Citazione di una vita, longshot verde

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Sselene
view post Posted on 24/8/2011, 14:35




Nick autore: Sselene
Titolo storia: Citazione di una Vita
Genere: Romantico
Avvertimenti: slash
Breve introduzione: Derek Humper è un aspirante scrittore, ma ha un problema: la laconicità. Per aiutarlo il professor Phillips lo indirizza verso Michael Murray, che, al contrario, è eccessivamente logorroico.
Che i due possano, in qualche modo, mediarsi a vicenda?


Titolo capitolo: Prologo

Era cominciato tutto come un gioco, un esercizio di stile.

“Sei troppo stringato.” Gli aveva detto il suo professore di Scrittura Creativa, gettandogli quasi addosso la raccolta di racconti che aveva con pazienza scritto, limato, curato, stampato e rilegato come fosse tanti piccoli bambini, creature della sua mente, dei suoi pensieri e, perché no, del suo sangue.

Si era sentito morire, ucciso a freddo con un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo dritto al cuore.

Aveva sempre creduto che la lunghezza non contasse e che, anzi, la sua incisività fosse una caratteristica spiccata della sua letteratura che l’avrebbe portato ad essere riconosciuto e chiaramente apprezzato, messo in contrasto con quegli scrittori che riempivano i loro romanzi o racconti di soliloqui inutili e immotivati.

“I racconti sono anche buoni, interessanti, variegati…” Aveva continuato il professore, assecondando ogni sua parola con un cenno della mano, come accarezzandola, forse temendo che il suo primo gesto, troppo brusco, avesse in qualche modo turbato la quiete dell’universitario. “Ma sono decisamente troppo troppo corti. Devi trovare il modo di dilungarti di più.”

All’inizio non aveva capito chiaramente ed esattamente cosa volesse dire il professore con quelle parole, troppo confuso, ancora, dalle critiche che mai si sarebbe aspettato di ricevere.

Cosa avrebbe dovuto fare, secondo il professore?

Non c’era null’altro che servisse sapere, nei racconti che scriveva, se non quello che già c’era scritto, era sua abitudine scrivere tutto il necessario e gli pareva davvero strano potesse aver dimenticato qualcosa di utile, non sarebbe stato da lui.

Doveva forse aggiungere pagine e pagine di inutili disquisizioni, solo per rendere il racconto di una lunghezza più ragguardevole? Non l’avrebbe mai potuto fare!

D’altronde, era sempre e solo il racconto a decidere come essere scritto, lui poteva farci poco. Era il racconto che imponeva soluzioni quasi obbligatorie. Citazione1.

“Scrivo tutto ciò che è utile sapere.” Aveva obiettato, infatti, persino offeso.

“Non ti soffermi sui personaggi, Derek, non crei alcuna empatia tra il lettore e il personaggio che rappresenti, devi approfondire di più la psicologia delle persone che ritrai o saranno solo manichini senza forma e senza personalità.” Gli aveva spiegato più chiaramente il professore, accalorato nel mostrargli, e nel cercare di fargli capire, il suo punto di vista.

Si era trattenuto, ma a stento, dal dire che se i suoi personaggi apparivano così era perché così erano le persone reali: pallide figurine di carta, bidimensionali, svuotate dall’interno da un qualsivoglia obiettivo, ideale, credo. Pallide imitazioni di ciò che un tempo erano, quando erano ricolme di desideri e di voglia di fare, ormai non erano che pura passività, che si lasciava trasportare dai flutti come un’alga staccata dallo scoglio. Citazione2.

“Che cosa dovrei fare?” Aveva quindi chiesto, decidendo di assecondare il professore, finché seguiva il suo corso di studi.

“Devi concentrarti per approfondire di più la psicologia dei personaggi. Chiedi aiuto a qualche compagno, magari. Michael è molto bravo, per esempio, potresti imparare molto da lui.”

‘Imparare’ non era mai stato un termine affine a Derek.

Sin da quando era bambino era stato fermamente convinto di sapere già molte delle cose che volevano in qualche modo fargli imparare e così era sempre stato uno studente brillante, ma insofferente, pronto a distrarsi ogni secondo, perso nei suoi labirinti mentali da cui difficilmente usciva, persino con gli amici.

Amici.

Quella branca di idioti che frequentava per far contenta la mamma, che si preoccupava eccessivamente per lui.

“Stai sempre in casa! Esci, prendi aria!”

Come se poi facesse bene, inalare quell’aria viziata, ricolma di smog, ipocrisia e passività.

Era meglio stare chiuso in casa, con qualche bel libro, immergersi nella fantasia e illudersi che esistesse un’altra realtà, una realtà migliore rispetto a quella che c’era fuori la porta, in cui le persone vivevano come automi sotto il controllo mentale del porno.

“Derek…” Lo aveva richiamato alla realtà il professore. “Ci sono delle persone vere, là fuori, come me e te. E dev’essere così anche dentro i tuoi racconti o a nessuno interesseranno. E sarebbe un peccato, perché sono davvero belli.”

I complimenti sapevano sempre convincerlo, era fatto così, era un egocentrico.

D’altronde l’ego era uno sforzo costante per andare controcorrente (citazione3) e lui aveva bisogno di andare controcorrente per restare lucido e vivo e sano di mente.

Perché se si fosse abbassato al livello degli altri, della passività fuori la sua camera ricolma di poster di film in lingua, di cantanti sconosciuti e di squadre sportive a cui nessuno importava, sicuramente avrebbe perso la testa.

“Ci sono persone vere come noi.” Aveva detto il professore.

Non aveva mai creduto che il professore fosse una persona vera, l’aveva sempre visto come qualcuno che insegnava cose imparate secoli prima, senza davvero capirle nel profondo, e che poi la notte si ubriacava delle orge che passavano in televisione, eppure forse si era sbagliato, forse poteva dargli una possibilità.

Forse poteva darla a quel fantomatico Michael che aveva citato.

D’altronde, bisognava vivere e imparare, altrimenti non si avrebbe vissuto affatto. Citazione4.



Aveva conosciuto Michael così.

“Sei tu Michael Murray?”

Il 23enne, con dei capelli mori che ti veniva voglia di scombinare, alzò uno sguardo azzurro limpido su di lui, sorridendogli con un sorriso sinceramente cortese.

“Sono io.” Confermò. “Tu sei?”

“Mi chiamo Derek Humper, frequentiamo lo stesso corso di Scrittura Creativa.” Si presentò, senza però allungare la mano, per farsela stringere.

“Ah, sì! Quello sempre in prima fila!” Ricordò Murray, ma non c’era alcuno scherno, nella voce, alcuna accusa.

“Sì.” Confermò Derek, piuttosto neutro, senza dare alcuna inclinazione alla risposta. “Avrei bisogno del tuo aiuto.”

“Tu?” Domandò incredulo il moro, sgranando impercettibilmente gli occhi e schiudendo le labbra, forse anche un po’ eccessivamente, per mostrare tutta la sua sorpresa. “Credevo tu fossi troppo bravo per aver bisogno di aiuto.” Questa volta, nella voce, una nota d’ironia c’era eccome, ma Derek decise di non farci caso.

“Il professor Phillips mi ha detto che i miei racconti mancano di qualcosa…” Ammetterlo a voce alta era una tortura, ma mostrarsi quieto come stava facendo era comunque una vittoria: potevano criticarlo, ma lui non si sarebbe comunque scosso, era sicuro di sé. “Mi ha detto che forse tu puoi aiutarmi.”

“Quale onore!” Esclamò Murray a voce alta, ridendo poi, rumorosamente.

A quel punto, una smorfia di fastidio colorò il viso di Derek e l’altro universitario tacque subito.

“Scusami.” Mormorò, con un sorriso sincero. “Mi sono lasciato prendere un po’ la mano, ma non credevo davvero tu potessi avere bisogno di aiuto. Del mio aiuto, poi! Sono molto sotto di te, di media.”

Quello era il secondo motivo per cui Derek aveva esitato tanto prima di andare a chiedere l’aiuto del compagno di corso.

Il primo era che chiedere aiuto non era affatto qualcosa di adatto a lui.

A convincerlo a farlo era il sincero desiderio di essere il migliore al mondo.

Se il professore non apprezzava e diceva che doveva farsi aiutare da Michael, per quanto ritenesse fosse un idiota non poteva che assecondarlo.

