Slaving Slaver, long shot in 12 capitoli - Conclusa

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Sselene
view post Posted on 22/8/2011, 12:10




Nick autore: Sselene
Titolo storia: Slavin' Slaver (o Slaving Slaver, è uguale)
Genere: Romantico, Introspettivo, Triste (?)
Avvertimenti: slash, lemon
Breve introduzione: “Natan, stiamo insieme da… tanto tempo, io… pensavo che… … mi vuoi sposare, Natan?” “Sei impazzito, Dravko?” “Come?” “Io devo finire l’università e poi devo cercare un lavoro, non voglio che si pensi che ciò che ottengo l’ho ottenuto grazie a te!” “Ma di che stai parlando, Natan?” “Tu non pensi mai a me, Dravko! Tutto nel nostro rapporto è fatto solo per fa piacere a te! Mi stai soffocando!” “Ma che cazzo…?” “E’ meglio prendersi una pausa, Dravko.” “Mi stai lasciando?” “Si."
Eventuali note: Pubblicata anche su EFP all'indirizzo www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=735614&i=1

Titolo capitolo: Accettazione del dolore con piano di Vendetta.
Da quanto ero lì? Non ne avevo idea.
Quanto avevo bevuto? Vuoto totale.
C’era davvero qualcuno che mi stava parlando?
Lanciai uno sguardo per controllare.
No.
Sospirai –gemetti è il termine più adatto- reclinando il viso in avanti per affondarlo tra le mani, cercando di nascondere alla mia vista la squallida realtà in cui ero precipitato.
Eccomi lì, in uno squallido bar lontano dal centro della città, cercando di affondare ricordi e dolore in bicchieri di vodka pura che mi avevano tanto bruciato la gola da non sentire più alcun sapore, che mi avevano tanto annebbiato la vista da filtrare ormai tutta la realtà attraverso un grosso vetro opaco, che mi avevano tanto appannato il cervello da permettermi di pensare solo a ciò che con tutto me stesso avrei voluto dimenticare.
Natan.
Natan che mi aveva lasciato, Natan che mi aveva urlato contro, Natan che si sentiva soffocato, Natan che non voleva sposarmi, Natan che non voleva nulla da me.
Natan.
Natan.
Natan Natan Natan Natan e cazzo ancora Natan!
Era tutto ciò a cui riuscivo a pensare, la mia mente non era altro che una distesa di ricordi inerenti a lui e solo a lui e più provavo a dimenticarlo più mi tornava alla mente.
Dannato Stronzo.
“Ambasciatore.”
Alzai immediatamente lo sguardo, attirato da quella voce, sebbene più incerta di quanto dovesse.
Per un attimo davanti a me comparve Natan.
L’attimo dopo era già un giovane qualsiasi, sebbene molto simile, per fisionomia e colori, a chi disperatamente stavo provando a dimenticare.
“Forse dovrebbe smettere di bere, ambasciatore.” Mi disse lui, scostandomi da davanti il bicchiere, sedendosi accanto a me. “Non porta mai a niente di buono.”
E chi se ne fotte. Avrei voluto dirgli, ma non avevo alcuna voglia di parlare.
La mia mente era solo concentrata sui dettagli di lui che mi ricordavano Natan: sulle sue labbra sottili, sul suo viso affilato, sui suoi occhi intensi, sui suoi capelli folti.
Vi passai una mano ben prima che la mia mente registrasse quel movimento.
Lui parve sorpreso, ma non si scostò da quel tocco.
“Ambasciatore?”
“Chiamami Dravko.” Riuscii solo a mormorare.
E poi, prima che davvero decidessi di farlo, mi allungai a baciarlo.
Sebbene sicuramente sorpreso, addirittura sconvolto forse, dopo un po’ ricambiò il bacio e lì il mio immenso sogno di poter riavere il mio amore, anche solo per un istante, crollò miseramente.
Quel bacio non aveva nulla a che fare con quelli che Natan mi dava, non c’era quell’arroganza, quel perenne fastidio, quella sensazione che fosse solo un “contentino”. Non c’era nulla di tutto quello, era un bacio incredibilmente dolce.
E non era il bacio che volevo.
E in quel momento ero intenzionato a prendermi esattamente ciò che volevo.
Gli strinsi le mani sulla maglia, sbattendolo contro lo schienale del divanetto sul quale eravamo seduti, affondando tra le sue labbra con tutta la passione, il desiderio e anche il dolore che sentivo dentro di me nel pensare a Natan.
Succube, lui ricambiò il bacio.
Dannazione, volevo reagisse, non che mi assecondasse!
Lo mollai dopo pochi istanti, poggiandomi allo schienale del divanetto, passandomi una mano sul viso e poi tra i capelli, lasciandoli scorrere tra le dita.
“Vattene.” Raramente avevo usato un tono così freddo, ma non avevo alcuna voglia di essere il Dravko dolce e cortese del solito.
Ero depresso.
Ero incazzato.
Ero ubriaco.
Quindi, cazzo, potevo essere come volevo e trattare chi avevo accanto come più preferivo.
“No…” Si ribellò –assai debolmente- lui, posandomi sulla spalla una mano che scostai subito. “Faccio quello che vuoi, Dravko, faccio… faccio quello che vuoi.”
Era esattamente quello il problema.
Io non volevo qualcuno che facesse ciò che volevo, volevo qualcuno che si ribellasse a me e che facesse quello che lui voleva fare!
Dannazione, io volevo Natan!
“D-dravko, per favore, dammi una possibilità!”
Era così disgustosamente desideroso ed implorante che quasi avrei voluto prenderlo a schiaffi.
Ma andava bene, si, gli avrei dato una possibilità.
Assomigliava a Natan e se io gli avessi permesso di comportarsi come lui, avrei potuto riaverlo, per una notte.
“Ribellati.” Gli dissi, afferrandogli il viso con una mano. “Non assecondare me, fa’ quello che vuoi fare tu. Non essermi passivo.” Strinsi lievemente il suo viso tra le dita. “Hai soltanto una possibilità, se non mi piace come stai andando, te ne vai.”
Lui annuì alle mie parole, poi si gettò contro di me, affondando tra le mie labbra.
Finalmente ero riuscito ad ottenere da lui un po’ di autonomia e il risultato non era male.
Non era come lo volevo io, non era chi volevo io, ma gli si avvicinava.
E io l’avrei distrutto e umiliato, facendogli sentire quanto io mi ero sentito distrutto ed umiliato, quando mi avesse ferito, quanto male mi avesse fatto.
Non persi tempo in coccole e preliminari, non era ciò che volevo dargli.
Non lo spogliai neanche, andando direttamente a ciò che mi interessava.
Senza neanche pensare di toccarlo o di toccare la sua intimità, lo afferrai per le braccia, spingendolo pancia sotto sul divanetto.
“He-hey, aspetta…”
Un po’ moscia, come ribellione, ma potevo accontentarmi.
In quel momento ero ormai partito e la mia mente lavorava da sola.
Ero lì, in un altro lì, con Natan sotto di me che mi lanciava sguardi irati per la posizione in cui l’avevo messo, che lui non aveva mai sopportato –forse non aveva mai sopportato proprio fare l’amore con me- e che mi imponeva di sbrigarmi, almeno.
L’avrei fatto, mi sarei sbrigato.
Gli sbottonai e sfilai i pantaloni e i boxer, stringendogli le dita sulle natiche, allargandogliele per scoprire la sua apertura, allungando un pollice per carezzargliela e spingendovelo dentro.
Natan l’accolse con un gemito intenso. Doveva eccitarlo tanto il pensiero di scopare con me.
“Mi vuoi?” Mi allungai sul suo corpo, ritirando il pollice per sbottonarmi il jeans, mentre con le labbra sfioravo il suo orecchio, prendendo come risposta il gemito che assecondò quei movimenti. “Implorami.”
Mi guardò, con gli occhi liquidi di eccitazione e desiderio, sfiorando le mie labbra con le sue, ma per pochi istanti, perché mi ritrassi immediatamente.
“Ti prego.” Mormorò.
“No.” Ribattei io. “Questo è pregare, io ti ho chiesto di implorare.”
Poteva non aver senso, ma, guardando un film, Natan –il vero Natan- mi aveva detto, una volta, quanto secondo lui implorare fosse più umiliante che pregare.
E io volevo umiliarlo e ferirlo il più possibile.
Quel Natan inghiottì a vuoto, socchiudendo gli occhi.
“Ti Imploro, Dravko…” Soffiò. “Dammelo.”
“Eccolo.” Mormorai in risposta, scivolando nel suo corpo con un’unica spinta neanche troppo dolce o lenta, sorridendo soddisfatto nel sentire il suo verso, a metà tra il piacere e il dolore.
Era esattamente ciò che volevo dargli, ciò che volevo provasse.
Doveva sentirsi male per quanto gli facesse piacere provare dolore.
E io avrei fatto del mio meglio per raggiungere quell’obiettivo.
Mi mossi nel suo corpo con dei movimenti molto intensi, forti, violenti quasi, sempre tenendo le mani ben lontane dal suo corpo –temevo che toccarlo mi avrebbe ricordato che il ragazzo sotto di me non era chi volevo io, ma soltanto un ragazzino qualsiasi- stringendole sul bracciolo del divano per scaricare su di esso la tensione.
I suoi gemiti, intensi e alti, erano già una distrazione abbastanza forte dal pensiero di Natan, sempre molto più contenuto nelle espressioni vocali, ma concentrandomi molto sui miei ricordi e i miei pensieri, potevo quasi eliminare quel fastidioso rumore.
“D-dravko, sto… venendo…”
Di già? Quanto era passato da quando avevamo cominciato?
Troppo poco.
Il vero Natan non era così rapido nel raggiungere il culmine del piacere.
Fui costretto a portare una mano alla sua intimità per stringerne la punta.
“Non ti azzardare.” Mi sentii quasi ringhiare –sebbene non fosse davvero un verbo adatto a me- al suo orecchio.
“Mi-mi dispiace.” Soffiò lui.
Sogno infranto.
Mi spinsi infastidito nel suo corpo e lui si riversò nella mia mano.
Che schifo.
Uscii fuori da lui, spingendolo giù dal divanetto.
“Vattene.”
Si alzò a sedere sul pavimento, semiaggrappandosi al divano per aiutarsi.
“Mi… dispiace…” Mormorò.
“Vattene!” Ripetei a voce più alta e lui, finalmente, mi assecondò, alzandosi e rivestendosi, correndo rapidamente fuori.
Afferrai il bicchiere di vodka, versandomelo sulla mano sporca per ripulirmi da quello schifo.
Volevo Natan, ma non l’avevo ottenuto.
Eppure, anche se solo per pochi istanti, scoparlo di nuovo, riaverlo accanto, anche se solo nei miei sogni, essere stronzo con lui, umiliarlo, mi aveva in qualche modo rasserenato, rincuorato.
E andava bene.
Se era quello che dovevo fare per avere un po’ di libertà dal quel pensiero ossessivo, dal dolore e dalla sofferenza, andava bene.
Era quello che avrei fatto.
Non avrei certo avuto difficoltà a trovare persone con cui scopare.
Sperai che Natan vedesse ogni mia scopata.
Volevo soffrisse come mai prima, volevo soffrisse come soffrivo io e anche di più.
Mi sarei vendicato di tutto ciò che mi aveva fatto passare e che ancora mi stava facendo passare.
Doveva temere, perché io non mi sarei arreso finché non l’avessi visto umiliato a terra.
E mi avrebbe guardato, mi avrebbe chiesto perdono, mi avrebbe implorato di riprenderlo.
E io gli avrei detto No.

