
-Ci sono due persone qui, che non hanno un alibi valido. Avete capito a chi mi riferisco, vero?-
Sogghignò nel leggere negli occhi dei presenti l’improvviso e doloroso stupore.
Shuukako tremò da capo a piedi sentendosi investita da tanti sguardi attoniti e il signor Mitsutani deglutì sbiancando.
-Non sono stato io…- fece l’uomo, spaurito da far pena –Stavo dormendo… io…-
-Lei non ha un alibi, così come la ragazza.- lo zittì l’americano.
-No… non può essere…- balbettò Mafuyu –Shuukako non farebbe mai…-
-Hai le prove per dimostrare che sia innocente?- gli chiese Hogan.
“Ma guardatelo. Fra poco inizierà a fare il poliziotto cattivo.” pensò sorridendo Iyv “Magari fosse così anche a letto, invece di fare tante storie.”-Non l’ho uccisa io…- disse tremante la ragazza –Perché avrei dovuto?-
Hogan le si parò davanti, mettendola ancor più a disagio con la sua stazza.
Lei era avvolta nella sua vestaglia da camera e stringeva fra le mani un fazzoletto spiegazzato. Gli occhi erano colmi di lacrime, ma ritrovarono la grinta quando Hogan rispose –Tutti vi hanno sentite discutere e hai ammesso che lei ha baciato il tuo ragazzo. Ora lo neghi?-
-No, però…- Shuukako non sapeva cosa dire.
-Ho trovato il tuo orecchino fuori dalla porta del bagno.- continuò Hogan –Da quando sei qui, ho notato che sei molto attenta e precisa. Com’è che quell’orecchino era in terra, allora?-
-Mi sarà caduto!- ribattè lei.
Hogan allora rispose –In bagno c’è uno specchio più grande di te. Hai visto che ti mancava l’orecchino e non sei andata a cercarlo?-
La ragazza aveva le lacrime agli occhi.
-La smette di trattarmi così?!- esclamò –Io… io non l’ho uccisa…-
Allora Natsuya le mise la mano sulla spalla e l’avvicinò a sé per consolarla.
-Non è stata lei. - sibilò –Nonostante tutto si conoscevano dai tempi dell’asilo. Non avrebbe mai potuto farlo.-
Hogan si allontanò senza rispondere e Iyv gli porse il suo palmare.
-E di questo cosa mi dici?- domandò, mostrando la foto dell’ultimo messaggio di Haruka.
Shuukako rimase basita.
-Ma cosa…-
-E’ il suo ultimo messaggio. E tu sei l’unica ad avere un carattere simile.-
-Questo non è del tutto vero. - s’intromise Mafuyu –Anche io potrei essere considerato uno Tsundere.-
-Tu hai un alibi.- ribattè Hogan –Tuttavia, qui c’è un errore. Perché non Tsunderekko? Forse l’assassino non conosce bene le tendenze dei giovani...- fece una pausa -E quindi, scrivendo il messaggio, si è scavato la fossa da solo.-
-Eh?- emise la ragazza, ancor più confusa di prima.
Tutti tacquero.
Erano attoniti già da prima, ma quando Hogan indicò Shinnosuke Mitsutani, il silenzio fu tombale.
-Perché non confessa, signor Mitsutani?-
Fine capitolo 5
Capitolo 6: Tessere la tela d’inganno
Brilla sottile, nella leggera foschia,
baluardo di luce, unica via.
Lanterna lucente, trappola per mosche.
Aracnidi sembianze ha la Verità.
Strazia le membra, scioglie gli inganni.
(Vedova Nera, Shunkashuutou)
Il sipario era appena calato sul secondo atto della tragedia.
Il silenzio dilagava nella stanza dal momento in cui era stata insinuata l’accusa.
Mitsutani sorrise, amaramente.
-Come… come può dire questo?- domandò ad Hogan –Non… non è una prova sufficiente per accusare una persona.-
-Giusto.- accorse in sua difesa Mafuyu –Il signor Mitsutani non farebbe mai una cosa del genere. Tutti quelli che lo conoscono potrebbero confermarle che è una persona davvero per bene.-
E Hogan assentì, ma ribatté –Non sempre una persona per bene lo è davvero.-
-Ma lui ha il terrore del sangue!- esclamò ancora Mafuyu.
Anche Shuukako protestò –Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere! Non ad Haruka almeno!-
-Andavano molto d’accordo loro due.- spiegò Natsuya –Non è concepibile…-
Iyv allora domandò –In che senso andavano molto d’accordo?-
-Haruka era una ragazza molto aperta caratterialmente.- disse il signor Mitsutani –La mia figlia minore le somiglia molto, quindi non mi veniva difficile trattare con lei, ecco.-
-Avete avuto degli screzi?- chiese allora Iyv.