D’altronde c’era chi era affogato, per non chiedere aiuto. Citazione5.

E così si era ritrovato davanti al moro, a implorare aiuto.

Quasi si faceva schifo.

Se l’era sempre cavata da solo, Derek, sin da bambino.

Secondo figlio di una coppia asfissiante sulle cose inutili e fin troppo permissiva sulle cose importanti, aveva visto suo fratello morire in camera sua, con un laccio legato al braccio e una siringa in vena, piena ancora a metà di sangue ed eroina.

Aveva smesso presto di soffrire per lui, il dolore sopraffatto dalla pura rabbia e dall’odio.

La droga non era una malattia, era una decisione (citazione6) e suo fratello l’aveva presa e aveva deciso di andare fino in fondo. Era morto? Era ovvio lo facesse.

Se non ci fosse riuscito con la droga, forse l’avrebbe fatto in un altro modo.

Non era riuscito a soffrire per lui per più d’una settimana, dopo la quale la consapevolezza l’aveva afferrato allo stomaco e alla gola: suo fratello si era suicidato. E suicidarsi era semplicemente irragionevole. Citazione7.

Lui aveva preso una decisione diversa da quella del fratello, ma, come la sua, era una decisione che riguardava solo lui.

Decidere di essere una brava persone e un bravo studente, di non fumare, di non drogarsi, di non fare sesso con il primo che passava, di non mettersi nei guai era sempre stata una decisione che aveva riguardato solo e soltanto lui e non i suoi genitori, perché i suoi genitori non c’erano mai stati.

Nessuno c’era mai stato, se non i libri che aveva a lungo letto e amato.

Dover chiedere aiuto, a qualcuno che, tra l’altro, era tanto più in basso rispetto a lui, era nauseante e vomitevole, eppure non aveva altra scelta che stringere i denti e accettare la realtà dei fatti: se voleva essere il migliore, doveva accettare alcuni compromessi, tra cui essere aiutato da quel Michael Murray che il professor Phillips tanto decantava.

Avrebbe attinto alle sue capacità, avrebbe imparato, l’avrebbe superato e sarebbe stato il migliore.

Semplice, pulito, lineare.

Tutto sarebbe tornato come doveva essere.

Sarebbe stato il migliore.

“Vuoi aiutarmi? O devo chiedere a qualcun altro?” Domandò Derek, dissimulando a stento il tono spazientito che gli era salito in gola.

“No, no, ti aiuto volentieri.” Rispose rapidamente Murray, con il sorriso smagliante che spesso aveva mostrato già solo in quella breve discussione.

“Bene.” Mormorò l’altro, allungando una penna usb al ragazzo. “Qui ci sono i miei ultimi racconti, quelli che non convincono il professore, vorrei gli dessi un’occhiata, così poi mi dici.”

In realtà non voleva affatto che il ragazzo leggesse i suoi racconti, aveva ormai il terrore che non li ritenesse in qualche modo adatti alla nomea che si era conquistato nell’università di brillante scrittore, ma se voleva farsi aiutare –e sebbene non volesse davvero, voleva- doveva anche essere pronto a partire da una critica.

Poi si sarebbe migliorato e sarebbe stato il migliore.

Doveva solo resistere a qualche folata di vento.

“Li leggerò con piacere.” Gli disse il moro, sorridendogli.



“Sono fintissimi.”

Derek alzò lo sguardo sul giovane, che aveva gettato la pennetta usb sul libro che stava leggendo, incredulo.

“Come?” Mormorò.

“Sono scritti davvero molto bene, Humper, sono splendidi. Dio, sono affogato, letteralmente, in ciò che hai scritto, sono le cose tipo più belle che io abbia mai letto in vita mia. Ma sono vuote, aride. Sono belle parole che avvolgono il nulla ed è un grande peccato perché, dannazione, sono davvero belle!” Spiegò Murray con tono affranto, afferrando poi una sedia e voltandola, sedendovisi a cavalcioni, poggiando il petto contro lo schienale, incrociandovi le braccia su e poggiandovi sopra la testa. “Sembra quasi che tu non abbia mai vissuto quello che descrivi dal vero, ma solo attraverso racconti o libri, perché non mostri affatto quello che è il mondo psicologico delle persone.”

Derek rimase in silenzio a lungo, senza guardare il compagno mentre gli parlava, allungando una mano a prendere la penna usb, rigirandosela tra le dita.

“Beh, non ho… mai vissuto le esperienze che racconto, immagino come possano andare.” Spiegò.

“Ma certo, per alcune cose è normale, ma sembra tu non abbia mai vissuto il mondo! Il modo in cui i personaggi interagiscono… cazzo, ma tu fai così con i tuoi amici?” Rise Michael, con quella risata sincera e gioviale che pareva essergli caratteristica.

“Io… non ho amici.” Rispose lentamente Derek, muovendo appena le labbra nel pronunciare quelle parole. “Conoscenti. Forse.”

Murray strabuzzò gli occhi, rizzandosi tutto su una sedia, come se qualcosa l’avesse appena punto.

“Come sarebbe a dire che non hai amici?” Domandò incredulo. “Non si può non avere amici!”

“Le persone sono vuote, inutili, tutte la copia l’uno dell’altro, con la testa chinata sotto moli di spazzatura e pornografia a vivere vite allucinante dall’alcool e dalla droga e dal sesso senza capire nulla della realtà che li circonda!” Ribatté con convinzione l’altro ragazzo.

Di nuovo, Michael Murray scoppiò a ridere, passandosi le mani tra i capelli.

“Oddio.” Rise tra sé e sé. “Oddio, tu stai fuori. Tu vivi in un altro mondo!” E rise, ancora, con una mano sul viso, gli occhi chiusi, di gusto, con puro divertimento.

Con un movimento secco della sedia, Derek arretrò dal tavolo, alzandosi, prendendo penna e libro e allontanandosi in lunghi passi.

“No!” Lo richiamò Michael, alzandosi e seguendolo di corsa, fermandolo per un braccio. “No, aspetta, voglio aiutarti. Ti farò conoscere il mondo.” Gli rivelò.

Derek si volse, accigliato.

“Come?” Mormorò, turbato.

“Stasera si esce.” Rispose Murray, con il solito immenso sorriso sulle labbra.


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1: Italo Calvino. Dall'Introduzione a I Sentieri dei Nidi di Ragno.
2: Lord Byron. Da The Childe Harold's Pilgrimage.
3: Osho.
4: Robert Anson Heinlein.
5: Marcello Marchesi.
6: Philip K. Dick
7: Lev Tolstoj

Edited by Sselene - 24/8/2011, 16:00
 
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Aborted_666
view post Posted on 24/8/2011, 17:36




Tadaaaan, letto tutto d'un fiato! Mi piace come scrivi, davvero. Della storia per ora non dico nulla, anche perché non c'é molto da dire. Però l'idea di fondo mi stuzzica e la curiosità cresce.
Prima di articolare un qualsiasi tipo di commento, attendo il seguito!
A presto. ^O^
 
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Sselene
view post Posted on 24/8/2011, 18:45




Grazie =)
Il seguito arriverà presto ^^
 
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Sselene
view post Posted on 25/8/2011, 12:30




Titolo capitolo: Parte Prima

La discoteca era strapiena.
Quell’ammasso di corpi poco vestiti, di carne nuda, di sudore e voglia di sesso gli premeva addosso, schiacciandolo in fin troppo poco spazio; quell’odore di sperma e lacrime e sangue si infilava nelle sue narici, arrivando dritto al cervello, conficcandovisi dentro e facendogli male; quelle luci stroboscopiche e quel finto fumo, quei flash di luce accecante gli bruciavano gli occhi, rossi e lucidi come i drogati che sedevano sfatti sulle panche e gli amanti che si prendevano contro il muro.
Era una grande orgia.
Una grande orgia di corpi, membra, giovani e non più tanto giovani.
Aveva davvero diciott’anni quella ragazzina con la gonna troppo corta? E ne aveva davvero venti l’uomo che ballava contro di lei, con il pantalone visibilmente teso?
Un porcaio.
Un formicaio di perversioni e schifo, separato solo da una strada dalla Casa del Signore che splendeva nella notte, acceso dalle luci dell’Inferno poco lontano, come un Faro che cercasse di allontanare le navi dagli scogli, ma il Canto delle Sirene era troppo ammaliante.
Quante navi matrimoniali si erano fracassate in quella discoteca, con quelle seducenti donne per metà pesce?
Si portò la mano al colletto della camicia e la mancanza del familiare collare romano gli fece male.
Non era lì per fare la predica, quella sera.
Quella sera, non cercava niente di diverso da tutti i peccatori che brulicavano come bestie di satana.