Titolo capitolo: Vendicativa Umiliazione
In poco tempo ero diventato famoso ed esperto, il che mi permetteva di avere davanti a me, quando entravo in un locale, già decine di persone ai miei piedi, in attesa di un mio gesto per fare tutto ciò che io desiderassi da loro.
Inoltre, siccome le voci facilmente giravano, ormai tutti sapevano cosa preferissi a letto e così mi era ben facile trovare qualcuno che lottasse e si ribellasse proprio come desideravo.
La fama era una gran cosa.
Mi accostai al bancone, alzando appena una mano per ordinare il mio solito bicchiere di vodka, lasciando che gli sguardi eccitati e vogliosi di chi avevo attorno mi scivolassero addosso.
Dopo le prime scopate del tutto casuali, grazie alle quali si era risvegliato un certo interesse mediatico nei miei confronti, avevo capito che per farmi davvero notare e per assicurarmi che Natan sapesse esattamente cosa stavo facendo dopo che lui mi aveva lasciato, dovevo scoparmi persone molto in vista e molto seguite.
Avevo ormai smesso da molte scopate di cercare persone che rassomigliassero a Natan, tanto bastava non toccarle e stringere forte gli occhi per fingere che chi avevo sotto di me fosse chi avrei davvero voluto.
Inoltre, ricercare esattamente la fisionomia di Natan l’avrebbe portato a capire che tutto ciò che stavo facendo lo stavo facendo pensando a lui ed io non volevo assolutamente che potesse avere un dubbio del genere, doveva essere certo che io l’avessi totalmente dimenticato.
Solo così il mio piano di vendetta avrebbe avuto successo.
Finii il bicchiere in un sorso, stringendo poi gli occhi, scuotendo appena il capo per far passare l’appannamento immediato e momentaneo, ordinando poi altri due bicchieri.
Quando li ebbi, li presi tra le mani e finalmente mi decisi a voltarmi verso la sala.
La stagione degli amori era aperta e tutti lo sapevano bene e cominciavano a mostrare le loro code multicolore per farsi belli davanti ai miei occhi.
Persino le ragazze si sistemavano i capelli, tirando più su il vestito e più giù la scollatura nonostante sapessero bene che non erano neanche parte del campionario.
I ragazzi si allargavano il colletto della camicia, mostravano la gola, le clavicole, socchiudevano appena gli occhi lanciandomi un invito sensuale.
Non erano loro quelli che mi interessavano.
Chi davvero faceva parte delle mie possibili scelte erano quelli che –probabilmente fingendo, ma m’illudevo di no- non mi guardavano neanche o mi lanciavano appena un’occhiata da sopra la spalla, volgendomi la schiena, mostrandomi solo la giacca elegante e il bel fondoschiena fasciato da pantaloni più o meno stretti.
Erano loro, quelli che volevo, quelli che non si curavano di me.
E tra di loro, tra le loro schiena, qualcuno mi attirò particolarmente.
Si chiamava… Gabriel, forse, o qualcosa di simile ed era un cantante, o qualcosa del genere.
Fisicamente, a dire il vero, mi aveva attirato già quando avevo visto il poster appeso in camera di Eli, la sorella di Natan, per quei suoi occhi viola –decisamente rari- che rompevano la piattezza delle due dimensioni per colpirti direttamente al centro del cervello, spegnendolo, attivando la seconda mente.
Era nettamente diverso da Natan.
Ritrovarlo lì, quella sera, mi parve un segno del destino per dirmi che era proprio lui che dovevo portarmi a letto quella sera e potevo capirne il perché: Eli amava molto quel cantante e sicuramente seguiva tutto, della sua vita privata; sarebbe stato certamente facile giungere alle orecchie di Natan, portandomelo a letto.
Inoltre, la mia scelta sarebbe caduta su di lui comunque: dal mio ingresso nel locale lui era stato l’unico ad ignorarmi davvero. Aveva continuato a leggere il libro che aveva davanti e a sorseggiare birra come se di me non gli importasse assolutamente nulla.
Ed era quello che volevo.
Con passo sicuro, e cercando di tenere il più possibile distanti le persone che avevo intorno, mi avvicinai al suo tavolo sul quale, poi, posai i bicchieri.
“Posso sedermi?”
Lui mi guardò e dal suo sguardo capii immediatamente che tutto il disinteresse fino a quel momento mostrato era stata solo una tattica –vincente, dovevo ammetterlo- per portarmi a scegliere proprio lui.
Il gioco, con mia somma gioia, non era ancora finito.
“Veramente sto aspettando un amico.”
Avrei potuto adorarlo.
Era quello, ciò che volevo, qualcuno che non mi cadesse immediatamente ai piedi, ma che, anche se solo fingendo, mi tenesse lontano.
“Possiamo aspettarlo insieme.”
Mi lanciò un’occhiata poco convinta –l’adoravo sempre di più- ma annuì.
“Certo, perché no.”
Ed era mio.
Passammo tre ore a chiacchierare del nulla e a giocare con gli sguardi prima che entrambi decidessimo che avevamo giocato abbastanza e che decidessimo di trasferirci in un privè e furono tre delle ore più intense della mia vita, da quando Natan mi aveva lasciato.
Per un attimo pensai che non dovevo per forza portare a compimento quel piano di vendetta nei confronti di chi mi aveva fatto soffrire, che potevo provare ad avere un rapporto sincero, con il ragazzo che avevo davanti, a frequentarlo sinceramente.
Fu un pensiero che svanì subito. Non era ciò che voleva. Non era neanche ciò che volevo io.
Ci trasferimmo in un privè e lì non lasciammo alcuno spazio ad alcun gioco.
Lì c’era spazio solo per noi, per il nostro desiderio, per la nostra passione.
Anche in quel campo, lui era esattamente come lo desideravo, tanto perfetto che –immaginai- doveva aver passato intere settimane a organizzare l’atteggiamento giusto per attirarmi e tenermi come riusciva a fare.
Entrati, lo sbattei contro il muro e sebbene lui avesse accettato quell’imposizione, i suoi baci furono da subito carichi d’ira e di un desiderio che si opponeva nettamente alla sottomissione. Non passò molto tempo prima che mi spingesse lontano da lui, contro il divano, sul divano, parandosi davanti a me mentre rapidamente si liberava da ogni vestito, rimanendomi davanti completamente nudo.
Splendido.
“Prendimi ora, Dravko. Prendimi subito.”
Non mi feci ripetere l’invito.
Mi rialzai, dandogli una spinta.
“Contro il muro.”
Con una smorfia sinceramente seccata –forse sperava che, essendosi comportato così egregiamente, io lo premiassi con una posizione più intima, ma non era certo il mio obiettivo- che mantenne bene il tono della giocata che stavamo vivendo, assecondò la mia richiesta, poggiandosi con le mani contro il muro, piegato in avanti per mostrarmi la perfetta curva del suo fondoschiena.
Mi liberai dai vestiti nell’accostarmi a lui, posando la mani sul muro e chiudendo gli occhi mentre mi spingevo rapidamente nel suo corpo, cominciando da subito a muovermi con quelle spinte violente che ormai erano parte integrante di me.
Natan si inarcò a quei movimenti, gemendo forte, con voce alta.
In tutto quel tempo non avevo ancora trovato qualcuno che trattenesse i gemiti come faceva lui, ma ormai ero talmente abituato che non era più neanche un problema.
Che gridassero quanto gli pareva, io e Natan eravamo troppo lontani per sentirli, completamente persi nel nostro amplesso, nell’umiliazione che ad ogni spinta gli infliggevo sul corpo e sul viso rosso di imbarazzo e piacere e di imbarazzo per il piacere.
Ogni gemito urlato non faceva che allontanarmi da quel mondo e mi spingeva a muovermi ancora più violentemente, per punire quel piacere troppo vocale, quella voce troppo intensa e troppo alta.
E Natan, sotto i miei colpi, gemeva e lacrimava, chiedendomi perdono.
Ma io non l’avrei mai perdonato.
Ringhiai un gemito quando lui raggiunse l’orgasmo, con un urlo acuto e uno spasmo che lo portò a contrarsi attorno alla mia eccitazione e ancora di più affondai nel suo corpo, gettandovimi dentro quasi anche con i testicoli, sentendo netta la botta del mio bacino contro il suo fondoschiena, riversandomi il più profondamente possibile nel suo corpo.
“Non male.” Mi concessi di complimentarmi mentre uscivo dal suo corpo e mi rivestivo.
Lui rise, senza fiato.
“Potremmo rifarlo qualche volta.”
Era stato bravo nel comportamento sia prima che durante la scopata, ma questo non bastava a farmi venire voglia di ripetere quella scena.
Una sola scopata a persona, hai consumato il biglietto, io non concedo bis.
“Vattene.” Gli dissi soltanto.
Lo osservai chinarsi per prendere i vestiti, posando poi un piede sui boxer mentre lui cercava di raggiungergli con la mano.
“Questi lasciali qui.”
Gabriel trasalì sorpreso, guardandomi dal basso, confuso.
“Cosa?”
Cosa non gli era chiaro?
Credevo ormai tutti avessero capito che il mio intento principale non era tanto scopare ma umiliare, che mi piaceva inventare ogni giorno un modo nuovo per far sì che chi veniva con me provasse tanto piacere nel provare dolore da rimanere disgustato da sé.
Mi pareva chiaro.
“Questi lasciali qui. Vattene senza.”
Sembrò volersi ribellare, voler rompere quel gioco, ma alla fine, rosso in viso, chinò semplicemente lo sguardo e, rivestitosi, corse via.
Dei suoi boxer, in effetti, non mi interessava nulla, ma li presi lo stesso.
Prima o poi li avrei mostrati a Natan come trofeo e lui ne avrebbe sofferto e come un cane bastardo sarebbe rimasto con me nonostante tutti i calci che gli davo, proprio come io avevo fatto per anni con lui.
Gli avrei messo il mio collare e l’avrei lasciato in mezzo a una strada, dandogli il cibo solo quando ne avevo voglia, facendogli una carezza solo per sbaglio.
Avrebbe sofferto fino a voler morire per non soffrire più, ma io… io non gliel’avrei permesso.
Doveva soffrire in eterno e l’avrebbe fatto.

Titolo capitolo: L'altro Lato
L’intento masochistico era chiaro ed evidente, sebbene malamente nascosto da mille autoinganni e migliaia di scuse su come fossi solo insonne e come stessi cercando solo qualcosa di stupido da guardare per addormentarmi.
La verità è che ricordavo troppo bene l’orario che l’annunciatrice aveva detto per la replica di quel programma.
La verità che volevo vederlo con tutto me stesso.
I dieci ragazzi più famosi che Dravko Kin si è portato a letto.
Il titolo mi faceva esplodere il cuore, tra la rabbia e il dolore.
Quello stronzo di un puttaniere malato non ci aveva messo molto a dimenticarmi –sei mesi, poco più- e a decidere che, forse, la vita da single lo aggradava molto più di un matrimonio con me.
E pensare che ero stato io a permettergli tutto quello.