-No, non particolarmente gravi.- disse ancora –A volte la rimproveravo perché dava troppa confidenza alla stampa e lei capisce, signor Nightingale, che coi giornalisti bisogna trattare con molta attenzione.-
-Già, comprendo.- disse ancora Iyv e poi disse a Hogan –Patrick, la tua idea è suggestiva, ma non credo che possa essere stato lui a…-
-C’è un’altra cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso.- lo interruppe l’americano –Prima ho perquisito le camere e nella sua c’era la valigia chiusa con la combinazione.-
-E allora?- domandò l’uomo.
-C’è una piccola macchia di sangue sopra.-
In quel momento, tutti trattennero il fiato.
Ma il signor Mitsutani disse.
-Mi sono tagliato prendendo il rasoio, prima di cena.-
In effetti, prima della cena non era rasato. Hogan continuò ad accusarlo –Potrebbe essere il sangue della vittima, però, e la scientifica domani lo analizzerà. Fa prima a confessare e risparmiarsi un vergognoso arresto.-
L’uomo scosse il capo.
-Non sono stato io.- ripetè dopo aver deglutito.
-Perché non ci mostra il contenuto della valigia?- propose Iyv allora.
-Giusto!- esclamò Natsuya –Se non è lei il colpevole, l’arma del delitto non sarà lì, no?-
Mafuyu convenne con il rosso e anche Shuukako.
-Allora, mi dica la combinazione della valigia.- ordinò perentorio il falso detective.
Il giapponese annuì, più tranquillo rispetto a poc’anzi.
-Certo… - disse –E’ 4322, signore.-
-Molto bene.- disse Hogan e fece cenno ad Iyv e agli altri di seguirlo.
Entrarono tutti nella camera da letto dell’uomo e Hogan mostrò la macchia, dopodiché, indossando i guanti in lattice fece ruotare i numeri componendo la combinazione e un click secco segnò l’apertura della valigia.
C’erano dentro dei vestiti, riviste, un astuccio con il set da barba, spazzolino e dentifricio e un piccolo involto di carta, seminascosto in un angolo.
Hogan lo prese e scartò l’incartamento, per poi sbattere in faccia, o quasi, l’evidenza agli astanti.
-E questa, signori…- annunciò –E’ l’arma del delitto.-
Un coltello da cucina, dalla lama liscia e il manico nero. La carta che lo avvolgeva presentava qua e là chiazze scarlatte. Mitsutani impallidì e cercò di fuggire, ma il signor Bowen lo afferrò per un braccio e Hogan per l’altro.
-Non sono stato io!- gridò disperato più e più volte. –Sono innocente!-
Erano trascorse delle ore estenuanti. Quante non lo sapeva. Forse erano passati solo dei minuti. Dei giorni no. O forse sì, ma certo non li aveva trascorsi a contorcersi per liberarsi. Ormai poteva definirsi a buon punto. Sentiva il nastro adesivo che gli legava le braccia allentarsi e anche quello sulla bocca.
Il brusio che udiva oltre quel buio si era affievolito per poi scomparire, ma c’era nuovamente qualcuno all’esterno. All’inizio pensò si trattasse dei suoi rapitori, ma poi aveva percepito i loro discorsi. Erano solo dei ragazzini, quindi era stato rinchiuso da qualche parte da chissà chi.
E chissà perché.
-Ah!- esclamò.
Con un ultimo colpo di spalla era riuscito a strappare definitivamente il nastro adesivo che gli teneva incollate le labbra.
-Aiuto!- gridò –Aiutatemi!-
Il brusio all’esterno si affievolì.
Poi una voce parlò –Avete sentito?-
-Forse ci siamo fatti troppe canne, ehehe.-
-Aiutatemi, vi prego!- urlò ancora, con quanto fiato aveva in gola.
-Queste non sono canne.- commentò meravigliata una terza voce e qualcuno batté sulla parete metallica della sua prigione.
-C’è qualcuno qui?-
-Si!- esclamò –Vi prego, fatemi uscire!-
Trascorsero altri interminabili minuti, poi un forte schianto e la parete metallica s’aprì. Il buio fu sopraffatto da una rassicurante luce azzurra soffusa.
Poi un’esplosione di bianco e di voci.
Le luci delle torce elettriche lo accecarono e si spaventò a morte alla vista delle pistole, ma fu un attimo.
Era libero.