La discoteca era, effettivamente, strapiena. Su quello non si era sbagliato.
“Benvenuto nel regno del Peccato.” Rise Michael, allargando le braccia per mostrargli l’interezza dello spettacolo che si trovava dinnanzi.
Era effettivamente una bolgia assurda.
La musica era talmente alta da averlo assordato già prima che entrassero nella discoteca, le luci lo accecavano e aveva già ricevuto numerose spinte e pacche sul fondoschiena, alcune non proprio non volute.
Non era così diverso da come l’aveva descritto.
“Che posto di merda.” Mormorò tra sé e sé.
Murray rise.
“Devi solo abituarti.” Gli disse, facendogli poi cenno di seguirlo al bancone. “Dai, ti offro da bere, così ti sciogli un po’. Cosa prendi?”
“Acqua?” Azzardò Derek, ancora rintronato dall’altissima musica.
L’altro inarcò le sopracciglia, con un mezzo sorriso in viso che mostrava un canino decisamente spuntato.
“Mi stai prendendo in giro?” Disse ridacchiando. “Siamo in discoteca e tu prendi acqua?”
Humper esitò, ma poi si strinse nelle spalle, senza aggiungere più nulla.
Michael si volse verso il barista, alzando due dita.
“Due Pina Colada.” Ordinò, riportando poi lo sguardo sul ragazzo accanto a sé. “Sembri un uccello in gabbia.” Ammise.
“Allora dovresti liberarmi.” Ribatté Derek. “Quando un pettirosso finisce in gabbia, si indispettisce il cielo.” Citazione1.
Murray rise.
“Bella.” Confermò. “E’ tua?”
L’altro scosse piano il capo.
“Viene dal film Red Dragon.” Ammise.
“Mai visto.” Aggiunse Murray, scuotendo il capo.
Il barista intervenne in quella discussione, posando i due cocktail bianchi sul bancone.
“Due Pina Colada per voi. 14 dollari.”
Mentre Michael pagava, Derek prese tra le mani il bicchiere, osservando attentamente il denso biancore che vi era dentro.
Tra una settimana mi starò ciucciando Pina Colada sotto la doccia con sei che si chiamano Amber e Tiffany.
O sarai sotto la doccia con due che si chiamano Jamal e Jesus più facilmente… e sai il peggio qual è?... che quello che stai ciucciando non è Pina Colada…
Citazione2.
Ora aveva decisamente più senso.
“Spero ti piaccia il cocco, perché si sente moltissimo.” Lo informò Michael.
“Sì, mi piace.” Rispose solamente Derek, bevendo un sorso dell’alcoolico.
Il cocco gli piaceva, era l’alcool che gli faceva schifo.
L’alcool: la causa di e la soluzione a tutti i problemi della vita. Citazione3.
Dopo un piccolissimo sorso, posò di nuovo il bicchiere sul bancone, schiarendosi la voce.
“E’ buono.” Disse.
“Io l’adoro.” Ammise Murray che, nel frattempo, si era già bevuto mezzo bicchiere.
Doveva reggere bene l’alcool.
D’altronde, un vero uomo lo regge sempre. Citazione4.
Derek non disse altro e si limitò a guardarsi un po’ intorno.
Inizialmente gli era parso un Inferno, ma gli era bastato stare lì qualche minuto per abituarsi già a quella musica a tutto volume e a quelle luci così intense. Ora che osservava meglio la situazione gli pareva pure di notare alcune persone, di certo non tutte, che ballavano con gli amici, divertendosi sinceramente di essere lì solamente a ballare, e senza alcun intento, pareva guardandole, di finire contro un muro a scopare.
“Non è così male, no?” Lo raggiunse la voce alta, eppure quieta di Michael.
“No.” Ammise Humper, sorseggiando lentamente il cocktail.
“Ti va di ballare?”
Il minore esitò, con le dita strette attorno al tozzo bicchiere.
Ballare è la poesia dei piedi. Citazione5.
“Non so ballare.” Obiettò a voce bassa.
Michael lo sentì comunque e rise, rumorosamente.
“Maddai! Guarda che non ci vuole niente!” Esclamò.
Lo afferrò per un braccio, tirandolo in piedi, trascinandolo in mezzo alla pista, senza ricevere eccessive proteste.
“Fa’ come me.” Disse e alzò le mani accanto al viso, cominciando a muovere il corpo a ritmo con la musica ripetitiva che esplodeva dalle casse.
Esitante Derek imitò i suoi movimenti, freddamente.
Pian piano sentì la musica penetrarlo nel profondo, stringersi attorno al suo cuore e al suo cervello, spegnendo totalmente la sua coscienza bacchettona e pudica, lasciando che il suo istinto muovesse il suo corpo in maniera via via più esagitato.
Michael rise a quella trasformazione, posandogli una mano sulla schiena, tirandoselo vicino.
“Vedi che sai ballare?” Lo prese in giro.
L’altro si ritrovò a ridere a sua volta, senza rendersene accanto, passandosi una mano tra i capelli umidi di sudore.
“E’ bella questa musica… ti carica.”
“Non si chiama musica, si chiama casino!” Ribatté il moro, ridendo.
E ben venga il caos, perché l’ordina non ha funzionato. Citazione6.
Michael continuò a ballare, scostando lo sguardo verso il deejay quando sentì la musica farsi pian piano più lenta. “Penso che stia per chiudere baracca.”
“Di già?” Domandò confuso Derek, accigliandosi. “Ma che ore sono?”
Con molta noncuranza Michael afferrò il braccio di un vicino, lanciando un’occhiata al suo polso.
“Le quattro.”
Humper trasalì, sgranando sconvolto gli occhi.
“Cazzo!” Quasi urlò. “Devo tornare a casa!”
“Credi che i tuoi si stiano preoccupando?” Domandò Murray, seguendo l’amico che difficoltosamente si faceva largo tra la folla.
“No, figurati.” Rispose lui. “Ma non mi piace fare tardi.”
Uscì dal locale, immergendosi nella fresca notte, inspirando l’aria.
“Che silenzio.” Mormorò a voce improvvisamente bassa, quasi temendo di spezzare quella quiete quasi irreale, dopo il caos della discoteca.
“E’ vero.” Confermò Michael, con la sua solita voce alta, squillante quasi.
“Mi accompagni a casa?” Domandò Derek, volgendo lo sguardo verso di lui.
“Certo.” Confermò il moro, sorridendogli luminoso come suo solito. “Ma se sicuro di non voler vedere l’alba?”
Humper esitò, poi scosse piano il capo.
“Magari un’altra volta.”
Murray rise, accostandosi all’auto.
“La prendo come una promessa.” Precisò, sorridendo come sempre.


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1: Red dragon
2: Inside Man
3: Homer Simpson
4: Stephen King
5: john Dryden
6: Karl Kraus
 
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Sselene
view post Posted on 27/8/2011, 11:44




Titolo Capitolo: Parte Seconda

Francesco sorrise appena, cercando di risultare il più naturale possibile, ma senza riuscire a nascondere lo schifo che covava dentro di sé e che percepiva sulla pelle come una patina.
“Non saprei… non seguo…” mormorò incerto, afferrando poi il bicchiere d’acqua che aveva davanti, portandoselo alle labbra, sorseggiandolo lentamente.
Il ragazzo davanti a lui –Luca, si chiamava?- strabuzzò gli occhi, con la fetta di pizza margherita ferma a mezz’aria davanti a sé.
“Ma come no?” Esclamò sorpreso, scoppiando poi a ridere con un tono particolarmente alto, che fece voltare l’intera pizzeria. “Ma dove cazzo vivi?”
Anche gli altri al tavolo cominciarono a ridere, dandosi di gomito, scuotendo il capo.
“Michele, ma dove cazzo te lo sei trovato un ragazzo così?” Domandò divertita una ragazza, Maria, portandosi dietro la spalla i lunghi capelli mori.
“Sentite, l’ho incontrato a lezione di biologia, tutto concentrato su di una rana, non è che potete pretendere troppo da lui, vive in un altro mondo.” Rispose Michele, anche lui ridendo, a voce alta.
Francesco schiuse le labbra, per ribattere che non era poi così necessario conoscere a menadito tutti i reality show che davano in televisione per appartenere a quel mondo, ma poi non disse nulla.
Forse viveva davvero in un altro mondo.
D’altronde non si era mai trovato bene con il resto delle persone.
Si alzò, posando il bicchiere sul tavolo.
“Scusatemi, devo andare.” Mormorò.
“Di già? Ti sei offeso?” Domandò Michele, già esasperato al pensiero che il fidanzato potesse effettivamente essersi offeso.
“No, no.” Rispose in fretta Francesco. “E’ che mia madre non vuole che faccia tardi, sai com’è.”
Luca scoppiò a ridere di nuovo, cominciando a battere le mani.
“Ma che bravo bambino!” Esclamò divertito, applaudendogli.