Beh, meglio prima che dopo, no?
Eppure non avrei mai creduto potesse farlo!
Era tanto romantico e dolce –tanto da soffocarmi, sia chiaro!- che non pensavo potesse neanche desiderare o pensare a storie da una notte e via.
Cos’era cambiato, in lui?
Cos’era successo al mio Dravko?
… no, no, no.
Non era il mio Dravko.
Io l’avevo lasciato, io non lo volevo più, io ero soffocato dalle sue mille attenzioni.
Dal suo asfissiante desiderio di matrimonio.
Certo, mi aspettavo tornasse.
Certo, lui era tornato per due mesi buoni e io l’avevo sistematicamente allontanato.
Ma cazzo! Non era certo un buon motivo per andarsi a scopare chiunque!
E con chiunque intendevo proprio chiunque.
Perché –a parte per il sesso- Dravko non si era curato dell’aspetto fisico, della razza, del ceto sociale –sebbene nell’ultimo periodo avesse decisamente puntato alle persone più in vista, quasi come a farmi un dispetto- scopandosi chiunque in quel momento lo aggradasse.
Il che voleva dire tutti.
Ma proprio tutti.
Il numero dieci era uno sportivo abbastanza noto.
Uno che aveva proprio la faccia da puttana.
Il numero nove un cantante.
Un viso tanto morbido da sembrare quello di una ragazzina.
Il numero otto un capo d’azienda.
Rude com’era doveva aver metabolizzato tanti traumi dentro di sé.
Il numero sette un dottore.
Del tipo “salvo la vita alle persone perché non so salvare la mia.”
“Cazzo che bono!”
Più che trasalire, come forse avrebbe dovuto, quell’affermazione, improvvisa nel cuore della notte, mi fece soltanto incazzare.
Non fu con molta cura che sbattei il cuscino del divano in faccia a mio fratello Rayele.
L’ultima cosa che volevo, in quel momento, era un commento su quanto fossero bone le persone che il mio fidanzato –ex-fidanzato, a causa mia- si portava a letto.
“Non ho detto niente!” Si ribellò lui ed aveva ragione.
Dal suo punto di vista non aveva detto niente.
Dal mio, aveva detto tutto.
“Chi sono questi bei ragazzi?”
Insistette guardando il numero sei, un attore molto amato dalle ragazzine.
“Le persone che si è portato a letto Dravko.”
Mi aspettai delle scuse.
Pretendevo delle scuse, anche se non le avrei certo accettate facilmente!
Meritavo delle scuse, perché aveva fatto un commento davvero indelicato su una situazione che, ovviamente, mi seccava palesemente.
E come poteva non essere? Dravko si stava comportando davvero male.
Odiarlo profondamente era il minimo che io potessi fare!
Le scuse, però, non arrivarono, anzi…
“Dravko fa proprio delle belle scelte!” Commentò il mio caro fratello che, evidentemente, non capiva un cazzo!
Il numero cinque, non sapevo neanche chi cazzo era, sembrava pronto per andare a battere.
“Si, con le puttane!”
Finalmente lo sguardo di Rayele si spostò su di me e finalmente parve capire quanto quell’argomento mi facesse, per ovvie e ottime ragioni, incazzare!
“A te che importa con chi va a letto? Vi siete lasciati un anno e mezzo fa!”
… e quello che diamine c’entrava?
Prima di tutto, un anno e mezzo non era nulla.
Inoltre l’avevo lasciato solo perché lui mi aveva costretto a farlo, soffocandomi di attenzioni!
Praticamente mi aveva lasciato lui!
Quindi ero del tutto comprensibile se l’atteggiamento di Dravko mi faceva incazzare!
“Credevo avrebbe sofferto per me. Diceva di amarmi, se non sbaglio!”
Lo sguardo di Rayele pareva tutt’altro che comprensivo, anzi, era piuttosto divertito.
“L’hai lasciato un anno e mezzo fa! Perché voleva sposarti!”
Ma perché non capiva?
Come faceva a non capire ciò che volevo dire?
“Non cambia niente! Mi fa male che scopi con tutti!”
… no.
No, no, no, che avevo detto?
Non mi faceva male, mi faceva incazzare!
Mi faceva incazzare!
Mi faceva incazzare?
La verità era che mi faceva davvero, davvero male il pensiero che –sebbene dopo un anno e mezzo- Dravko si fosse dimenticato di me, riprendendosi così tanto da diventare un puttaniere capace di trascinarsi a letto chiunque volesse.
Perché era stato con me tanti anni?
Perché l’avevo lasciato andare via?
Quella nuova consapevolezza mi pervase di tristezza e strappò fuori da me qualsiasi rabbia o impulso vitale ed energico.
Non avevo più voglia di incazzarmi con la televisione, con Dravko, con Rayele e neanche con me.
Non avevo voglia di niente.
Mi stesi sulle gambe di mio fratello, chiudendo gli occhi.
“Mi fa così dannatamente male, Rayele.” Ammisi finalmente ad alta voce.
E sentii tutto il dolore stringermi il cuore e lo stomaco.
Avevo lasciato la persona migliore che avrei mai potuto avere.
Il meglio del meglio.
L’avevo trattato malissimo e l’avevo allontanato nonostante tornasse sempre da me.
Mi ero scavato la fossa della mia desolazione da solo.
“Diglielo.” Mormorò mio fratello, carezzandomi i capelli.
Dirglielo?
E per fare cosa?
Per concludere come?
No, avrei solo fatto la figura dell’idiota che, lasciato solo, si rendeva conto di non poter vivere senza ciò che aveva lasciato andar via.
No, non era come volevo finire, non era come volevo Dravko mi ricordasse.
Che gli rimanesse in testa l’immagine di un Natan freddo e soffocato, ma stabile nelle sue scelte, che l’aveva certamente trattato malissimo, ma che non era mai tornato con la coda fra le gambe.
Non sarei tornato da lui a rivelargli tutta la mia debolezza.
Non l’avrei mai fatto.
“Ed ecco il numero 1 della classifica: Gabriel Burns!”
Ah, che Dravko si fosse portato a letto anche lui lo sapevo fin troppo bene, mia sorella me ne aveva parlato tantissimo e più di una volta, per sottolinearmelo bene.
Era talmente paradossale il fatto che Dravko si fosse portato a letto proprio il cantante per cui mia sorella spasimava che sembrava l’avesse fatto proprio per farmi star male!
Sembrava, perché, tanto, non gliene importava nulla di me, lo sapevo bene.
Perché avrebbe dovuto ancora curarsi di me, dopo tutti quei mesi?
“Pensi che riuscirai a tornare nel letto dell’ambasciatore russo?” Gli domandò la procace giornalista, avvicinandogli poi il microfono.
Lui rise, sprigionando tutta la sua incredibile bellezza che mi trafisse come un pugnale.
“Io spero proprio di si.”
Non riuscii a controllarmi.
Mi alzai, in preda all’ira più cieca e afferrai la prima cosa che mi trovai sottomano –un cuscino, per fortuna- gettandola contro quel viso perfetto.
“Non provarci neanche, lurida puttana!” Mi ritrovai a gridare con tutto il fiato che avevo in corpo.
Come se potesse sentirmi.
Come se, sentendomi, si sarebbe curato di me.
Poteva avere nel suo letto e nelle sue mani Dravko, l’ambasciatore russo, il ragazzo perfetto.
Poteva averlo e se lo sarebbe tenuto, perché Gabriel non era come me, non era un idiota che si lasciava sfuggire le cose migliori che aveva.
Gabriel sapeva rendesi conto di quanto lo faceva soffrire la lontananza di qualcuno.
Gemetti forte, quasi fisicamente dolorante, tornando tra le braccia di mio fratello.
Gabriel avrebbe reso Dravko felice.

Titolo capitolo: Il Terzo Incomodo
Ciò che avevo detto alla giornalista, quando mi aveva fatto l’intervista per quella stupida classifica delle persone più famose scopate da Dravko era assolutamente vero.
Speravo di tornare nel suo letto.
Volevo tornare nel suo letto.
Desideravo tornare nel suo letto e, perché no, anche nella sua vita.
Mi accattivava, oltre che eccitarmi, e, forse, conoscendolo meglio avrei sviluppato un sincero interesse nei suoi confronti.
Essere fidanzato con l’ambasciatore russo non era affatto male.
Prima di tutto, però, dovevo riportarmelo a letto.
Quindi, dovevo prima di tutto incontrarlo di nuovo, cosa non semplice, perché cambiava ogni sera locale.
Avevo cercato per due settimane intere di provare a individuare il locale in cui sarebbe andato, di solito girando a fortuna, ma quando scoprivo dove fosse e quando arrivavo nel locale, lui era già occupato a muoversi nel corpo di qualcun altro.
Mi serviva un altro modo per trovarlo, dovevo scoprire da subito dove lui volesse andare, per farmi già trovare lì, ma lui di certo non faceva sapere prima qual’era il suo piano d’azione.
Trovarlo al mio locale, la sera che avevamo scopato, era stato un colpo fortuito che mi aveva permesso di dare vita al piano che precedentemente avevo organizzato, ma me ne serviva un altro.
Il colpo di fortuna venne da mia sorella Vale, barista in un locale poco noto, che una sera ebbe l’onore di ritrovarsi a servire, con un bicchiere di vodka pura, proprio l’ambasciatore in persona.
Amorevole sorella, il primo pensiero fu rivolto a me e con sveltezza mi mandò un messaggio per farmi capitare lì, mentre, con incredibile disinvoltura, cercava con ogni cazzata di mantenere Dravko al bancone per impedirgli di trovarsi qualcuno da scopare.
Quando, poco dopo il messaggio, spettinato e affannato per la rapida corsa, entrai nel locale e lo vidi ancora al bancone a parlare, sicuramente seccato, con Vale, seppi che dovevo farle un immenso regalo per ringraziarla.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando in qualche modo di risistemarmeli, e con la massima tranquillità mi accostai al bancone, pretendendo di non aver neanche notato Dravko.
“Un bicchiere di vodka, Vale.”
Lei mi sorrise, annuendo, preparandomi ciò che volevo.
Sentii chiaramente lo sguardo di Dravko su di me, così mi volsi.
La mia espressione sorpresa doveva certo essere molto sincera.
“Dravko, che coincidenza. Sei qui a cercare qualcuno da scoparti?”
Che domande, certo che lo era!
Lui si limitò ad annuire, però, e non seppi capire se il suo sguardo era solo incuriosito dalla mia presenza o se nascondesse una curiosità maggiore, quale chi io fossi.
“Sono Gabriel... non so se ti ricordi, abbiamo scopato, qualche volta.”
Cercai di farmi ricordare anche se, dovevo ammetterlo, quell’espressione aveva fatto morire molto dell’entusiasmo che mi era cresciuto dentro in tutto quell’intenso periodo di ricerche.
“Una volta, si.” Confermò lui, afferrando il bicchiere di vodka, muovendo appena le spalle perfettamente disegnate. “Mi ricordo.” Confermò, prima di bersi il bicchiere tutto d’un fiato.
Per non essere da meno, lo imitai e quasi non vomitai lì per lì tutto ciò che il mio stomaco conteneva.
Che la vodka fosse particolarmente forte e bruciante lo sapevo già bene di mio, ma che fosse così atrocemente e immediatamente distruttiva non faceva parte delle mie conoscenze.
Per fortuna, dissimulai facilmente.
“Forse è Dio che ci ha voluto far incontrare qui.” Dissi quindi, con la voce più neutrale che riuscii a farmi uscire dalla gola bruciata, sorridendogli poi. “Dovremmo approfittare.”
Lui schiuse le labbra e dallo sguardo che aveva capii immediatamente che, non so esattamente come, forse leggendomi dentro, aveva capito esattamente che quell’incontro non era casuale, ma, al contrario, fortemente desiderato e ricercato.
“Non scopo due volte con la stessa persona.”
In un attimo mi parve di aver rovinato tutto.
Cazzo, dovevo proprio essere così esplicito?
Avrei potuto portarlo in altri modi a scopare con me!
Avrei voluto cancellare gli ultimi 30 secondi di vita e riviverli da capo, meglio.
Ah, dannazione, come avevo potuto sbagliare così grossolanamente dopo tanto tempo a curare ogni dettaglio del nostro secondo incontro?
Eppure sapevo bene che Dravko non aveva mai portato a letto due volte la stessa persona, sapevo di dover stare più attento su quell’argomento!
Dannazione!
Dannato me!
“Ma ci siamo trovati bene, l’altra volta.”
Cercai di mantenere un tono neutro, divertito, di ridere anche, ma dentro mi sentivo solo morire.
Avevo rovinato tutto.
Avevo sprecato la buona occasione, l’unica occasione, che mi ero ritrovato davanti.
Ero un idiota.
L’ambasciatore prese i due bicchiere di vodka che Vale gli aveva dato, senza neanche rivolgermi un’altra occhiata.
“Io non scopo due volte con la stessa persona.” Mi ripeté, allontanandosi.
Io, dal canto mio, non potei far altro che osservare la sua schiena alata allontanarsi.
Dannato me.
Dannatissimo me.
“Non mi sembra sia andato molto bene.” Notò la voce alta di mia sorella, dietro di me.
Che genio!
Mi volsi stizzito verso di lei, ordinandole un altro bicchiere di vodka.
Volevo ubriacarmi.
Volevo bruciare sinapsi e ricordi.
Ogni atomo di me.
Ogni stupidissimo atomo di me, che nella loro stupidità avevano formato un essere stupido che riusciva a rovinare un piano perfettamente costruiti con una sola parola.
Dannato me.
Quando mai mi sarebbe ricapitato di avere Dravko così vicino e così ben disposto a parlarmi?
Se l’avessi nuovamente visto avrebbe già da subito pensato che l’incontro era costruito ad arte e non fortuito e mi avrebbe trattato con immediato distacco.
Come potevo fare?
Cosa dovevo fare?
Ah, dannazione e maledizione.
Ero riuscito ad avvicinarmi così tanto, come avevo fatto a essere poi allontanato così?
Ero persino più lontano di quando non mi conosceva neanche.
“Cos’è successo?” Mi chiese Vale.
Prima di rispondere presi il bicchiere di vodka, bevendo in un sorso.
Mi ritrovai a chinarmi in avanti per un contato.
D’altronde, che ero stupido l’avevo capito.
“Gabriel…”
“Dravko non scopa due volte con la stessa persona.” Rivelai con la voce arrochita a causa della costrizione della gola, provocata dal bruciante passaggio dell’alcolico.
Come cazzo faceva Dravko a buttare giù quei bicchieri con tanta noncuranza?
Doveva essersi abituato per bene.
“Mi dispiace.” Disse solo Vale e nessuno dei due continuò il discorso.
Mi volsi, cercando il russo con lo sguardo e lo trovai poco lontano, intendo a chiacchierare con un bassista di un gruppo con cui una volta avevo duettato, Freder, un bel tipo muscolo al punto giusto, con gli occhi chiari e i capelli sparati in tutte le direzioni.
Non mi sembrava il tipo di persona adatta a Dravko.
Non mi sembrava me.
Dannazione.
“Un altro bicchiere di vodka.”
“Si, così mi vomiti sul bancone.” Mi prese in giro mia sorella. “Per te solo acqua.”
Avrei voluto ribattere, ma non lo feci. Vale, in fondo, aveva perfettamente ragione a non volermi lasciare autodistruggermi.
Eppure avrei tanto voluto farlo, per punirmi per la mia stupidità.
Dio, se ero stupido.
Ah, ma non mi davo per vinto, no.
Avevo perso, ma era solo una partita, potevo ancora vincere il gioco e l’avrei vinto.
Il primo premio sarebbe stato mio.
Dravko sarebbe stato mio.
Sicuramente.