Le sue mani furono liberate dal nastro adesivo e qualcuno gli gettò sulle spalle una coperta. Un uomo lo sorresse fino all’ambulanza parcheggiata lì davanti e una graziosa infermiera si occupò di controllare che stesse bene. Non poteva dire di essere completamente apposto, ma eccetto il malessere della prigionia non si sentiva messo così male.
Poi rammentò una cosa di vitale importanza.
La persona che gli aveva chiesto di chiamare una volta arrivato a destinazione.
C’era solo lui in casa, prima della partenza. Nella sua mente lo sfocato ricordo di qualcosa di umido che si premeva contro le sue labbra.
Nel container dov’era tenuto prigioniero fu costatata immediatamente la presenza tracce di cloroformio sparso nel pavimento. Ecco perché aveva dormito così tanto.
-Che giorno è?- chiese all’infermiera e questa gli rispose –E’ il 15 di settembre.-
Sospirò. Era trascorso appena un giorno, più o meno…
Non sapeva perché l’aveva fatto, ma non poteva starsene con le mani in mano, perciò chiese ancora alla donna –Per favore, può prestarmi il suo cellulare?-
Il signor Mitsutani era stato rinchiuso nella sua stanza, con buona pace di tutti i presenti.
Fu deciso di tornare tutti a dormire (o per lo meno a provarci) e attendere così l’arrivo della polizia, con annessa la squadra scientifica. Shuukako fu invitata a dormire insieme ad Emily ed Helena insieme alla signorina Salomè e la camera con dentro il corpo di Haruka sigillata.
Iyv ed Hogan erano di nuovo soli, di fronte al loro letto sfatto.
E l’italiano era così distratto che Hogan avrebbe potuto farselo all’istante e non si sarebbe neppure lamentato. C’era qualcosa che lo turbava profondamente, da un bel pezzo ormai, perciò l’americano si limitò a domandargli cosa diavolo avesse.
-E’ da un po’ che hai una faccia da funerale. Allora?-
Lui si sedette sul letto a peso morto.
-E’ stata uccisa una ragazza, Hogan.- rispose, come se l’altro non riuscisse a provare dispiacere.
Hogan annuì.
-Non è quello che ti turba così tanto.- rispose, buttandosi sul letto anche lui, ma sdraiato.
Incrociò le braccia dietro la testa e fissò il soffitto.
-E’ per colpa di questo Breakmouse che sei così?-
Iyv prese a ridere come un ossesso. Una risata liberatoria, ma almeno era sincera.
-Oddio, Breakmouse!! Dimmi che l’hai detta apposta, Hogan!-
Quello arrossì violentemente e si voltò, imbarazzato come non mai. Segno che no, non l’aveva sparata per farlo ridere. Anche se il risultato era gradito.
Iyv prese a martellargli il ginocchio con il palmo della mano.
-Oddio, basta!- esclamò ridendo –Non… soffoco… Breakmouse…-
Si sarebbe voluto sotterrare, Hogan, ma di certo era meglio sotterrare Iyv. Lo afferrò bloccandogli la testa con un braccio sotto il collo e lo costrinse sul materasso.
-Che hai da ridere, pidocchio?!- sbottò, per poi pizzicargli insistentemente le guancie. Al grido di
–Mi arrendo! Mi arrendo!- finalmente lasciò andare l’investigatore, che rilassò i muscoli, ormai anch’egli supino sul letto.
-Hogan ti amo!- esclamò, come in un sospiro.
L’interpellato arrossì ancora, ma si limitò a rispondere –Ti avrei già ucciso…- abbassò la voce -…se non ti amassi anche io.-
Il biondo si rigirò su un fianco, coi lunghi capelli ormai sfatti e gli occhi colmi di lacrime.
-Sono contento che mi sopporti anche così.-
Al che Hogan lo guardò con diffidenza.
-No, così non ti sopporto, ti preferisco quando sei insopportabile come al solito.-
Gli aveva appena strappato un’altra risata. Come poteva non amare l’uomo più spassoso dell’universo? Nonostante rimpiangesse gli amici perduti a Sealand, Iyv ringraziava il cielo per esservi andato. Perché, se invece non si fosse impuntato per seguire quel caso, Hogan non l’avrebbe proprio incontrato.
La prima volta che si erano visti, lo ricordava come fosse solo ieri. Lui l’aveva salutato con un cenno della mano e gli aveva anche detto –Ciao, caro!- con un tono che faceva concorrenza con quello di ogni buon travestito di strada che si rispetti. E Hogan, sempre in cenno di saluto, gli aveva accordato il dito medio e la sua occhiata sprezzante.