“Prima lezione!” Esclamò Michael, alzando un dito con fare da maestrina, con l’altra mano puntellata contro il fianco. Assomigliava a un emoticon di msn. “Non tutte le persone al mondo sono stronzi cafoni fissati con i reality show.”
Derek inarcò le sopracciglia a quell’affermazione, per nulla convinto della sua veridicità.
“No?” Domandò incerto.
“Beh, io, per esempio, non ne ho mai visto uno!” Ribatté il moro, ridendo poi, assai rumorosamente.
“Sì, ma tu sei un cafone.” Fece notare, molto pacatamente, l’altro.
Il sorriso di Michael svanì in un attimo, tramutandosi in un’espressione corrucciata.
“Come sarebbe a dire?” Esclamò semi-offeso.
“Beh… sei rumoroso, appiccicoso, esagerato, esagitato, eccessivo, parli sempre a voce fin troppo alta, ti attacchi alle persone risultando fastidioso e inopportuno…” Elencò il castano, contando i difetti sulle punte delle dita.
Il maggiore rimase qualche attimo in profondo silenzio, poi scoppiò di nuovo a ridere.
“Cazzo, sono proprio così!” Ammise, passandosi una mano sul viso.
Non sembrava turbato da quella rivelazione.
Ciascuno deve accettarsi come Dio l’ha fatto (citazione1) e lui lo faceva benissimo.
“Ma non guardo reality.” Aggiunse, con un tono piuttosto orgoglioso. “E neanche i miei amici, quindi stasera andiamo in pizzeria con loro.”
Derek esitò a lungo, perché conoscere gente non era proprio il suo desiderio più grande, ma poi annuì con un piccolo cenno del capo.
“Va bene.” Mormorò.
Michael sgranò gli occhi, in maniera eccessiva, per mostrare tutto il suo stupore.
“Non ci credo!” Esclamò. “Hai detto sì!”
Il minore mosse appena le spalle, un po’ infastidito.
“Continua e non vengo.” Borbottò.
“No, no, scusa!” Si affrettò a scusarsi Michael, posando la mano sulla sua, sorridendogli. “Allora passo a prenderti stasera alle nove. E’ un problema per i tuoi se poi dopo la cena facciamo tardi per locali?”
“Per i miei?” Ripeté Derek, quasi ridendo. “No, figurati.”
“Perfetto.” Esclamò il moro, con un sorriso immenso. “Allora ora vado a lezione, ci vediamo stasera.”
“Sì.” Confermò Humper. “A stasera.”

Si diede un’ultima occhiata allo specchio, poi andò ad aprire la porta, sorridendo.
“Sei in perfetto orario.” Commentò.
Michael gli sorrise, affondando le mani nella tasche dei jeans.
“E’ una delle mie qualità.” Ammise, per poi ridere. “Forse l’unica.”
Derek rise, scotendo il capo, uscendo poi, chiudendosi la porta alle spalle.
Murray lanciò uno sguardo alla casa buia, accigliandosi.
“Ma i tuoi genitori sono allergici alla luce?” Domandò curiosamente.
“Sono fuori.” Rispose il minore, ridendo piano.
“Ah, e dove sono?” Chiese il moro.
Derek si strinse nelle spalle, scuotendo il capo.
“Non ne ho idea.” Ammise, accostandosi poi alla Fiat mezza scassata poco lontana. “E’ questa la tua auto?” Chiese.
“Sì.” Confermò Michael, ridendo poi. “Non è granché, lo so.”
Il castano sorrise, aspettando che l’altro aprisse l’auto.
“La trovo molto carina.” Rivelò, entrando poi, sistemandosi nel sediolino anteriore.
“Non è molto adatta a questo quartiere.” Mormorò il moro, sempre ridendo, ma in chiaro imbarazzo.
Derek sospirò, osservando la casa a due piani da cui era uscito.
“Questo quartiere non è adatto a molte cose.” Ammise, senza aggiungere più niente.
Mirare alla ricchezza era un atteggiamento inutile e superficiale, sempre. Citazione2.
Fu Michael stesso a riprendere il discorso poco dopo, totalmente incapace di restare in silenzio.
“Stai scrivendo qualcosa di nuovo, ultimamente?” Domandò.
“Qualcosa.” Confermò vagamente il castano, con lo sguardo fisso sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.
“Me ne parli?” Chiese ancora Michael, curiosamente, lanciandogli qualche rapida occhiata mentre guidava.
“Beh…” Borbottò Humper. “Di solito non parlo dei miei racconti prima che essi siano conclusi.”
“Ma io devo aiutarti, quindi devi parlarmene.” Sentenziò con convinzione il moro.
Derek rimase in silenzio qualche istante, poi annuì piano.
“Parla di uno scrittore senza ispirazione che trova la sua musa in un vicino di casa appena trasferitosi.” Raccontò molto stringatamente.
“Ma sei laconico in tutto!” Scoppiò a ridere Michael. “E come finisce? Si fidanzano?”
“Non lo so.” Rispose a voce bassa Derek, guardando fuori. “Non è ancora finito.”
“Io spero di si.” Commentò il moro, sorridendo. “Mi piacciono i racconti che finiscono bene.”
Poi svoltò, entrando nel parcheggio di una pizzeria ben illuminata.
“I miei amici ci aspettano dentro.” Spiegò, parcheggiando, uscendo poi dall’auto.
Il castano lo seguì fuori, inspirando profondamente prima di seguirlo anche all’interno del locale.
Con lo sguardo cercò nella pizzeria un gruppo di gente cafona e rumorosa, ma non ne trovò alcuno.
“I miei amici sono quelli.”
Se era vero che le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano (citazione3), Michael doveva essere dominato da una grande passione per la quiete.
Derek portò lo sguardo sul tavolo indicato, sorprendendosi nel notare un fitto gruppetto di sette od otto persone che parlottavano tra loro a voce molto bassa, senza dare in alcun modo fastidio.
“Non sembrano cafoni.” Mormorò.
Michael rise, rumorosamente.
“Il peggio sono io lì in mezzo.” Rivelò, accostandosi a grandi passi agli amici. “Hey!”
Gli otto alzarono lo sguardo, sorridendogli, ricambiando il saluto, poi lo sguardo di tutti si portò sul ragazzo che aveva accanto.
“Ragazzi, lui è Derek. Derek loro sono Annabel, Jasper, Raver, Gwen, Lucas, Terence, Hector e Daisy.”
Derek seguì via via i nominati, ripetendo tra sé e sé i nomi per cercare di fissarli nella mente, ma già li aveva dimenticati.
“Li imparerai man mano, tranquillo.” Lo rassicurò una ragazza con dei corti capelli biondi, notando il suo smarrimento.
Lui le sorrise, sedendosi poi accanto a Michael.
“Michael ci ha detto che sei uno scrittore molto bravo. Si possono leggere le tue opere da qualche parte?” Chiese un ragazzo dai capelli rossi, proprio di fronte a lui.
“Qualcosa su efp.” Ammise Derek, passandosi una mano tra i capelli.
“Sì? Con che nick?” Chiese la bionda, curiosamente.
“LordByron.”
Un moretto dall’altro lato del tavolo trasalì, sporgendosi in avanti.
“Oh, mio Dio…” Mormorò. “Tu sei LordByron? Ho letto tipo tutti i tuoi racconti, li ho recensiti tutti, sono tutti tra i miei preferiti! Io tipo Adoro i tuoi racconti!”
Humper schiuse le labbra a quella rivelazione, ma sorrise lieto.
“Davvero?” Mormorò improvvisamente inorgoglito.
“Sì! Mi dispiace solo che siano così brevi, non riesci ad affezionarti ai personaggi!”
Il castano rise piano, stringendosi nelle spalle.
“Me lo dicono in molti.” Ammise, storcendo il naso. “Ma è per questo che sto frequentando Michael, mi sta aiutando ad approfondire di più le mie storie e… credo ci stia riuscendo.”
“Fantastico! Uno scrittore che sia la fusione tua e di Michael credo sarebbe il mio scrittore preferito!” Esclamò il ragazzo, con gli occhi illuminati di entusiasmo.
Derek rise, passandosi una mano sulla nuca.
“Una fusione no…” mormorò “Ma credo di star prendendo buone cose da lui…”
“Allora non vedo l’ora di leggere qualcosa di nuovo.” Ammise il moro, con un sorriso.
Lo scrittore sorrise a sua volta.
La cena sarebbe andata bene. Probabilmente.