Titolo capitolo: La Scenata
Non volevo andare da Dravko a dirgli che mi mancava, che lo volevo di nuovo con me, che avevo sbagliato a lasciarlo, che ero stato uno stupido, un idiota, un totale coglione.
No, non glielo volevo dire.
No, non volevo che sapesse quanto ero debole.
Ma…
Ma era pur vero che la sua assenza mi faceva ogni istante più male, eterna fitta al cuore, che sentivo il bisogno di affondare le dita tra i suoi capelli, la lingua tra le sue labbra e di sentire qualcosa di ben più imponente spingersi in me.
Sentivo il bisogno di averlo, di averlo accanto, di averlo vicino.
Di averlo con me.
Non volevo mostrarmi debole, ma, allo stesso tempo, non riuscivo a sopportare l’idea che Dravko mi stesse ancora lontano, magari inseguendo il bel culetto di quel cantante del cazzo.
Se dovevo aprirmi, per riaverlo, se dovevo mostrargli ciò che davvero pensavo e volevo, se dovevo mostrargli le mie debolezze, pur di far sì che tornasse accanto a me… beh, l’avrei fatto.
Gli avrei aperto il mio cuore, gli avrei mostrato quell’ammasso contorto di timori e delusioni che coltivavo nella mia mente, gli avrei offerto il mio vero me.
Gli avrei detto quanto l’amassi.
Gli avrei detto quanto fosse importante.
Gli avrei detto quanto lo volessi accanto a me per tutta la vita.
Gliel’avrei detto, assolutamente.
Ne ero convinto.
Arrivato davanti all’ambasciata, però, la mia convinzione svanì nel nulla.
Dovevo dirglielo?
Dovevo mostrarmi per ciò che ero?
Dovevo farlo?
O era meglio fare finta di niente, tornare indietro ed andarmene?
No…
No, non era meglio, non poteva esserlo.
Non poteva essere meglio perché il non avere Dravko vicino a me mi distruggeva lentamente, pezzo dopo pezzo e io non avrei potuto continuare a lungo in quel modo.
Dovevo umiliarmi? Okay.
Mi sarei umiliato, ma almeno avrei riavuto Dravko.
Mi avvicinai alla guardia alla porta.
“Devo vedere Dravko.”
Nonostante non passassi lì da un anno e mezzo, le guardie erano comunque abituate a vedermi passare, così non fece troppe storie, dopo una breve perquisizione, nel farmi entrare.
Chissà se già faceva lo stesso con Gabriel, chissà se lo faceva entrare con tanta noncuranza, dopo aver solo fatto il gesto di perquisirlo per approfittarne per stringergli il fondoschiena.
Cercai di non pensarci, perché farlo mi faceva soltanto male.
Mi mossi lungo i corridoi, quasi una seconda casa per me, andando direttamente verso la stanza di Dravko che, pur dopo un anno e mezzo, era stampata a fuoco nella mia mente.
Ignorai gli sguardi delle persone che mi incrociavano, colleghi di Dravko che sapevano bene cosa io fossi per lui.
E davanti alla sua porta, ebbi la seconda crisi di panico.
E se fosse stato dentro con qualcuno?
E se fosse stato dentro con Gabriel?
E se ormai non gliene importasse più nulla di me?
Mi dovetti costringere ad aprire la porta e, così, cercando di impedirmi di entrare nel panico, la spalancai senza neanche bussare.
Dravko e i due russi –potenti uomini, li riconoscevo- seduti davanti a lui alla scrivania, si volsero verso di me, sorpresi ed evidentemente infastiditi.
“Natan.” Mi salutò la voce incredibilmente gelida di Dravko.
Non l’avevo mai sentito così, non avevo mai sentito la sua voce modulata da tale tono.
Era sempre stato dolce con me e mi si era sempre rivolto con un tono tenero.
Quanto l’avevo rimproverato per quello?
Quanto avrei voluto dirgli che l’adoravo?
Quanto mi mancava?
“Possiamo tornare insieme.”
La domanda, perché domanda doveva essere, mi uscì piuttosto male.
L’ambasciatore mi rivolse un’occhiata incredula e innervosita.
“Come, scusa?”
L’ira profonda che caricò quelle parole mi fece sinceramente male.
Non volevo litigare, non volevo mi fraintendesse.
Ero lì per fargli scoprire tutto ciò che gli avevo nascosto in quegli anni.
“Possiamo tornare insieme.”
Ma, ancora, quel punto interrogativo non pareva voler uscire dalla mia gola.
Dravko, dal canto suo, sembrava non avere la minima idea di cosa rispondermi, confuso e infastidito dall’eccessivo carattere autoritario che avevo assunto nei suoi confronti.
Potevo solo immaginare come si sentisse.
Che diritto avevo, dopo un anno e mezzo, dopo averlo lasciato perché voleva sposarmi, di andare a dirgli cosa poteva o doveva fare della sua vita amorosa?
“Non voglio che tu te la faccia con altri!”
La frase era quella che doveva essere, eppure, ancora, il tono non aveva nulla a che fare con ciò che davvero volevo dire.
Doveva essere una confessione, un’ammissione, dovevo mostrargli ciò che davvero avevo dentro.
Non imporgli i miei voleri come un padrone stizzito e innervosito dalle continue ribellioni del suo sottoposto.
Dravko non era il mo sottoposto, era l’uomo che amavo!
L’uomo con cui volevo passare la vita.
Le sue parole, però congelarono ogni mio desiderio ed ogni mia speranza.
“Troppo tardi.”
Avrei voluto morire.
Troppo tardi?
Allora ciò che avevo pensato era la realtà?
Allora davvero il mio amore era ormai impegnato con quella sgualdrinella di un cantante?
Come poteva aver preferito lui a me?
La risposta, purtroppo, era chiara nella mia testa.
Lui sapeva farlo sentire apprezzato, probabilmente.
“Tu e Gabriel…?”
Temetti che sentisse la mia voce spezzata, ma, invece, quello che uscì fu un tono freddo e, ancora una volta, autoritario.
Dal suo punto di vista doveva sembrare che gli stessi imponendo di non incontrare quel ragazzo.
E il fastidio per quell’imposizione fu chiaro dal movimento stizzito delle sue labbra.
“Si, Natan. Io e Gabriel.”
Non era possibile, non… non era possibile.
Era troppo tardi.
L’avevo perso.
Avevo perso Dravko, avevo perso il mio uomo, l’amore della mia vita.
Avevo perso tutto.
“Ti prego!”
Quella che, nella mia testa, era una vera e proprio implorazione, fu tramutata attraverso il filtro delle mie corde vocali in un verso di sprezzante sarcasmo.
L’ambasciatore mosse stizzito le spalle e quasi me lo vedetti addosso, a pestarmi a sangue.
“Perché tu lo sappia, sebbene non vedo perché dovrebbe interessarti, Gabriel è un bravo ragazzo, è dolce, è simpatico e, soprattutto, apprezza la mia vicinanza e mi tiene accanto a sé non per farmi un piacere, ma perché sinceramente mi desidera lì.”
Ma le stesse cose erano vere anche per me!
Dannazione, dannazione, dannazione!
Perché non riuscivo a dirglielo?
Perché le mie intenzioni venivano sempre tramutate in qualcosa di diverso dalla mia voce e dal mio tono?
Perché non riuscivo a essere sincero con lui?
“Dravko…”
E ancora!
Ancora quel tono freddo, ancora quel tono infastidito!
Volevo solo dirgli quanto io l’amassi!
Eppure quelle parole sembravano non voler uscire.
Lui attese pure qualche istante, per permettermi di concludere la mia frase, ma poi scosse il capo.
Per lui, ero un caso perso.
In effetti, lo ero davvero.
“Vattene.” Mi disse gelido.
No.
No, cazzo, no, non volevo andarmene!
Non potevo!
“Dravko…”
Ancora mosse le spalle, infastidito.
“Vattene!” La sua voce tuonò nell’ufficio e nelle mie orecchie facendomi tremare.
Dravko era arrabbiato.
Dravko era arrabbiato con me.
E non ero affatto sorpreso, dopo tutto ciò che gli avevo fatto.
Volevo restare, ma non ne avevo la forza, così chinai lo sguardo e mi allontanai.
Il tempo era scaduto.
Dravko non c’era più, per me.
Avevo perso. Miseramente.

Titolo capitolo: Il Punto D'incontro
Non ero più riuscito a incontrare Dravko.
Passavo le mie notti disperatamente tra un locale all’altro, correndo dove sentivo che l’ambasciatore era andato, ma arrivando sempre troppo tardi.
Trovandolo sempre già con qualcun altro e costretto a osservarlo ridere e giocare con qualche bel ragazzo o qualche bell’uomo dallo sguardo malizioso.
E non potevo farci nulla, perché io avevo perso il mio momento.
Avevo avuto la mia occasione e l’avevo sprecata.
Non potevo che prendermela con me stesso.
Perché io e io soltanto avevo sbagliato, bruciandomi l’unica opportunità che avevo di fare buona impressione su Dravko, di portarmelo a letto, di condividere con lui qualcosa che poi sarebbe anche potuta maturare in qualcosa di serio.
Avrei voluto solo tornare indietro, ma non potevo e la colpa era solo mia.
La delusione era tanta, tantissima.
Ma c’era qualcosa di anche peggiore di tutta la delusione che covavo nel cuore ed era il fatto che tutto ciò che avevo dentro lo rigettavo nelle mie canzoni.
Le prove, nell’ultimo periodo, andavano sempre peggio.
La mia band era ormai rassegnata a vederci fallire, il mio manager quasi disperato.
Ed io non sapevo che fare.
Ero stato abituato ad avere ciò che volevo, eppure non ero riuscito ad avere Dravko.
Quella consapevolezza, la consapevolezza che fosse stata solo colpa mia, mi distruggeva e mi impediva di esprimermi attraverso la mia musica.
Mi stava paralizzando la vita e più me ne rendevo conto, più mi sentivo stupido per quella paralisi, più le canzoni uscivano distorte e vuote.
Ero al capolinea?
Sembrava proprio di si.
“Maledizione, Gabriel!” Mi urlò Nina, la mia batterista, gettandomi addosso il cappellino con visiera nero che sempre teneva in testa quando suonava. “Così non va, ma non te ne rendi conto?”
Certo che me ne rendevo conto, certo!
Solo che non potevo farci nulla.
Quell’insofferenza, decisamente più forte di qualsiasi altra cosa provassi, mi impediva di scuotermi.
“Se non ti riprendi i prossimi concerti andranno malissimo e noi saremo finiti!”
Nina era sempre un po’ esagitata quando parlava di certe cose, ma non stava esagerando.
Non eccessivamente, almeno.
I live erano da sempre stati il nostro forte: al contrario di quei cantanti o gruppi che spaccavano nei registrati e poi non davano nulla durante i concerti, i nostri erano a dir poco fenomenali!
E non per immodestia!
“Senti, lo so, Nina, lo so bene!” Cercai anche di dire qualcos’altro, ma poi non lo feci.
Che altro avrei dovuto dire?
Sì, lo sapevo.
Avevo una soluzione? No.
O, meglio, si: Dravko.
Ma lui non era interessato a me.
Non era interessato a nessuno, in effetti.
“Gabriel.” Mi chiamò il manager, entrando.
Nina quasi urlò.
Per scaramanzia, solo sua, il nostro manager non entrava mai mentre facevamo le prove.
“Che c’è?” Sbraitò.
Il manager sembrava molto a disagio e non seppi dire se fosse lo sguardo bruciante della mia batterista o altro a renderlo così.
“C’è… c’è una persona per Gabriel.” Rispose a voce bassa, sicuramente in soggezione.
“Fallo entrare.” Mi affrettai a dire prima che Nina rispondesse al posto mio, mandandolo via.
Non avevo voglia di fare prove, un fan era sicuramente ciò che di cui avevamo bisogno.
Il nostro manager sparì oltre la porta e la batterista mi guardò furente, battendo le bacchette l’una contro l’altra, nervosamente.
“Ma che cazzo dici? Dobbiamo provare!”
“Ma tanto non ci viene!” Ribattei, sperando di non dovermi subire qualche schiaffone.
La porta si aprì prima che potesse effettivamente colpirmi.
Alzai lo sguardo e mi sentii mancare.
Davanti a me, bellissimo e impeccabile nella sue vesti eleganti, c’era Dravko.
Persino Nina, voltandosi, perse ogni traccia di ira, rimanendo semplicemente sorpresa.
“Non lo sto sognando, vero?” Mi ritrovai a chiederle, stupidamente.
“No.” Mi rispose lei, in un soffio.
Schiarendomi la gola cercai di riprendere un contengo, ma come potevo?
C’era Dravko davanti a me!
L’uomo che desideravo!
Dravko!
“Dravko…” Mi costrinsi a mormorare, sebbene la mia gola fosse troppo chiusa su sé stessa per permettere effettivamente alla voce di uscire.
Scesi dal palchetto sul quale eravamo sistemati per le prove, avvicinandomi, senza sapere che dire.
Lui mi sorrideva, splendido, come se fosse del tutto normale la sua presenza lì, in quel momento.
Beh, non lo era!
Che cosa diamine ci faceva lì?
Perché mi aveva cercato?
Cosa voleva da me?
Avevo migliaia di domande che riecheggiavano e rimbombavano nella mia testa, ma, confuso e stranito, riuscii solo a chiedergli “Che ci fai qui?”
Lui rise, lievemente.
Una risata che definire cristallina era persino poco.
Una risata capace di farti sciogliere.
“Io ho pensato a quello che mi hai detto… sai, che siamo stati bene insieme.”
… si, ma non ci volevano quasi tre settimane a pensarci su.
“Sai, io… ho scopato con molte persone…”
Sì…? Perché sembrava una confessione? Lo sapevo già.
“Volevo dimenticare un… una persona.”
… ecco perché sembrava una confessione.
“Non capisco…”
No, in realtà avevo capito benissimo. Dravko mi aveva portato a letto perché il suo fidanzato –o qualunque cosa fosse- gli aveva dato buca.
La mia autostima cercava di impiccarsi.
Non volevo sentirglielo dire, quindi quando cerò di spiegarsi io glielo impedii, alzando una mano.
“Era un modo di dire.” Tagliai corto. “Cosa vuoi da me, ora? Sei solo venuto a confessarti?”
“No, anche a scusarmi.”
Ah, beh, allora…
“E a chiederti di cenare con me, stasera.”
Giusta—che?
Voleva… voleva uscire con me?
Davvero?
Davvero davvero?
“Perché?”
Non era un altro modo per dimenticare il suo fidanzato, vero?
Non lo era, vero?
“Perché siamo stati bene insieme e… non stavo bene con qualcuno da tanto tempo.”
Dovevo credergli?
Era sincero?
O cercava solo di illudermi per convincermi?
“Dove andiamo?” Mi ritrovai a chiedergli.
Lui si strinse nelle spalle. “Al Jayn?”
Il Jayn… il ristorante più costoso forse di tutta l’intera Inghilterra.
Voleva fare colpo e trattarmi come una regina o solo mostrarmi come un trofeo?
Dovevo accettare?
Dovevo credergli?
Quanto mi sarei fatto male?
Osservai il suo sorriso, mentre mi porgeva la mano chiara.
“Vieni?”
Era sincero?
Dovevo credergli?
Ma, soprattutto, mi importava?
Gli sorrisi, afferrando saldamente la sua mano.
“Certo.” Gli risposi.
No, mi risposi.