Non era cambiato di una virgola, apparentemente, perché il caratteraccio rognoso ce l’aveva sempre. Ma Iyv, ormai, lo conosceva come le sue tasche. Era come un libro aperto, senza parole nascoste o codici da svelare. Era splendido nella sua semplicità.
Ma forse era solo lui a vederlo così meraviglioso, perché era di parte.
-Iyv…- disse piano Hogan.
Dopo il riso, le lacrime avevano preso il soppravvento.
L’italiano nascose il volto fra le mani e le sue spalle si scossero frenetiche.
Emetteva dei mugolii che ricordavano i guaiti di un cucciolo indifeso. Così diversi dai finti piagnistei che inscenava per dispetto. Quando mai l’aveva visto piangere a quel modo?!
-Patrizio?- chiese allora l’americano e quello alzò appena il capo.
Hogan usava molto raramente il suo vero nome. Praticamente solo quando faceva discorsi di estrema importanza.
-Io… ero molto inesperto, allora…- sussurrò piano.
Hogan annuì.
-Me lo vuoi raccontare?-
-Aveva più o meno l’età di Helena…- singhiozzò ancora.
Hogan, per incoraggiarlo (questo non era proprio da lui) gli portò un braccio dietro la schiena e Iyv poggiò la testa sulla sua spalla, socchiuse gli occhi e respirò profondamente per qualche secondo.
-Se fossi stato più capace… lei non sarebbe morta…-
-Chi?- insistette l’americano.
-Sua sorella, Hogan.- Iyv sollevò appena lo sguardo colmo di sconforto e vergogna –Per questo lui mi odia così tanto.-
Era strano pensare che quel pazzoide scapestrato venisse ferito dal giudizio di qualcuno. La realtà dei fatti, lo intuì subito, era che Iyv odiava se stesso. E la presenza di quel Breakmouse… Blackmouse… Blackmoore, gli rammentava il motivo di tanto disprezzo per se stesso. Distruggeva ciò che lui cercava di ricreare, rigettandolo nell’abisso del senso di colpa.
Lo strinse a sé.
-Patrizio…- disse piano, con quella voce roca e sensuale da capogiro.
Iyv socchiuse gli occhi e deglutì.
-Si?- chiese.
-E’ successo e devi accettarlo.- gli disse.
-Non… non posso.- scoppiò in un pianto dirotto.
Hogan respirò profondamente e si limitò ad abbracciarlo.
Quando Helena piangeva, lo faceva sempre. Le carezzava la testolina castana per diversi minuti e lei si calmava, piano piano.
Passò le mani sui capelli biondi del compagno, per un po’. E anche con lui ebbe lo stesso, identico effetto calmante. Le sue dita massaggiavano la cute, trasmettendo al resto del corpo un senso d’inebriante pace cui era difficile sottrarsi. Aveva un tocco magico, il signor orso bruno, pensò Iyv, sorridendo appena.
Poi si separò da Hogan, piano.
-Vieni.- disse –Risolviamo il caso prima dell’alba e poi fuggiamo via. In barba a Breakmouse.- e gli scappò la risatina isterica di poco prima. -Ti amo, pasticcione.- disse ancora, in vena di smancerie, tirandolo verso la porta.
Hogan alzò gli occhi al cielo.
Pasticcione?
-Questa me la devo segnare.-
-Sono contento che anche tu mi ami.- continuò quello.
-Bene.- disse ancora l’americano, per poi prendergli il mento fra le dita. Lo fissò dritto negli occhi verdi e socchiuse il suo. Poteva sentire il respiro di Iyv sulla sua pelle, poteva scorgere le sue labbra schiudersi, le sue mani sulla pelle…
Mafuyu si frugò fra le tasche.
Prese il telefono che squillava e rispose nella sua lingua madre.
-Pronto?-
Corrucciò le sopraciglia e lanciò un’occhiata interrogativa verso Natsuya, poi rispose all’interlocutore -No, mamma, stai tranquilla… stiamo bene tutti. Sì… sì, il contratto l’abbiamo firmato, sì… scusa se non ho chiamato prima, cenavo… ciao mamma, ciao. Buonanotte…-
Chiuse la chiamata e rimase in silenzio tombale.
-Era mia madre.- disse dopo un poco, bianco in volto –Come diavolo faremo a dire ai nostri quello che è successo…- si sedette a peso morto sul letto.
Aveva appena mentito, ma quell’ultima domanda era legittima e una risposta ancora non l’aveva trovata. E benché fosse affranto da quella situazione, benché ormai sapesse esattamente come stavano le cose, Mafuyu Yukimura aveva le mani legate.
Doveva mettere Patrick Varsittart al corrente di quella chiamata, al più presto.
Fine capitolo 6