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1: E'tienne Gilson
2: ?
3: Alberto Moravia
 
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Aborted_666
view post Posted on 27/8/2011, 15:25




Eccomi a recensire. Ribadisco che mi piace come scrivi. Lo stile continua ad essere talmente scorrevole da non pesare minimamente. La storia è ancora acerba, ma pian piano viene fuori. Ho notato una piccolissima incongruenza: all'inizio Derek è ossessionato dalla perfezione; decide di scendere a compromessi solo per migliorare se stesso. Negli ultimi capitoli, invece, sembra quasi che questo aspetto non ci sia più. Forse sono io che non l'ho notato, potrebbe benissimo essere. Oppure hai voluto sottolineare la trasformazione del suo carattere ad opera dell'altro ragazzo... Però, se così fosse, è stato un passaggio troppo rapido.
Per il resto mi sta piacendo davvero. Attendo con impazienza il seguito!
 
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Sselene
view post Posted on 27/8/2011, 15:34




In effetti sì, è qualcosa che non ho più sottolineato molto sia per un'evoluzione sia perché poi gli altri capitoli sono rimasti più oggettivi.
Sicuramente è un'evoluzione rapida, ma Derek si evolve rapidamente, diciamo xD
 
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Aborted_666
view post Posted on 28/8/2011, 23:05




Derek digievolve in qualcosa di assolutamente... kawaii~!
(Ommioddio ho usato quella parola. Qualche anima pia mi disintegri!)
 
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Sselene
view post Posted on 28/8/2011, 23:20




Il biondo sorrise, osservando il golfo napoletano risplendere nella notte, illuminato da mille luci.
“Non è meraviglioso?” Domandò, volgendosi verso il ragazzo che aveva accanto e che sospirò, mantenendo le spalle a quello splendido paesaggio.
“Sì, sì.” Borbottò, guardando il cellulare, prima di metterlo ancora in tasca.
Federico tacque, poi portò ancora lo sguardo sul mare.
“Ci tenevo a farti vedere quest’immagine della mia città, prima che tu vada via.” Spiegò.
“Sì, ma avrei preferito altro, dato che domani parto.” Ammise lagnoso il castano.
Il minore portò sorpreso lo sguardo su di lui.
“Oh…” Mormorò. “Potevi dirmelo, cosa preferiresti fare?”
Marco rimase in silenzio per un po’, poi sorride, accostandosi al fidanzato.
“Preferirei farmi te.” Ammise.
Gli posò una mano sotto il mento, alzandoglielo, spingendosi con foga tra le sue labbra.
Federico sentì chiaramente la lingua del maggiore sgusciare tra le sue labbra e ne provò quasi ribrezzo, ma cercò di non mostrarlo mentre, delicato, provava a rispondere a quel tocco nuovo.
Non sembrava che Marco fosse effettivamente interessato alla sua risposta, perché non si muoveva affatto con lui, ma più contro di lui.
Gli tirò la camicia fuori dai pantaloni, infilandovi sotto le dita.
“A-aspetta…” Borbottò Federico, scostandosi. “Che fai?”
“Te l’ho detto.” Rispose Marco. “Mi faccio te.”