Titolo capitolo: Un Buon Amante
Passare le notti sveglio a guardare in televisione le ultime notizie su Dravko era diventata ormai una pessima abitudine.
Essergli andato tanto vicino ed aver rovinato qualsiasi possibilità di riaverlo accanto a me mi impediva di dormire sogni quieti, passavo la notte a svegliarmi di soprassalto per incubi di varia natura, così, semplicemente, restavo in piedi fino allo sfinimento.
Prima o poi crollavo.
I miei genitori ormai non mi consideravano neanche più nei pasti, poiché i miei orari erano ormai tanto sregolati da non avvicinarsi neanche a quelli delle persone normali.
Era passato quasi un mese da quando ero andato in ufficio da Dravko e lui mi aveva cacciato, ma ancora non riuscivo a darmi pace.
Come avevo potuto essere così incapace a dirgli ciò che davvero volevo?
A fargli credere cose completamente diverse da quelle che erano?
Era vero che c’ero riuscito per ben sette anni, ma mai mi ero davvero reso conto di poterlo perdere, credevo che, resomene conto, sarebbe stato più facile aprirmi a lui!
Non lo era stato.
Anzi, era stato anche più difficile.
Ciò che era accaduto nell’ufficio di Dravko era stato disastroso.
Tragico.
Avevo definitivamente siglato la rottura definitiva tra di noi.
Non mi avrebbe mai più voluto accanto a lui, nella sua vita.
Perché avrebbe dovuto, d’altronde?
Lui ormai aveva Gabriel.
E Gabriel sapeva esprimere i suoi sentimenti.
Gabriel sapeva farsi capire.
Gabriel mostrava ogni giorno il suo amore e la sua devozione.
Gabriel lasciava si capisse quanto si sentisse fortunato accanto all’ambasciatore.
Gabriel lo sapeva fare.
Io no.
Quindi forse era meglio che Dravko mi avesse allontanato del tutto, che avesse scelto Gabriel.
Lui l’avrebbe reso felice come io, per le mie incapacità, non potevo fare!
Ed io volevo che Dravko fosse felice, che lo fosse davvero, totalmente, completamente!
Volevo lo fosse.
Volevo lo fosse con me.
Ma lui non poteva esserlo con me, perché io non glielo permettevo.
Quanto ero idiota? Quanto ero incapace?
Troppo.
In un ennesimo intento masochistico afferrai il telecomando, alzando la voce quando vidi Dravko e Gabriel comparire sullo schermo, per la breve intervista a lungo pubblicizzata sul canale.
“Quindi possiamo dirlo, siete ufficialmente fidanzati?” Domandò l’acuta voce della presentatrice.
I due risero, in sincrono.
Li odiai profondamente.
“Ci stiamo frequentando.” Ammise Gabriel. “E tra pochi giorni festeggeremo il mesiversario…”
Il mesiversario!
… Dravko aveva sempre amato molto festeggiare i vari mesi, quasi più degli anni.
Io l’avevo sempre ritenuta una cosa stupida.
Trovare qualcuno che lo assecondasse doveva essere fantastico, per lui.
Gabriel sembrava essere stato creato proprio per soddisfare il mio uomo in ogni dettaglio.
Lo odiavo.
Li odiavo.
Mi odiavo.
C’era qualcuno che non odiassi, in quel momento?
Improbabile.
“Ma è presto per parlare di un fidanzamento ufficiale.” Concluse il cantante mentre io mi arrovellavo nei miei pensieri e nelle mie tristezze.
Io ci avevo messo anni per permettere a Dravko di dire che eravamo fidanzati.
Quanto ci avrebbe messo Gabriel?
Di meno, sicuramente.
Perché Gabriel sapeva come amare un uomo e io no.
“E quanto ci vuole per una comunicazione ufficiale?” Chiese ancora la seccante giornalista.
Dravko rise ed era così dannatamente bello!
Maledetto lui!
“E chi lo sa, usciamo solo da un mese, dateci un po’ d’aria.”
La frase in sé non mi diede nulla, sebbene cercassi disperatamente di convincermi che quello voleva dire che era ancora disponibile a darmi un’altra possibilità. Ma quando si passò la mano tra i capelli lunghi, mostrando le dita affusolate, decorate da un semplicissimo anello a fascia con una linea appena storta incisa, capii che avevo davvero ancora una possibilità.
Quell’anello inutile, insulso, insignificante e persino sbagliato, ma decisamente unico nel suo genere (era un modello difettoso di una serie con delle incisioni dritte), era stato il primo regalo che gli avevo fatto senza che lui quasi mi pregasse, perché l’avevo visto e mi aveva fatto a pensare a lui, semplice ma unico.
Avevamo avuto la nostra prima furiosa litigata, sempre per colpa mia, per quanto ricordassi, così, con la scusa di portargli quell’anello, ero andato fin da lui a fare la pace.
Dravko ne era stato entusiasta.
“Finché indosserò quest’anello” mi aveva detto “tu saprai che io sto pensando a te.”
Sul momento mi era sembrata una solita sdolcinatezza eccessiva tipica di Dravko, ma in quell’istante assumeva un senso completamente diverso.
Aveva ancora l’anello.
Era vero che stava frequentando un altro ragazzo già da un mese e che mi aveva detto di non voler avere niente a che fare con me, ma solo perché io non ero riuscito a mostrargli quanto davvero lo desiderassi e lo amassi!
Se io fossi riuscito a fargli capire ciò che provavo davvero, lui sarebbe certamente tornato da me, perché –lo dimostrava l’anello- a me pensava ancora, me desiderava e amava ancora.
Dovevo soltanto riuscire a cambiare e a mostrargli ciò che sentivo dentro!
… ma come?
Come potevo riuscire a superare quello che ero… io?
Come potevo modificare me stesso di modo che Dravko potesse capire quanto l’amassi?
Potesse apprezzarmi?
Come facevo ad essere un amante più simile a Gabriel?
Un amante amorevole e premuroso e sincero e…
… e Gabriel non era l’unico ad essere quel tipo di amante.
Anche mio fratello Adek era quel tipo di amante, forse lui poteva aiutarmi!
… certo chiedere un consiglio ad Adek…
No!
No, era proprio quello ciò che non dovevo più fare!
Dovevo essere aperto, accettare le mie debolezze, se volevo riavere Dravko.
E io volevo riavere Dravko, dannazione, lo volevo con tutto me stesso!
Lo volevo e l’avrei avuto.
Mi alzai, correndo verso la camera di mio fratello, cominciando a bussare forte contro la porta.
Ormai dimentico dell’ora tarda che era, bussai ancora più forte, irritato, quando lui non venne alla porta e finché lui non mi aprì, nudo.
Potevo solo immaginare cosa stesse facendo con Rayele prima di addormentarsi.
“Che cazzo vuoi?” Quasi mi urlò contro, con gli occhi ricolmi d’ira e rosso in viso.
Se fosse stato un altro momento, se non fossi stato così desideroso di riavere Dravko e così dannatamente bruciato dal disperato sonno che avevo, avrei rimandato la discussione al giorno dopo.
“Ho bisogno che tu mi renda un buon amante.”
Bruciato anche lui dal sonno, Adek non capì subito.
“Eh?”
“Io rivoglio Dravko e per averlo devo riuscire a mostrargli quanto lo amo, quindi… quindi insegnami. Per favore.”
Già quel per favore era tanto, per me.
Adek mosse appena la mandibola, osservandomi.
“Va bene, prima lezione…”
Voleva iniziare subito? Fantastico!
Ero desideroso di sapere e non avevo certo tempo da perdere: Dravko avrebbe potuto smettere di pensarmi in ogni istante.
“Lascia dormire le persone!” e mi chiuse la porta in faccia.

Sì, forse era sensata come prima lezione.
Pensa agli altri prima che a te.
Quante volte avevo egoisticamente ignorato qualunque desiderio di Dravko?
Gabriel di sicuro non lo faceva.
Non l’avrei fatto neanch’io.
Sarei stato un ottimo amante.
E avrei riavuto Dravko.

Titolo capitolo: Accettazione della Realtà
“Allora ci vediamo domani.” Mi salutò Gabriel, allungandosi a baciarmi ancora. E ancora. E ancora un’altra volta.
“Si, certo.” Risposi io, cercando disperatamente di trattenermi dal gettarlo direttamente fuori la porta e chiuderlo fuori.
Apprezzavo Gabriel, stavo bene con lui, ero sereno con lui, solo che a volte era semplicemente un po’ troppo presente.
Sentivo il bisogno di stare anche un po’ da solo con me.
Ed inoltre stare ogni istante con Gabriel non avrebbe permesso a Natan di capire che pensavo ancora a lui e che poteva tornare quando voleva.
Se voleva.
Non che credessi troppo nella possibilità di un suo ritorno, soprattutto dopo ciò che era successo nel mio ufficio, due mesi prima.
Lui era venuto, accantonando tutto il suo orgoglio, per venirmi a dire che potevamo ancora stare insieme e invece io l’avevo mandato via.
Non aveva usato proprio le parole giuste per esprimersi, ma non era mai stato bravo con le parole.
… chi volevo prendere in giro?
Infastidito dal fatto che qualcuno si era preso ciò che gli apparteneva, era venuto a mostrarmi la sua stizza, pretendendo una riappacificazione che io non potevo dargli.
Non senza delle scuse.
Ma Natan che si scusava era un’immagina davvero irreale.
Mi faceva male non averlo accanto, non svegliarmi con lui e persino non litigare più furiosamente con lui, ma non avevo intenzione di umiliarmi tanto da andargli a chiedere di tornare con me dopo il modo in cui mi aveva trattato a causa del mio semplice e legittimo desiderio di sposarlo.
Era più doloroso stargli accanto consapevole del fatto che stesse con me solo perché non voleva mi avesse qualcun altro, piuttosto che non stargli accanto per nulla.
“A domani.” Ripeté per l’ennesima volta Gabriel, baciandomi ancora, prima di, finalmente, allontanarsi, salutandomi con la mano.
“A domani.” Ripetei meccanicamente, chiudendo poi in fretta la porta, con il terrore che decidesse di tornare indietro.
Con la mano poggiata sullo stipite della porta, lo sguardo non poté che cadermi sull’anello che portavo, sul regalo che Natan mi aveva fatto all’inizio della nostra relazione, per fare pace.
Era una specie di ricordo dei tempi migliori, non solo di quando io e Natan stavamo insieme, ma anche di quando pareva che avermi accanto non gli desse eccessivamente fastidio.
Le cose, col tempo, cambiano.
Avevo disperatamente sperato che vedendomi ancora con quell’anello sarebbe tornato da me, comprendendo quanto lo amassi e quanto mi mancasse, ma, a dire il vero, non ero neanche certo l’avesse effettivamente visto.
Perché avrebbe dovuto curarsi di me e Gabriel?
Dopo qualche giorno di delusione e rabbia nel non essere riuscito ad ottenere ciò che voleva, doveva essere andato avanti.
Natan sapeva come si andava avanti, al contrario di me.
Sospirai, rigirandomi l’anello tra le dita.
Natan sapeva dimenticare.
“Cosa stai facendo, Dravko?”
Non riuscii a non sussultare, a non stringere l’anello tra le dita quando il mio collega Kahjal interruppe i miei pensieri.
Mi volsi verso di lui, ma sfuggii immediatamente i suoi occhi.
Per qualche motivo mi sentivo incredibilmente colpevole sotto il suo sguardo severo, sebbene non stessi facendo niente di male.
“Ho salutato Gabriel, se n’è appena andato.” Mi costrinsi a guardarlo, mentre rispondevo e capii che non era la risposta alla domanda che mi aveva posto.
D’altronde che cosa stavo facendo?
Che cosa voleva sapere da me?
“Che cosa stai facendo con quell’anello, Dravko? Con quel ragazzo? Con te stesso?”
Troppe domande a cui, sinceramente, non riuscivo a dare una risposta organica.
Non lo sapevo neanch’io, andavo avanti sperando succedesse qualcosa che mi aiutasse a capire come uscire da quella situazione di dolore, ma non accadeva.
Cosa stavo facendo?
Cosa stavo facendo?
“Non capisco che intendi, Kahjal.”
Cercai di passargli accanto per allontanarmi verso le mie stanze o il mio ufficio o un qualunque posto mi permettesse di fare qualcosa e smettere di pensare, oltre che permettermi di non rispondere a quella bruciante domanda.
“Hai capito benissimo, Dravko.” Mi rimproverò lui, immobilizzandomi con il semplice tono della voce. “Non ero d’accordo quando andavi in giro a fare la puttana, scopandoti chiunque ti venisse incontro, ma far credere a quel ragazzo che sei sinceramente interessato a lui, quando invece lo usi soltanto per far ingelosire Natan è persino peggio!”
Le sue parole mi graffiarono il cuore e vi si conficcarono il più a fondo possibile.
Deludere Kahjal, un fratello maggiore per me, era l’ultima cosa che avrei voluto fare, eppure non potevo fare altrimenti.
“Io sto bene con Gabriel.” Ribattei freddamente.
“Forse.” Concesse lui. “Ma non è con lui che vuoi stare e non dovresti fargli credere il contrario! Se vuoi aspettare che Natan torni, aspettalo, e lascia perdere Gabriel.”
No, non mi stava bene!
Per quanto fosse così ovvio che era la cosa giusta da fare, io non potevo accettarlo.
Perché dovevo restare solo quando non era colpa mia se la mia storia era finita?
Perché dovevo rinunciare ad un ragazzo con cui stavo bene solo perché non m’interessava tanto quanto gli dicevo?
“Perché devo essere sempre io a rimetterci, Kahjal?” Mi ritrovai ad urlargli contro. “Perché sempre io a soffrire?” Abbassai la voce, ma la mia irritazione non svanì. “Aspetterò che Natan torni da me per quanto tempo vorrò e se non tornerà avrò sempre Gabriel, accanto a me. Potrei persino amarlo, un giorno!”
Stavo bene con lui, non era impossibile che mi innamorassi davvero!
Sicuramente amare lui sarebbe stato meno doloroso che amare Natan.
Perché ero così dannatamente innamorato di Natan?
“E nel frattempo tanto vale mentirgli? Fargli credere che ti interessa? E’ questa la nuova storia d’amore che vuoi avere, Dravko, una storia basata sulla menzogna?”
No, non era quello che volevo!
Non stavo dicendo grandi bugie a Gabriel, era vero che stavo bene con lui!
Magari… magari non volevo seriamente cominciare una storia con lui, almeno finché non fossi stato certo che Natan non mi voleva più, ma… ma potevo innamorarmi davvero.
Io potevo amarlo, potevo essere felice con lui.
Lui mi apprezzava sinceramente, stava con piacere accanto a me, mi mostrava il suo affetto, al contrario di Natan che doveva farsi pregare persino per un misero bacio.
Potevamo essere felici, insieme.
Perché non potevo semplicemente amare Gabriel?
Perché dovevo amare una persona come Natan?
Era vero che avrei dovuto rinunciare a Gabriel, ma farlo mi avrebbe tolto ogni possibilità di far ingelosire Natan e anche l’unico porto sicuro in cui tornare se con Natan proprio non poteva di nuovo nascere qualcosa.
Io non volevo…
“Io non voglio restare solo.”
Odiai la mia voce tremante, ma non ero riuscito a controllarla.
Avevo fatto qualsiasi cosa per Natan, l’avevo amato con devozione, persino più di un credente col proprio Dio, ed ero stato ripagato con solo dolore.
Non era giusto che fossi io a pagare, che fossi io a soffrire, che fossi io a rimanere solo.
Era Natan che doveva pagare per quello che mi aveva fatto, dannazione!
Era stata solo colpa sua se la nostra storia era finita!
Era colpa sua se ero rimasto solo.
“Non sei solo.” Mi raggiunse la voce di Kahjal, strappandomi dai miei pensieri. “Ci sono io… e c’è Rien e Zane, noi ti siamo vicini e ti saremo vicini sempre, ma siamo anche preoccupati per te.” Mi prese il viso tra le mani, con dei gesti teneri che gli avevo visto usare solo con Zane. “Tu sei un uomo meraviglioso, Dravko, pieno di grandi qualità. Non lasciare che il dolore ti renda un uomo peggiore. Passerà. Prima o poi passerà.”
Lasciai che mi facesse posare il viso sulla sua spalla, passandomi le dita tra i capelli, sulla nuca, coccolandomi e consolandomi.
“Quando?” chiesi dopo qualche momento.
Kahjal non mi rispose.

Titolo capitolo: Punto di Crisi
Poi Dravko, improvvisamente, sparì.
Mi presentai all’ambasciata, com’era ormai usuale per me, da quando stavo con l’ambasciatore, lasciai che la guardia alla porta mi perquisisse e poi entrai.
Non mi ero neanche avvicinato alle stanze di Dravko, però, che il suo collega mi intercettò, parandomisi davanti, quasi come se non volesse proprio farmi avvicinare a quella zona.
Mi parve immediatamente ci fosse qualcosa di strano.
“Buongiorno.” Salutai educatamente, chinando il viso. “Stavo andando da Dravko.”
E non capivo perché lui si fosse interessato a fermarmi.
“Dravko non c’è, è partito.”
… come?
Non poteva essere!
“No, abbiamo un appuntamento.”
Non poteva certo essersene andato, di punto in bianco, senza dirmi niente.
E andato dove, poi?
Lui serviva lì, lì era il suo lavoro!
“E’ tornato a casa, per un po’.”
A casa…
Improvvisamente mi resi conto che non sapevo nulla di Dravko.
Dov’era nato? Dove viveva prima di essersi trasferito lì per il suo ruolo di ambasciatore?
Io non ne avevo idea, sebbene stessimo insieme da un mese.
Io non sapevo nulla, di lui.
“E dov’è casa sua? Potrei andarlo a trovare, magari gli farebbe piacere.”
Il diplomatico smontò tutti i miei desideri.
“E’ meglio di no, Gabriel.” Mi rispose, forse persino troppo freddamente.
Mi pareva non volesse far altro che allontanarmi da Dravko.
Per un attimo ipotizzai pure che non fosse per nulla a casa sua, ma tranquillamente nelle sue camere.
Ma perché mai Kahjal avrebbe dovuto impedirmi di vedere Dravko?
Perché non impedire a lui di vedere me, dato che sicuramente avevano un rapporto molto più stretto di quello che potevamo avere noi?
Che fosse, forse, innamorato di Dravko? Che fosse geloso della nostra relazione?
Perché allora aveva lasciato che stesse per ben sette anni con Natan, che lo trattava tanto malamente –a sentire i ricordi che l’ambasciatore aveva di lui-?
Perché non liberarlo prima dalla sua morsa dolorosa?
Non ebbi modo di pensare a lungo a quelle domande, però, perché qualcosa –qualcuno- di molto rumoroso interruppe la linea dei miei pensieri.
“E lasciami passare, idiota!”
Mi volsi verso il padrone di quella voce e non potei non riconoscere immediatamente Natan, con lo sguardo ricolmo di pura ira, a cui inutilmente stava dietro una guardia.
Non avevo mai visto una sua foto, una sua immagine, ma Dravko me l’aveva descritto così bene, che non potei non convincermi fosse lui.
“Mi dispiace, non sono riuscito a trattenerlo.” Si scusò mortificato la guardia, chinandosi davanti al diplomatico che scosse appena il capo.
“Non preoccuparti. Torna a posto, ci penso io.”
La guardia si allontanò, sotto lo sguardo furente del ragazzo che poi lo portò su di me –fulminandomi un istante- e poi su Kahjal.
“Devo vedere Dravko.”
Il modo irrispettoso con cui si rivolse al diplomatico mi seccò molto e ancora di più mi seccò il modo in cui pareva gli ordinasse di permettergli di fargli vedere quello che era il Mio uomo.
Sentivo un odio profondo nei confronti di quel ragazzo.
Fui lieto di potergli dire “Dravko non c’è.”
Parve sorpreso quanto me e questo, in parte, mi rassicurò.
Per un attimo avevo temuto che lui e Dravko avessero ancora contatti.
Dopo tutto ciò che Natan gli aveva fatto, mi pareva assurdo che lui volesse ancora averci un qualche tipo di rapporto.
Probabilmente non voleva e quelle erano le mie solite menate inutili.
Dravko stava con me e non dovevo preoccuparmi di nessun altro.
“E dov’è?” Chiese ancora Natan.
Di nuovo temetti e, dall’altro, sperai.
Dopo sette anni di fidanzamento, Natan probabilmente sapeva esattamente dove fosse nato Dravko e dove vivesse e poteva, forse, portarmici.
Ma se era là per riavere Dravko, come temevo fosse, non l’avrebbe certo mai fatto.
Il diplomatico pareva non volergli rispondere, forse temendo a sua volta che sarebbe andato a cercarlo, ma poi sospirò piano.
“E’ tornato a casa.”
Quella rivelazione doveva dire a Natan molto più di quanto dicesse a me, perché lo portò a sussultare vistosamente.
“Mio Dio…” Mormorò “Ekaterina?”
… chi diamine era Ekaterina?
La sorella di Dravko? No, per quanto ne sapessi era figlio unico.
… per quanto ne sapessi…
“Ha avuto un attacco.” Ammise Kahjal, sebbene assai controvoglia.
Un attacco? Un attacco di che?
Che diamine stava succedendo?
Per Natan, quelle affermazioni smoccolate furono abbastanza, perché corse in fretta fuori.
D’impulso, lo seguii, afferrandolo per una mano.
“Mollami.” Mi ringhiò in viso lui, alzando la mano libera come per colpirmi, ma senza neanche sfiorarmi, ritraendo solo il braccio che gli avevo fermato.
“Stai andando da Dravko, vero?” Gli chiesi, pur sapendo bene la risposta. “Portami con te.”
E lì, Natan rise.
Mi rise in faccia, spudoratamente, sinceramente divertito e incredibilmente crudele.
“Ascoltami, Gabriel, posso immaginare come ti senti in una relazione fantastica con Dravko, ma è una sensazione assolutamente sbagliata. Dravko pensa ancora a me.” Alzò una mano. “Hai presente l’anello che ha al dito? Quello che porta sempre? Gliel’ho regalato io. Sta con te solo per far ingelosire me.”
… no.
No, non era vero, erano bugie! Soltanto bugie!
Dravko aveva scopato con me per farlo ingelosire, ma poi aveva capito che sbagliava!
Dravko stava con me perché con me voleva stare!
“Stai mentendo!” Gli ringhiai contro, stringendo forte i denti, dandogli una spinta.
“Se non mi credi vediamo cosa succederà quando torneremo da casa sua.”
Maledizione!
Lui giocava in vantaggio, lui sapeva dov’era Dravko!
Poteva raggiungerlo e colpirlo proprio in quel momento di debolezza.
“Allora combatti con me ad armi pari! Aspetta che sia tornato! Aspetta che stia meglio!”
Lui mi guardò e io mi sentii morire.
Aveva uno sguardo incredulo e divertito, come guardasse poco più che una cavia che aveva fatto un giochetto carino sulla ruota e, al contempo, come se gli avessi chiesto di uccidere suo fratello.
“Dravko, ora, ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, ha bisogno di me.”
No!
Era di me che aveva bisogno, cazzo!
Lui stava con me!
“Se vai da lui ora è ovvio che sceglierà te! Aspettalo qui con me! Dimostrami che davvero vuole te e non la sicurezza che gli dai in un momento di crisi!”
Rise, scuotendo il capo.
La sua bellezza mi fece male.
Potevo capire perché Dravko era rimasto con lui per così tanto tempo.
“Vedi, Gabriel.” Mormorò. “Io non devo dimostrarti niente.”
Alzò ancora la mano e questa volta mi colpì davvero, spingendomi e facendomi cadere a terra, rivolgendomi un’ultima occhiata di pura vittoria.
“Buona giornata.” Mi disse, allontanandosi.
Scattai in piedi, cercando di raggiungerlo, ma la mano salda di Kahjal mi fermò.
Nonostante il grande rispetto che nutrivo nei suoi confronti, cercai comunque di ritrarmi da quel gesto. “Lasciami idiota!” Gli urlai contro. “Devo andare da lui, Dravko è il mio fidanzato!”
“No, non lo è.”
Rimasi senza parole.
No, non lo era.
Dravko non era il mio fidanzato, anzi, era stato molto attento nel dirmi che non se la sentiva di ufficializzare già il mio rapporto.
E perché non avrebbe dovuto farlo, se non perché aveva qualcun altro, in testa?
Se non perché aveva Natan in testa?
D’altronde erano stati insieme sette anni, doveva esserci qualcosa di molto forte, tra di loro.
Doveva esserci qualcosa che, probabilmente, tra me e Dravko non ci sarebbe mai stato.
Mi morsi forte la lingua, per non piangere.
Il diplomatico cercò di dire qualcosa, disse qualcosa, ma io non l’ascoltai.
Strinsi forte gli occhi, per trattenere le lacrime e corsi via.
Non volevo più stare vicino a nulla che potesse avere a che fare con Dravko.