Derek alzò sorpreso lo sguardo dal portatile al quale stava scrivendo, seduto al tavolo da pranzo, portandolo verso la porta.
Si alzò, andando ad aprire.
“Sì?”
Michael, in piedi davanti all’uscio, gli sorrise.
“Hey! Vieni a prenderti un gelato?”
Humper rimase in silenzio qualche istante, poi annuì.
“Certo… aspetta un attimo che prendo le chiavi e il portafogli.” Rispose.
Svanì nella casa, lasciando la porta aperta, ma il moro non fece neanche cenno di entrare.
Dopo qualche momento, il minore uscì di nuovo.
“Eccomi.” Disse, tirandosi la porta alle spalle e chiudendola a chiave.
“I tuoi sono a lavoro?” Domandò Murray, osservando la casa silenziosa.
“Sì.” Confermò Derek, avviandosi lungo la strada.
Il moro lo affiancò, ridendo.
“Mi sembra casa mia.”
“Anche i tuoi sono sempre fuori?” Chiese il minore, curiosamente.
“Più o meno.” Rispose l’altro. “Mio padre lavora come pilota di aerei, mia sorella in un’altra città.”
“E tua madre?”
Per qualche momento Michael rimase solo in silenzio, inumidendosi le labbra, poi sorrise.
“Mia madre è morta di parto.” Rivelò a bassa voce.
Humper trasalì.
“Oh… Oddio, mi dispiace, non… non pensavo, altrimenti non avrei mai…” Balbettò confuso.
“Tranquillo.” Lo rassicurò il moro con un sorriso, portando una mano sul suo capo. “Tranquillo.”
Derek chinò lo sguardo, comunque in forte imbarazzo per la gaffe fatta, poi lo rialzò.
“Quella gelateria è squisita.” Rivelò.
“Allora andiamo lì.” Ribatté semplicemente Michael, con un sorriso.
Entrando nella gelateria li accolse il familiare gelo dell’aria condizionata.
Mentre Murray si fermava all’ingresso, osservando uno ad uno i gusti disponibili, Derek si accostò alla cassa.
“Due da due gusti.” Ordinò, porgendo i soldi.
Annoiata, la grassa cassiera gli fece lo scontrino e gli diede il resto.
“Tu cosa prendi?” Domandò il moro, rivolgendoglisi.
Poi si accigliò.
“Ma hai già pagato?” Chiese.
“Sì, te lo offro io.” Rispose rapidamente il minore.
Porse lo scontrino al gelataio.
“Un cono Cioccolato Fondente e Fragola, per favore.”
“Ma ti ho invitato io, dovevo offrire io il gelato.” Si ribellò Michael, con una smorfia offesa.
“Beh, ho fatto prima io.” Rispose semplicemente il castano, cominciando a leccare il gelato.
Il maggiore sbuffò, vistosamente infastidito, ma si rivolse al gelataio.
“Un cono Kinder e Cioccolato Bianco.” Ordinò.
“Una cosa leggera.” Lo prese in giro Humper.
“Sono ancora piccolo, devo crescere.” Ribatté lui, prendendo il gelato.
Il minore attese che gli fosse accanto, poi uscì dal locale, cominciando a incamminarsi.
“Vieni, di qua c’è il Belvedere.”
“Addirittura? Abbiamo un Belvedere, in questa città?” Domandò sorpreso Murray.
“Ed è uno splendido Belvedere.” Confermò il castano, camminando e mangiando il gelato.
In mezzo al percorso Michael si fermò, portandosi la mano alla tasca dove il cellulare aveva cominciato a suonare.
“Scusa un attimo…” Mormorò, rispondendo alla chiamata. “Rachel?”
Ascoltò attentamente ciò che veniva detto.
Sorpreso schiuse le labbra, sgranò impercettibilmente gli occhi.
“Ma è il compleanno…”
Silenzio.
Dall’altro lato dovevano star parlando di nuovo.
Un’ombra cupa si abbassò sul viso del moro, che chinò lo sguardo sulla strada.
“Certo…” Mormorò “Ti voglio bene anch’io.”
Chiuse il cellulare, rimettendoselo in tasca, senza riuscire a scostarsi da dosso quell’opacità.
“Va tutto bene?” Gli chiese Derek
Trasalendo a quella domanda, probabilmente dimentico per qualche istante della presenza dell’amico, Michael alzò lo sguardo, riassumendo l’espressione perennemente entusiasta che gli era tipica.
“Certo, certo.” Rispose rapidamente, muovendo poi una mano, come stesse per dire qualcosa di nessun significato. “Mia sorella non può tornare per il compleanno di mia madre.”
Il castano si accigliò un attimo, confuso a quell’affermazione.
“Festeggiate il compleanno?” Ripeté.
“Sì.” Confermò il maggiore. Poi rise. “Festeggiare l’anniversario di morte è così triste!”
Per qualche momento Humper rimase ancora in silenzio.
“Mi dispiace che tua sorella non possa venire.” Mormorò cautamente.
Michael rise.
“Figurati, sono abituato.”
Tornò a mangiare il gelato, che stava cominciando a sciogliersi sulle dita.
Pochi minuti dopo erano in cima al Belvedere.
“Allora, questo Belvedere?” Domandò.
“Di qui.” Gli rispose il castano, avviandosi di nuovo per la strada.
“Ma che meraviglia!” Esclamò Michael.
Aveva già finito il gelato e poté poggiare entrambe le mani sul muretto, per sporgersi verso il porticciolo che osservavano dall’alto.
“Ti avevo detto che era splendido.” Gongolò Derek, lieto dell’entusiasmo del giovane.
Ingoiò l’ultimo pezzo di cornetto, poi gettò la carta.
“E’ più che splendido.” Precisò il moro.
Humper rise piano, senza dire nient’altro, sedendosi sul muretto.
Il maggiore lo seguì a ruota sistemando le gambe penzolanti sul dirupo.
“Una volta in Irlanda ho visto un paesaggio simile… beh, insomma, quello in Irlanda era molto più… sublime.” Rise. “C’erano delle onde immense che si infrangevano sugli scogli, quando di incredibile, devo vedere se trovo le foto.”
Derek rise piano.
“Ma tu parli sempre, Michael?” Chiese divertito.
Anche il maggiore rise, rumoroso come suo solito.
“Sempre.” Confermò. “Non c’è un modo di farmi zittire.” Pausa. “Beh, in realtà uno ce n’è.”
“Oh!” Esclamò Humper, sorpreso. “Ti prego dimmi qual è!”
Rise, scotendo il capo.
Michael lo osservò, poi gli posò una mano sulla guancia, facendolo voltare.
Lui gli rivolse un’occhiata perplessa.
“Cosa c’è?” Domandò confuso.
“Niente.” Rispose Murray, con un sorriso incredibilmente dolce.
Poi accostò il viso al suo, sfiorandogli lievemente le labbra.
Derek le schiuse, sorpreso, permettendo al maggiore di scivolare tra di esse con la lingua, molto delicatamente, quasi temendo di fargli male.
Per qualche istante il castano rimase immobile, troppo sconvolto dalla piega che aveva preso quell’uscita per reagire in qualche modo.
Poi, forse prima ancora di accorgersene davvero, chiuse gli occhi, posando delicatamente una mano sulla spalla del compagno, ricambiando il bacio.
Fu un bacio lento, delicato, dolce.
Fu lo stesso Derek il primo a scostarti da quel tocco, abbassando imbarazzato lo sguardo.
“E… questo?” Domandò incerto.
“Ed ecco…” Mormorò in risposta Michael, con un sorriso. “Dalle mie labbra, attraverso le tue, il peccato viene tolto.”
“Citazione1.” Si ritrovò a mormorare Derek in risposta.
Poi trasalì, portandosi una mano alla bocca, come cercando di cancellare ciò che aveva detto.
Era da tempo che non faceva più quel gioco.
Murray si accigliò, ridendo piano.
Posò una mano su quella dell’amico, scostandogliela.
“Come?” Domandò divertito.
“Lascia perdere.” Sbottò imbarazzato. “E’ un gioco stupido.”
“Che gioco?” Chiese ancora il moro, assai curiosamente.
“Praticamente bisogna parlare, dicendo ogni tanto delle citazioni. E chi ascolta deve individuarle.” Distolse lo sguardo.
Osservò attentamente il porta che aveva alle spalle, rimanendo in silenzio per qualche istante.
“Lo facevo sempre con mio fratello.” Aggiunse.
“Poi avete smesso perché era un gioco troppo idiota?” Lo prese in giro il maggiore.
“Poi è morto.” Rispose cupamente il castano.
Michael trasalì.
“Oh…” Mormorò. “Mi… mi dispiace…”
Derek scrollò semplicemente le spalle.
“Non dispiacerti, è stata una sua scelta.”
“E’ morto suicida?” chiese cautamente il moro.
“Quasi.” Ammise Humper. “E’ morto di overdose.”
Per qualche istante rimasero in silenzio.
“Mi dispiace lo stesso… dev’essere stato un brutto colpo…” Disse ancora Michael.
Alzò appena una mano, sfiorando il viso dell’amico, che si ritrasse a quel tocco.
“All’inizio.” Confermò. “Ma poi ho capito che aveva fatto la sua scelta. Una scelta che non contemplava me. Non c’era motivo per essere dispiaciuto per lui.”
“Era tuo fratello.” Fece notare Murray, con quella voce insolitamente bassa che aveva cominciato ad usare.
“Si è suicidato. Ha preferito la morte a me.” Ripeté Derek, freddo.
“Era comunque tuo fratello.” Insistette il moro.
Ancora rimasero in silenzio, mentre lo sguardo del castano si fissava sul pavimento.
Lo alzò verso il cielo, ricolmo di lacrime.
“Non… non l’ho mai capito…” Mormorò, con la voce improvvisamente tremante, spezzata. “Non ho mai capito perché ha scelto la morte… perché non è rimasto con me.”
Michael tacque, stranamente.
Si sporse verso di lui, passandogli le braccia attorno al corpo, tirandoselo vicino.
“Mi dispiace.” Mormorò.
Derek soffocò un singhiozzo tra i denti, nascondendosi contro il petto del compagno.
“Io volevo soltanto averlo accanto.” Singhiozzò contro i suoi vestiti.
“Lo so…” Bisbigliò rassicurante, baciandogli i capelli. “Lo so.”
Rimasero a lungo lì, fermi, Derek a sfogare tutto il suo dolore e Michael ad accoglierlo con dolcezza.
Quando si sentì svuotato da ogni lacrima, il castano si scostò, inspirando profondamente.
“Mi riaccompagni a casa?” Chiese cercando di mantenere la voce ferma.
Il tentativo gli riuscì solo a metà.
“Certo.” Rispose Michael, facendo persino finta di non essersene accorto.
Scostò le gambe dall’altro lato del muretto, alzandosi, porgendo una mano al minore per aiutarlo a fare la stessa cosa.
Humper accettò l’aiuto molto volentieri.
Stranamente silenziosi si incamminarono verso casa di Derek, dove, poi si fermarono.
“Allora ci sentiamo.” Lo salutò Michael, chinandosi a baciargli le labbra.
“Perché non entri?” Chiese invece il minore. “I miei non torneranno fino a domani.”
Il moro rise.
“Guarda che così sembra una proposta sconcia.” Lo prese in giro.
“Lo è.” Ribatté con molta sicurezza Derek.
Per la prima volta, Murray si ritrovò senza parole.
“Ah…” Mormorò solo.
Poi scosse appena il capo, riscuotendosi.
“Guarda che… non funziona così, nella vita vera. Non per tutti. Non è che… si finisce subito a letto, deve passare del tempo, bisogna conoscersi… per certa gente è importante il feeling emotivo ancora più dell’interesse fisico…” Spiegò.
“Mi… stai rifiutando?” Riassunse sorpreso il minore.
Michael sorrise.
Con un movimento lieve si chinò a baciare le labbra del ragazzo, sfiorandogli la guancia con le dita.
“Ti sto chiedendo di aspettare, Derek. E sarà più bello anche per te.”
Il castano rimase in silenzio, poi annuì.
“Vuoi… vuoi restare a dormire comunque da me?” Chiese. “Per favore?”
Murray rimase in silenzio, ma poi annuì, con un sorriso.
“Certamente.” Confermò.
E si chinò di nuovo a baciare il minore.

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1: Romeo e Giulietta. Shakespare.
 
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Aborted_666
view post Posted on 28/8/2011, 23:32




Uhuh, questo capitolo mi ha fatto tenerezza. Molto carino, come al solito! I tuoi personaggi sono in qualche modo imprevedibili e questo è un grande pregio!
Ora sono DAVVERO curiosa di leggere il seguito.
Sullo stile non dico più nulla, ormai s'è capito cosa ne penso, no? xD
Aggiorni, ingegnere. Aggiorni... §_§
 
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Sselene
view post Posted on 28/8/2011, 23:48




Ah, ah, penso che vi lascerò struggervi un giorno e domani posto la fine XD
 
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Sselene
view post Posted on 29/8/2011, 00:19




Ok, mi scoccio di aspettare domani, ecco il capitolo finale =)

Note: Grazie mille a Kaite per aver scritto il racconto di Michael.

Scegliere la caffetteria in fondo alla strada, situata tra la scuola elementare e l’antiquariato di famiglia del vecchio Theodor, non era stata una vera e propria scelta per Jordan.
Sua madre l’accompagnava sempre lì quando, di corsa tra casa- lavoro- figli, si ricordava di avergli fatto saltare l’ennesima colazione.
Era una donna alta, Lise Davis, i capelli sempre portati lunghi da che aveva dodici anni, gli occhi nocciola e un fisico asciutto; ciò che le mancava era un quoziente intellettivo più alto, o capace quanto meno di capire che un qualsiasi Bob Smith non poteva essere considerato un principe azzurro.
Ma, povera donna di campagna, nessuno mai le aveva insegnato ad avere più fiducia nelle proprie possibilità, così si era accontentata. Si era accontenta di un lavoro infelice, un uomo triste, una vita fatta di impegni quotidiani.
Si era lasciata trasformare da potenziale donna di carriera in una creatrice di bambini.
Lui era il tredicesimo di tredici fratelli, e come ultimo arrivato veniva spesso dimenticato. Alla sua nascita, non c’era più nessuna novità, nessuna sorpresa.
L’intera vita di Jordan era stato un susseguirsi di “seconda volte” (nel caso gli andasse bene, o anche terza, quarta, nona… tredicesima). Tutto ciò che faceva era già stato esplorato e conquistato da uno dei fratelli.
Rabbia, frustrazione, pianti segnarono tutta la sua adolescenza; anno dopo anno ogni successo anticipato da una qualche sorella portava via un piccolo pezzetto di sé, fino a quando era arrivata la rassegnazione, con essa la fine di ogni sogno, di ogni aspettativa.
Si poteva benissimo vivere di giorni uguali, di ore interminabili, dello stesso soffitto da guardare tutte le notti insonni.
Si poteva vivere di programmi.
La mattina andare a fare colazione alla caffetteria in fondo alla strada era un obbligo.
Sedersi sempre allo stesso tavolino, aiutava a passare più in fretta la giornata, a non dare preoccupazioni.
Jordan si sedeva poi osservava il mondo fuori la grande vetrata allo stesso modo di come lasciava passare la vita e il dolore fuori dal proprio corpo.
Dopo qualche minuto arrivava Cassie, con le sue lenti troppo spesse, il volto ricoperto da lentiggini e qualche ruga, una divisa usurata dai colori sbiaditi e uno sguardo troppo spento per i suoi trentasei anni. Poggiava la brochure dei dolci sul tavolino, ma lui non la prendeva. Aspettava qualche minuto poi lei ritornava con il blocchetto a piccoli quadrettini azzurri “Vuole ordinare?” gli domandava. Lui annuiva, alzava lo sguardo e intanto poggiava il cartoncino raffigurante la Venere di Botticelli tra le pagine.
“Un cappuccino e una fetta di cheese- cake” rispondeva ogni giorno, in modo tale da darle l’opportunità di annuire e sbuffare mentre andava via.
Chiuso il libro, allora Jordan spostava lo sguardo verso il vetro.
Era doppio, ma non così tanto da non poter esser infranto. Alle volte si domandava se non fosse poi così facile distruggerlo e uscire in strada; altre volte si limitava a guardare il proprio volto riflesso, osservarne i contorni smunti e comuni, gli occhi castani senza alcuna luce riflessa, i capelli che come ogni cosa nel suo essere sembravano perennemente fuori posto.
Erano i momenti in cui più si vedeva come una piccola formichina in fila tra tante altre.
Si domandava dove portasse tutto quello, cosa ci fosse all’esterno, cosa si provava ad uscire fuori.
Come si poteva uscirne? Poteva saltare quella colazione, quel rito, quella consuetudine? Per trovarsi poi dove?
Nel dubbio, preferiva continuare ogni giorno a far spazientire la cameriera e mangiare lentamente il suo dolce. Nel dubbio, continuava a camminare su quella via, sebbene le domande aumentassero passo dopo passo, l’apatia distruggeva ogni sentimento.
Non si sentiva neanche triste, Jordan, non sentiva nulla, neanche più il sapore del formaggio, sotto la marmellata.
Fu così per lungo tempo; più di quanto avrebbe mai ammesso, meno di quanto avrebbe giurato Cassie.
Fu così fino al ventotto di luglio. Quando poi tutto cambiò.
La mattina, anche quel giorno, si alzò dal letto con il piede sinistro, infilò le scarpe, preparò la colazione a tutti, gli zainetti per i nipotini che andavano al campus estivo, i vestiti stirati la sera prima, poi uscì.
Centotrentasei passi nelle giornate calde (centoventiquattro in quelle fredde) e spinse la porta a doppio battente del bistrot.
L’odore dei dolci come sempre inondò i polmoni, il rumore delle macchinette di caffè suonò all’udito.
Dopo aver salutato Steve al bancone si avvicinò al suo tavolo, il numero diciassette.
Fu un sussulto inaspettato quello che ruppe il suo respiro, furono due occhi incredibilmente verdi e un cespuglio di capelli rossicci. Pelle bianca, vestiti sgargianti, il ragazzo stava facendo colazione con un muffin alla nocciola e una tazza di latte, sorseggiandola proprio in quel momento.
Sorseggiandola al suo tavolo. Il Suo Tavolo.
Sentitosi osservato, l’intruso alzò lo sguardo incrociando il suo.
Lì lo sentì nettamente, un rumore nitido e limpido.
Lì senti chiaramente il vetro frantumarsi.