Titolo capitolo: Ritorno a Casa con Sorpresa
Scoprire che mia madre era stata di nuovo male, proprio in quel momento in cui già ero di mio scosso per motivi del tutto diversi, fu quasi distruttivo.
Non attesi neanche il permesso ufficiale per buttare in una borsa un paio di cose e precipitarmi fuori dall’ambasciata per prendere un’auto che mi portasse all’aeroporto e poi a casa mia.
Il viaggio fu tremendo.
Tra l’ansia per mia madre e il pensiero di Natan e Gabriel e di tutto il casino che stavo combinando con loro mi sentii più volte male e l’auto dovette fermarsi per permettermi di riprendere aria.
Per fortuna in aereo fu meglio.
Non avevo mai somatizzato a livello fisico i miei problemi, ma in quel momento non riuscivo a rimanere quieto e lucido.
Ero distrutto.
Più volte fui tentato di buttare l’anello fuori dal finestrino, gesto estremo di rottura con quella dannata situazione del cazzo, ma non ne ebbi mai il coraggio.
Avrei voluto risolvere almeno con Gabriel, chiedergli quantomeno scusa, ma l’improvviso malessere di mia madre aveva impedito anche quella parte del mio piano.
Era da anni che mia madre soffriva di una forte debolezza al cuore, che spesso impazziva o si fermava, lasciandola sempre più stremata, ma i dottori ancora non avevano trovato alcuna idea su cosa fosse a dare quegli sbalzi al cuore e come impedire che accadessero ancora.
Come impedire che fossero mortali, soprattutto.
Ogni volta che mio padre mi chiamava per informarmi di uno degli attacchi di mia madre, temevo di arrivare al paese troppo tardi per sentire le sue ultime parole.
In quei momenti il pensiero di vivere così lontano dai miei genitori mi schiacciava e mi annichiliva, lasciandomi quasi senza fiato al pensiero del mio egoismo, eppure non avrei saputo vivere la mia vita senza essere l’ambasciatore russo, senza fare ciò che facevo, per quanto fosse minimo, per aiutare le persone a stare bene, a vivere una vita migliore.
Avrei voluto avere i miei genitori più vicini, ma io non potevo rinunciare al mio ruolo –per dovere e per volere- e loro non potevano allontanarsi dal paese –un po’ perché a quel luogo erano affezionati, un po’ perché non si sarebbero mai abituati alla città, un po’ perché mia madre non avrebbe potuto sopportare il viaggio.
Così andavamo avanti così: mia madre aveva un attacco, mio padre mi chiamava e io correvo da loro, pregando Dio che mi permettesse di incontrare ancora mia madre e di farla vivere a lungo.
Già solo pensare al giorno in cui quella preghiera non sarebbe stata esaudita, mi nauseava.
Il pensiero di perdere i miei genitori mi distruggeva.
Quando l’auto che avevo preso in aeroporto mi fermò all’inizio della ripida e impraticabile stradina che saliva verso la casupola dove avevo abitato per vent’anni, corsi giù dall’auto e, afferrata la borsa con le mie cose mi diressi rapidamente verso casa.
Papà, che forse aveva sentito il rumore del motore, decisamente inusuale per quella zona, mi attendeva fuori casa, con le mani sui fianchi.
“Papà.” Mi gettai contro di lui, quasi temendo di romperlo al momento dell’impatto, stringendomi contro di lui. “Papà, come sta la mamma?”
“Sta bene, sta bene.” Mi rispose lui con la sua voce roca e rassicurante, passandomi una delle sue mani callose tra i capelli. “Entra, va’ da lei, è così impaziente di vederti, poso io la borsa.”
Gli lasciai la borsa –in effetti, fu lui quasi a strapparmela da braccio- e corsi dentro casa, verso la camera da letto dei miei: sul letto era stesa mia madre, gli occhi chiusi e le coperte tirate su solo fino a metà petto, forse a causa del calore che ancora riscaldava l’aria.
“Ciao…” La salutai a voce bassa, temendo di darle fastidio con dei toni più alti, sedendomi sul letto accanto a lei.
Cercai la sua mano e la strinsi tra le mie, sorridendole.
“Come stai?” Le chiesi.
“Sto bene, tranquillo.” Mi rispose lei, ma dalla voce tremolante si poteva ben capire quanto fosse affaticata “Non c’era bisogno che tu venissi.”
Era qualcosa che diceva ogni volta, ma io, ovviamente, non l’ascoltavo mai.
Stare vicino a mia madre era una delle poche cose che potevo fare per lei e l’avrei fatta finché Dio me l’avesse permesso.
Passare la notte nella mia vecchia camera, con tutti i miei vecchi peluche e giochi ancora lì sistemati e tutti i miei vecchi vestiti ancora nell’armadio, mi fece sia bene che male.
Sentii un senso di pace appoggiarsi su di me, ma, allo stesso tempo, il pensiero di Natan e di Gabriel turbò la mia notte, svegliandomi più di una volta.
La mattina dopo mi svegliai molto presto e mi dedicai ai servizi di casa, cercando di alleggerire il peso sulle spalle di papà anche con il suo lavoro di allevatore, cercando di potergli dare qualsiasi aiuto possibile.
Non ero molto abituato a questo tipo di lavoro, quindi non potei aiutarlo tanto quanto avrei voluto, ma sentii chiaramente quanto la mia presenza lo rendesse più sereno e tranquillo.
Io stesso, accanto a lui, mi sentivo incredibilmente rasserenato, tanto che i problemi che mi ero lasciato alle spalle nella capitale, mi sembravano improvvisamente nulli.
Io amavo Natan e, probabilmente, l’avrei amato ancora per moltissimo tempo.
Lui sarebbe tornato da me? No, probabilmente no.
E io avrei continuato a soffrirne ancora tanto, tantissimo tempo, ma non potevo farci niente. Stare con Gabriel, fingendo che lui mi interessasse, solo per ingelosire ipoteticamente qualcuno che probabilmente di me non si interessava affatto, era una crudeltà nei suoi confronti.
Io non ero quel tipo di persona.
Non lo sarei diventato per Natan.
“Ti vedo corrucciato.” Intervenne nei miei pensieri mio padre, riempiendo le mangiatoie dei maiali.
Non volli rispondere subito, ma dopo un po’ lasciai che le parole uscissero dalla mia bocca.
“Io e Natan ci siamo lasciati.”
Nonostante sette anni di fidanzamento, i miei genitori avevano incontrato Natan solo una volta, ma parlavo di lui continuamente, i miei erano a conoscenza di ogni cosa fosse successa tra di noi ed erano stati i primi a sapere della nostra rottura definitiva.
“Lo so già, questo.” Mi disse infatti papà.
Non ero sicuro di volergli dire il resto.
“Ho… iniziato ad avere rapporti casuali con… persone casuali, tra cui un cantante, Gabriel.”
Non lo guardavo, ma sentivo chiaramente il suo sguardo su di me e mi feriva ancora più di quello di Kahjal del giorno prima.
“Sì, l’abbiamo visto in televisione.”
I miei genitori non guardavano mai la televisione, per quanto ne sapessi, e il pensiero che dovessero proprio aver visto me con i miei numerosi amanti, mi bruciava di imbarazzo.
“Avete visto anche che io e Gabriel abbiamo cominciato una relazione?”
Sperai di no, perché non avevo mai fatto qualcosa di importante, come fidanzarmi con qualcuno, senza avvisarli.
“Sì.” Rispose però mio padre.
… bene… la fortuna non girava dalla mia parte.
D’altronde, nell’ultimo periodo non lo faceva mai.
“L’ho fatto solo perché speravo Natan si ingelosisse vedendoci e tornasse da me, ma… ma mi sono reso conto che sto sbagliando e che non devo mentire a Gabriel. Io non sono pronto per una nuova relazione e forse non lo sarò per molto tempo, non è giusto da parte mia illudere le persone.”
Sentii la mano di mio padre poggiarmisi sulla spalla e stringerla forte.
“E’ la scelta giusta, Dravko. Nessuno merita di essere illuso.”
Sorrisi, posando la mano sulla sua, stringendola forte con la mia.
“Lo so. Spero solo che… Gabriel non la prenderà troppo male. Credo sia molto affezionato.”
“Ne soffrirà.” Mi rispose mio padre, stringendo più forte la mano. “Ma poi andrò avanti, proprio come andrai avanti anche tu.”
Sì…
Sì, sarei andato avanti, in un modo o nell’altro.
Non sapevo come, non sapevo quando, ma l’avrei fatto.
Sarei andato avanti.
Sarei stato felice.
“Torna da tua madre, ora.”
Sorrisi, annuendo, scostandomi da mio padre per tornare in casa.
Non feci in tempo a rientrare, che bussarono alla porta.
Doveva essere una vicina, che veniva a controllare come stava mia madre, non sarebbe stato strano.
Andai ad aprire e trasali, stringendo le dita sulla maniglia.
“Ciao, Dravko.”
Davanti a me, Natan.

Titolo capitolo: La Scelta Finale
La mia sparatissima corsa fuori dall’ambasciata durò, in effetti, decisamente poco: il tempo di rendermi conto che io non avevo né una macchina, né la capacità di guidare un auto.
In un altro momento, un altro me non sarebbe mai tornato indietro, umiliandosi per chiedere all’ambasciatore un aiuto, ma non ero più quel me stesso, volevo Dravko e l’avrei avuto.
Aveva bisogno di me e io avevo bisogno di lui.
Non dovetti pregare molto il diplomatico perché mi concedesse di utilizzare una delle sue auto.
“Perché mi aiuti?” Gli chiesi incerto, mentre mi accompagnava al parcheggio.
“Perché non so come mai, ma tu rendi Dravko felice e io sono molto affezionato a lui e voglio lui sia felice.”
Non sembrava contento del fatto che Dravko fosse felice proprio con me, ma non me ne interessai.
Io ero felice con Dravko e Dravko era felice con me.
Non c’era altro che volessi sapere.
“Grazie.” Mormorai prima di entrare in auto.
Lui non disse più nulla.
Il viaggio in auto fu tremendo, ma ancora peggio fu il viaggio in aereo.
Un po’ perché già di per sé lungo, un po’ perché non ero affatto abituato a quel mezzo, il viaggio durò un’infinità e più d’una volta dovetti correre in bagno a vomitare.
Pregai che quel viaggio avrebbe avuto un senso.
E se fossi arrivato lì, se mi fossi aperto a lui e lui comunque non avesse voluto più avere niente a che fare con me?
Che cos’avrei fatto?
Lo supererò. Mi risposi.
Sì, in qualche modo l’avrei superato.
In qualche modo.
L’auto che avevo preso all’aeroporto si fermò.
“Più avanti di così non posso andare, devi andare a piedi.”
Sì, ora che ero lì riconoscevo l’inizio della stradina alla fine della quale viveva la famiglia di Dravko.
Ero stato lì soltanto una volta, eppure avevo impresse nella mente tutte le immagini di quella piccola vacanza: il paesaggio, la quiete, gli animali, i genitori di Dravko gentilissimi, la gioia del stare con lui in quella piccola casetta quasi del tutto nostra.
Dravko non mi aveva mai chiesto di convivere con lui, era sempre stato molto concentrato sul matrimonio, anche se non aveva esplicitato quel desiderio se non… se non quando poi io l’avevo lasciato.
Se me l’avesse chiesto, se mi avesse proposto di convivere con lui, gli avrei detto di si?
Probabilmente no, probabilmente mi sarei soffocato lo stesso.
Eppure avevo davvero il forte desiderio di vivere in una casa solo con lui.
Non ero pronto per il matrimonio, ma per la convivenza… per la convivenza sì.
Forse potevo proporgliela, forse l’avrebbe apprezzata.
Mi ritrovai davanti alla porta della casa di Dravko senza neanche rendermene conto.
Improvvisamente mi sentii in piena crisi.
Dovevo farlo? Dovevo davvero parlargli?
La mia mano bussò prima che me ne rendessi conto.
Sì, dovevo.
Sì, volevo.
Lo volevo di nuovo con me, lo volevo accanto e me sì, sì volevo anche vivere con lui.
Volevo Dravko.
Fu lui stesso ad aprirmi la porta e lo vidi chiaramente stringere le dita sulla maniglia.
“Ciao.” Mormorai.
Lui rimase immobile, senza dirmi niente.
“Posso parlarti?” Gli chiesi.
“Non so se voglio ascoltarti.” Mi rispose freddamente, incrociando le braccia al petto.
Nel movimento notai la netta mancanza dell’anello attorno al dito.
Il mio cuore mancò molti battiti.
“Hai tolto l’anello…”
Lui alzò le dita, guardandosele in silenzio. Poi, lentamente, annuì.
“Avevo paura di perderlo.”
Allora avevo ancora le mie speranze!
Allora mi voleva ancora o, perlomeno, ancora mi pensava!
“Posso parlarti?” Chiesi ancora.
Lui si volse e mi parve sorpreso, così portai lo sguardo col suo e incrociai la figura maestosa di Dimitri, in piedi nel salotto.
“Vai.”
Lo ringraziai fortemente, dentro di me, mentre poco gli sorridevo per ricambiare al suo grande e incredibilmente dolce sorriso.
Dravko annuì appena e uscì dalla casa, chiudendosi la porta alle spalle.
“Vieni.” Mormorò, avviandosi per una stradina ripida.
Gli stetti dietro in silenzio finché non si fermò e solo allora, sebbene non mi guardasse, cominciai.
“Io ti amo.” Gli dissi, convinto. “Ti amo e voglio stare con te. So che mi sono sempre comportato malissimo, so che sono un incapace, che sono un pessimo amante, so tutto questo e me ne rendo conto. Io non ho idea del perché tu debba stare con me.” E risi, sinceramente.
Perché davvero non ne avevo assoluta idea.
Che ci faceva una persona come Dravko, che poteva avere chiunque volesse, con uno come me, che non riuscivo a tenermi vicino la meravigliosa persona che amavo?
Boh.
Semplicemente boh.
“Io non ho idea del perché tu sia stato con me per tutto questo tempo nonostante il modo in cui ti trattassi ogni volta, sinceramente.”
“Perché ti amo.” Mi rispose lui, portando finalmente lo sguardo su di me.
Era incredibilmente serio ed incredibilmente bello.
Mi accostai a lui, prendendogli il viso tra le mani, baciandolo con entusiasmo.
Non ci volle molto perché lui posasse le mani sulle mie, ricambiando il bacio con la stessa gioia.
Sentii in quel contatto quanto lo volessi e quanto mi volesse.
Quanto mi mancasse e quanto gli mancassi.
Quando eravamo fatti l’uno per l’altro.
Mi scostai da lui quando non ebbi più fiato.
“Io ti amo e lo so che sono un incapace, amore mio.” Risi piano, ancora. “Ma posso migliorare, posso… migliorare, con te. Ti amo. Ti voglio con me, ti voglio accanto a me. Sempre.”
Lo vidi sgranare impercettibilmente gli occhi e lì mi resi conto che stavo sbagliando.
Pareva che io volessi sposarlo, ma no, non volevo sposarlo.
Lo amavo, ma ne ero certo: non ero pronto per il matrimonio.
Forse non lo sarei mai stato.
Non credevo nel matrimonio in alcun modo.
“Non… fraintendere, Dravko, non voglio sposarti, non sono pronto per il matrimonio.”
Gli sfiorai le guance con le dita, sorridendogli.
“Ma ti amo e voglio stare accanto a te… vorrei tornare con te e non solo.” Rimasi in silenzio.
Quella era la parte più difficile, convincermi che potevo farcela, che potevo aprirmi del tutto che potevo dirgli ciò che provavo e ciò che volevo.
Avevo già fatto tanto, quello era solo un ultimo passo.
Inspirai profondamente, passandogli le braccia attorno al collo, stringendomi a lui.
Feci per nascondermi contro il suo collo, ma poi mi trattenni, mantenendo lo sguardo fisso nel suo.
Volevo mi guardasse dritto negli occhi, che sapesse che ero serio.
Perché ero incredibilmente serio.
“Dravko, vuoi… vuoi venire a vivere con me?”
Trasalì ancora, sgranando gli occhi e il mio cuore saltò molti battiti.
Avevo paura, avevo incredibilmente paura.
Sarebbe venuto con me?
O era ormai tutto perduto?
Mi amava ancora? Voleva tornare con me?
Speravo di sì.
Speravo incredibilmente di sì.

Titolo capitolo: Epilogo
Mi guardai intorno, nel piccolo appartamento sobriamente arredato.
“E’ davvero bella.”
Mi ritrovai a mormorare, con lo scatolone tra le braccia.
Non era davvero così bella, in realtà, anzi.
Era piuttosto piccola, semplice, vuota… ma era casa nostra.
Casa mia e di Natan.
Casa mia e del mio amore.
Casa nostra.
“Dravko, ti vuoi spostare?” Mi arrivò la voce del mio cucciolo da dietro, irata e seccata e acida come sempre.
Nonostante il giorno in cui era venuto a prendermi si fosse mostrato particolarmente aperto e dolce, in realtà successivamente non era poi cambiato tanto, in lui, ma non importava.
Io sapevo che mi amava, ne ero certo, e tanto mi bastava.
“Scusami.” Mi feci da parte, posando lo scatolone e lo osservai fare la stessa cosa.
Poi si alzò, posandosi le mani sul fianco, guardandosi intorno.
“Credevo potessi permetterti qualcosa di meglio, Grande Capo.” Sbuffò acidamente.
“Io sì.” Ammisi. “Ma tu no, amore mio.”
Mi lanciò un’occhiata feroce, ma io non potei non ridere.
Era tenerissimo il modo in cui cercava disperatamente di essere del tutto indipendente da me.
Sembrava un cucciolotto.
Il mio cucciolotto.
“E comunque questa casa va benissimo per noi, Natan. E’ grande abbastanza.”
In effetti, per due era perfetta.
Aveva la camera da letto, un salotto, una cucina, ben due bagni, anche se piccolini e persino un piccolo giardinetto.
Era la casa in cui avevo sempre sognato di vivere con Natan e, finalmente, il mio sogno si realizzava.
Avevo dovuto penare non poco per ottenere ciò che volevo, ma ne era valsa la pena.
Non ci saremo sposati? Pazienza.
Vivere insieme a Natan era un’ufficializzazione abbastanza decisa, mi potevo accontentare.
E poi, forse, un giorno avrebbe cambiato idea e avrebbe accettato di sposarmi.
Non era neanche necessario prendesse il mio cognome –ero certo non avrebbe mai acconsentito- ma sarebbe stato bello: Natan Kin. Suonava bene.
Ma potevo prendere io il suo!
Dravko Lancelot. Dravko Kin Lancelot.
Suonava altrettanto bene.
Chissà se me l’avrebbe permesso.
Chissà se sarebbe stato felice.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma, probabilmente sì, ne sarebbe stato felice.
Natan adorava quelle piccole cose.
Adorava quando facevo qualcosa per lui, anche quando lui diceva che non la voleva.
Adorava quando mi imponevo.
Adorava quando prendevo un po’ il controllo della situazione.
E avevo una voglia matta di prendere il controllo della situazione.
“Esploriamo la casa?” Gli chiesi.
“Capirai.” Sbottò lui. “E’ talmente piccola che l’abbiamo già esplorata.”
Oh, no, non l’avevamo ancora fatto.
Risi, accostandomi a lui da dietro, passandogli le braccia attorno alla vita.
“No, invece.” Mormorai al suo orecchio, spingendomi contro di lui.
Lo sentii tremare sotto i miei tocchi e ne fui ben che soddisfatto.
“Vuoi scoparmi qui? In ingresso?” Ribatté con un tono ancora acido Natan, cercando di scostarmi.
Posai una mano sulla porta ancora aperta, chiudendola con un secco movimento.
“Sì.”
Natan sbuffò ancora, ma sapevo bene che era già più che eccitato.
“Come vuoi.”
Cercò di voltarsi nel mio abbraccio, ma io glielo impedii, sbattendolo contro il muro.
Quella volta non ero intenzionato a dargliela vinta.
Lo sentii trasalire e muovere le spalle per cercare di scostarmi, ma io lo feci solo quel tanto che bastava per premermi meglio contro di lui.
“Che cazzo fai?” Ringhiò il mio amore. “Sai che non mi piace così.”
Avevo notato, in quel periodo di riappacificazione, che la verità era proprio il contrario: quella posizione eccitava particolarmente Natan.
Mi ero sorpreso di non essermene mai accorto, in sette anni.
Non mi ero mai accorto di tante cose, in sette anni.
Risi, portando una mano al suo cavallo teso, stringendolo tra le dita.
“A me non pare.” Mormorai sulla sua nuca.
Ancora lo sentii fremere e soffocare a stento un sospiro.
“Da quando sei così stronzo?”
Risi.
Da quando?
Non ne avevo idea.
Erano cambiate un po’ di cose, in me, da quando io e Natan avevamo avuto quella dura rottura.
“Ho imparato dal migliore, lo sai.” Mormorai, mordendogli il collo.
Ancora sospirò, ma percepii chiaramente il gorgoglio della sua risata.
“Che idiota che sei.”
Risi, facendolo voltare, poggiandolo al muro, baciandogli le labbra.
“Ti amo.”
Natan sorrise, passandomi le braccia attorno al collo, tirandomi contro di sé.
“Anch’io ti amo.” Mormorò, mordendomi il labbro inferiore.
Sorrisi, stringendolo forte contro di me, abbassandogli rapidamente i pantaloni.
Lo volevo.
Lo volevo in quell’istante.
Lo amavo.
Lo amavo e lo volevo.
E l’avevo finalmente con me.

Edited by Sselene - 22/8/2011, 13:56
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 17/10/2011, 13:14




Uao *.* fantastica ! L'ho letta tutto d'un fiato, mio dio come mi sono immedesimata ( povero Gabriel ç.ç) e che bel finale, evvai Dravko chi la dura la vince!
 
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Sselene
view post Posted on 18/10/2011, 12:25




Mi fa molto piacere che ti sia piaciuta, è una storia a cui tengo moltissimo <3
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 18/10/2011, 15:41




Si vede che è decisamente curata nei dettagli, era da tempo che volevo leggerla solo che per via della lunghezza non avevo mai il tempo, sono felice alla fine di esserci riuscita.
Leggere e recensire tutte le storie postate sul sito per me è un divertimento e se non riesco a farlo continuo a chiedermi di cosa tratterà la trama U.U
Comunque ancora i miei complimenti perchè scrivi benisismo e le trame e i persoanggi sono semrpe originali
 
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3 replies since 22/8/2011, 12:10   48 views
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