C’era un preciso momento, nel dormiveglia, in cui sogno e realtà si fondevano per dare vita a qualcosa di sublime e meraviglioso, ad immagini oniriche eppure così radicate nella mente da sembrare vere ancora per molte ore dopo il risveglio.
Per qualche minuto Michael fu certo che accanto a lui ci fosse uno splendido angelo, con tre paia di ali brune, che si dedicava solo a cantare per lui.
Poi si rese conto che il cellulare stava squillando.
Sobbalzò, afferrandolo.
Che ore erano?
Mentre rispondeva cercò la sveglia sul comodino con lo sguardo.
Le cinque.
Chi cazzo…?
“Pronto?”
“Michael, ciao, sono Derek… scusami se ti ho svegliato…”
Derek?
Un insolito moto d’ansia afferrò lo stomaco del maggiore, che si ritrovò a sedere.
“Derek, va tutto bene? E’ successo qualcosa?” Domandò, incredibilmente apprensivo.
“Sì, va tutto bene, io…” Una pausa, che parve immensa.
Che cos’era successo?
I peggiori scenari si delinearono l’uno dopo l’altro nella mente ancora rintronata dal sonno del ragazzo, raggiungendo scenari epici di distruzione in cui l’intera città era stata invasa da bombe aliene, a partire dalla casa di Derek.
“Ho letto il tuo racconto e…”
Racconto?
Quale racconto?
… ah, si… gli aveva lasciato un racconto…
E quindi?
“Mi chiedevo se ti andasse di vedere l’alba con me…”
Ancora più che la proposta un po’ sconcia di due sere prima, proposta che si era poi risolta in ore di chiacchiere ed infiniti baci, quella gli spalancò il cuore.
Il fatto che Derek avesse già superato l’idea della relazione come di un qualcosa di puramente fisico, ma avesse deciso di aprirsi anche ad esperienze comuni lo rendeva entusiasta.
Immagini paradisiache di matrimoni gli si spalancarono davanti agli occhi.
Era sempre stata sua abitudine correre un po’ troppo con la fantasia.
“Certamente, mi vesto, prendo l’auto e sono da te.” Rispose.
Un’esitazione, dall’altro lato del telefono.
“Sono già sotto casa tua.”
Dopo qualche istante di silenzio –ancora doveva svegliarsi per bene, la sua mente non carburava con la rapidità solita- Michael si alzò, affacciandosi alla finestra.
La Ford metallizzata era parcheggiata proprio davanti al portone.
“Scendo ad aprirti.” Disse al telefono, prima di chiuderlo.
Afferrò al volo un paio di pantaloni, infilandoseli mentre scendeva le scale.
Entrò nell’ingresso, andando ad aprire la porta, sorridendo.
Derek alzò una mano, in evidente imbarazzo, muovendola appena per salutare.
“Ciao.”
Come risposta Murray si sporse verso di lui, prendendogli il viso tra le mani per baciarlo con foga.
Voleva che il ragazzo comprendesse tutta la sua gioia nel vederlo lì.
“Ti offro qualcosa?” Chiese, quando si furono separati.
“No, grazie… pensavo che potevamo fare colazione al bar, dopo l’alba.” Rispose il castano.
“Mi sembra un’ottima idea.” Confermò il maggiore. “Vado a vestirmi.”
Corse su per le scale, tornando in stanza.
Rapidamente afferrò i primi vestiti che si trovò sotto mano, chiudendosi nel bagno.
Quando ne uscì era perfettamente pronto.
Sebbene l’emozione non si fosse del tutto calmata, perché già solo stare accanto a Derek gli faceva battere il cuore, era comunque molto più rilassato e decisamente più lucido.
Le immagini nuziali, almeno, erano svanite dalla sua mente.
Entrò nel salone, trovando il castano ancora sulla porta, incerto.
“Maddai, potevi entrare!” Esclamò ridendo.
“Non sono stato invitato.” Fece notare il minore, titubante.
Michael scosse il capo, ma sorrise.
Si avvicinò, baciandolo ancora.
Adorava Derek.
Gli metteva addosso una tenerezza, una voglia di stringerlo, di proteggerlo.
Fosse stata un’altra persona avrebbe accettato subito di farci l’amore, ma con Derek… con Derek non poteva.
Voleva lui fosse totalmente sicuro.
“Andiamo?” Chiese impaziente questi, guardando l’orologio che aveva al polso.
“Temi che l’alba scappi?” Lo prese in giro il moro.
“Sì!” Rispose imbronciato il minore.
Murray rise, ma poi gli fece cenno di uscire, seguendolo fuori.
“Posso guidare io?” Chiese.
Aveva sempre guidato auto da rottamare, non gli sarebbe dispiaciuto provare finalmente un auto vera.
“Certo.” Rispose serenamente Humper, porgendogli le chiavi.
Michael le prese quasi elettrizzato, andando al posto di guida.
Aveva imparato ad apprezzare anche le minime cose e non lesinava mai sull’entusiasmo.
Attese che Derek si fosse sistemato, poi mise in moto.
Il motore rombò sommessamente, delicato, come a dire “sono pronto”, senza quel caos infernale a cui era abituato con la sua fiat mezza distrutta.
Quel rumore così lieve gli strinse quasi lo stomaco.
Così come nella sua vita tutto era caos, così nella vita del minore tutto era silenzio.
Ma se il castano poteva apprezzare il silenzio, lui non poteva.
Lui odiava il silenzio.
“Allora, andiamo?” Lo risvegliò il minore.
Lui alzò lo sguardo, poi annuì, guidando.
“Hai mai visto l’alba?” Chiese.
“No.” Rispose a voce bassa il castano, guardando fuori dal finestrino. “Tu?”
“Spesso, con i miei amici.” Confermò.
Poi tacquero.
Michael mosse nervosamente le dita sul volante.
Il silenzio lo stava facendo impazzire.
“Posso accendere lo stereo?”
“Certo.” Acconsentì Derek.
Murray accese la radio, alzando il volume.
L’altro lo bloccò subito.
“Sì, ma non così alto!” si ritrovò ad esclamare, abbassando il volume.
Michael sorrise solamente.
“E’… silenziosa la tua auto, eh?” Si ritrovò a domandare retoricamente.
“Beh, è nuova.” Rispose il castano. “Sei strano oggi.”
“Sto ancora dormendo.” Ribatté il maggiore, ridendo rumorosamente.
Più rumorosamente del solito.
“Parcheggia qui, così siamo più vicini al Belvedere.” Disse dopo qualche momento Humper, indicandogli un posto.
Lui parcheggiò, spegnendo l’auto, uscendone come fosse una prigione.
Derek lo seguì in silenzio.
Si sistemarono seduti sul muretto, osservando il cielo ancora buio.
“Non ti piace il silenzio, eh?” Domandò dopo qualche istante il castano, ridendo piano.
“No, non lo sopporto.” Ammise il maggiore, ridendo a sua volta. “Il silenzio è… è il vuoto. Persino quando sono a casa ho sempre lo stereo acceso.”
Lo stereo acceso, il volume alzato al massimo.
Con l’illusione che il silenzio svanisse.
Che il vuoto svanisse…
Derek schiuse le labbra come se, improvvisamente, tutto fosse diventato chiaro.
“Io non avevo capito…” Mormorò.
“C-cosa?” Balbettò Michael.
Nel cuore il terrore che avesse capito davvero.
“Io credevo fosse soltanto carattere non pensavo che… non pensavo fosse uno scudo…”
“Uno scudo?” Ripeté ancora Murray. “Ma di che stai parlando?”
E rise forte, fortissimo.
“Il caos…”
Si alzò in piedi, prima che l’altro potesse concludere.
“Non mi piace il silenzio, Derek, non c’è molto altro da dire, non c’è niente dietro.” Ribadì tra le risate. “Odio il silenzio e lo riempio di musica e parole.”
“Ma musica e parole non bastano a riempire il vuoto della tua famiglia, non è vero?”
Colpito e affondato.
Michael sentì chiaramente qualcosa spezzarsi.
“La mia famiglia lavora, Derek.” Mormorò lentamente.
La gola improvvisamente arida.
“Non è un motivo abbastanza forte per non sentirne il vuoto.”
“Sì, invece!”
Trattenne il fiato dopo quell’esplosione, distogliendo lo sguardo, osservando la notte che lentamente si schiariva.
“La mia famiglia lavora. Lavora per me, per permettermi la scuola, l’auto, la bella casa in cui viviamo, le mie uscite con gli amici. La mia famiglia si sacrifica per me.” Spiegò lentamente.
“Però tu la vorresti solo accanto.” Ribatté Derek, delicatamente.
Michael a lungo rimase in silenzio.
Ancora colpito. Ancora affondato.
Era poi così sbagliato volere la famiglia vicino?
“E’ che loro fanno tutto questo per me e io… mi sento un ingrato…” Ammise infine, la voce ridotta a niente più che un sussurro.
Humper lo osservò, poi allargò le braccia verso di lui.
Senza fiatare il moro andò a rannicchiarsi contro di lui, affondando le dita nella maglia sulle spalle per nascondere il viso contro il suo petto.
“Non c’è niente di male in quello che provi.” Lo rassicurò il minore, abbracciandogli il capo.
Poi vi posò sopra la guancia, osservando il cielo.
Rimasero a lungo fermi, in silenzio.
“Guarda…” Mormorò dopo quasi mezz’ora. “Sta sorgendo il sole. Un’altra notte è finita, un altro giorno sta nascendo.”
Michael si ritrasse appena dall’abbraccio per alzare lo sguardo sul cielo che si illuminava.
“Citazione1.” Sussurrò solamente in risposta.

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1: Memory. Da musical Cats.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 21/9/2011, 18:06




Uaaaaaaaaaa! finalmente sono riuscita a finirla di leggere!
Ma che bella *-* tu scrivi benissimo e questa storia è spettacolare, sul serio è bellissima e loro due sono super !!
 
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Sselene
view post Posted on 21/9/2011, 19:04




Grazie, sono molto contenta che ti piaccia perché mi ci sono dedicata molto =)
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 21/9/2011, 20:02




Lo immagino, anche perchè la parte più originale del racconto erano le citazioni nserite come se fossere parti del racconto, ci credo che devi aver faticato per scovarle e per inserirle in modo omogeneo nel racconto.
In più ho apprezzato molto i vari incipit dei capitoli che erano costituiti dalle storie che Derek scriveva, soluzione davvero originali e quanto mai felice^^
 
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17 replies since 24/8/2011, 14:35   131 views
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