Unholy, Raiting Rosso. Incest

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Aborted_666
view post Posted on 21/9/2011, 19:18




Nick autore: Aborted_666
Titolo storia: Unholy ~ Dear Dad
Titolo capitolo: Prologo
Genere: drammatico, erotico, sentimentale
Avvertimenti:Attenzione! Questo racconto contiene un incesto padre-figlio, per evitando scene erotiche incestuose in quanto proibite dalla legge. Se siete contrarie al suddetto contenuto, non leggete!
PS: le scene hard non saranno fra loro due, ma ci saranno.
Breve introduzione: Nozef sta per compiere diciotto anni e si appresta a compiere il rito per raggiungere l'età adulta, con terrore e sgomento. Suo padre, l'austero Torvorqua, si opporrà. Ma il motivo, inizialmente ignoto, si paleserà ben presto. Eppure entrambi sanno quanto pericoloso sia questo loro sentimento; sarà Torvorqua a prendere la decisione definitiva. Nozef lo accetterà?
Eventuali note: prendete questo racconto come un mero esperimento. Non sarà lungo, credo che verranno fuori pochissimi capitoli, anche se non so bene quanti.

UNHOLY
~ Dear Dad ~



- Capitolo Primo -

Se la ricordava, la cerimonia.
Erano passati solo pochi mesi dacché vi aveva assistito – per obbligo, in realtà, più che per interesse. E gli aveva fatto paura: si era trovato solo, disperso in mezzo ad una folla ululante; attonito dinnanzi alla furia mistica che aveva sentito solo tramite i racconti del nonno, ma che certamente non immaginava così assurdamente priva di senso. Ricordava il quindicenne Urneld, nudo come un verme al centro dello spiazzo erboso; i suoi capelli erano stati tagliati, tanto da permettere di scorgere la nuca sudata, ed erano stati gettati nell'immenso falò che inghiottiva la notte. Gli sembrava di rivivere i brividi che aveva provato nel vedere il ragazzo strattonato quasi fosse una pezza vecchia, sollevato e girato sottosopra, costretto a posizioni insultanti ed all'assoluto silenzio, anche dinnanzi alla violenza che lo travolgeva da tutte le direzioni.
Aveva quattordici anni compiuti da poco, allora. Ed ormai mancavano solo pochi mesi ai suoi quindici anni: la cerimonia per diventare un uomo era terribilmente prossima.

La notte della decima luna di settembre era gelida. Tutto sommato ci era abituato ed ormai provava solo qualche sporadico brivido, accompagnato da una sensazione deliziosamente simile al piacere.
La donna – la sua donna – lo scrutava dall'altro lato della radura silenziosamente. Non era certo una bellezza, ma gli enormi occhi da cerbiatto luccicavano come pietre incastonate in quel volto tondo e bronzeo; erano belli, espressivi, comunicavano con la sua anima titubante, sussurrandogli litanie che placavano la sua indole irrequieta.
Le labbra di lei, troppo sottili, erano piegate in un flebile sorriso incerto.
«Scusa, - mormorò il ragazzo, - non sono molto loquace.»
Lei, di rimando, sorrise di nuovo.
«Nemmeno io.»
Era dolce; una persona normale l'avrebbe sicuramente apprezzata, probabilmente guardando alle sue forme generose con desiderio. Ma ai suoi occhi appariva solo come una tenera sorella premurosa, priva di qualsivoglia attrattiva.
Eppure, contro al suo libero arbitrio - che contava ben poco, lo sapeva meglio di chiunque altro - avrebbe dovuto condividere un amplesso con quella fanciulla, durante la fase conclusiva della cerimonia.
Lei, Vesnys, condannata all'inferiorità tipica del sesso debole, non sarebbe riuscita in alcun modo a soddisfare il suo desiderio sessuale, pur nella sua ammirabile grazia; non importava quanto impegno ci avesse messo: sapeva che, laddove aveva inizio il suo limite, non ci sarebbe stata nessuna prole.
Era una maledizione inflitta dalla natura, che tuttavia non aveva alcun rimedio, se non la menzogna – a se stesso, prima che agli altri. Mentire, negando che la dolcezza delle movenze femminili fosse per lui vergognosamente irritante; mentire, negando che le flessuose curve delle fanciulle gli risultassero volgari; mentire, negando che la voce dell'altro sesso risuonasse, nelle sue orecchie, come una melodia cacofonica e sgraziata. Doveva solo assecondare l'incastro perfetto, forzando il suo sangue a scorrere fino al suo organo riproduttivo ed ivi rimanere per tutta la durata del rapporto sessuale.
E, per farlo, doveva ingannarsi davvero bene.

Torvorqua lo aspettava all'ingresso della caverna sacra a mezzanotte della stessa sera. Era d'obbligo, gli dissero, un rito preliminare, cui non poteva assolutamente sottarsi: Isemoughtany era un dio crudele, vendicativo e non sarebbe certamente sceso a compromessi con la carne debole. Il suo compito era solo quello di invocarlo, danzare per lui con il fallo eretto in mano e dimostrargli, scioccamente, come l'essere umano fosse in grado di perpetuare la propria razza con un osceno colpo di reni, affinché egli rimpolpasse loro i testicoli di sperma. In qualche modo questa usanza, che inorgogliva tanto la sua gente, gli sembrò terribilmente ridicola.
«Spogliati, Nozef.» La voce di Torvorqua venne amplificata dalle mura umide della caverna e si spense come un tuono in lontananza. Nell'ascoltare l'eco che si disperdeva, trascinandosi dietro quel timbro erotico che lo perseguitava anche nei sogni, non gli fu più possibile controllare i nervi. Il suo corpo vibrava tutto, scosso da singulti e da brividi inarrestabili che gli percorrevano la spina dorsale e si diramavano lungo gli arti, rizzandogli i peli sulle braccia.
Si rese ben presto conto che ciò che stava accadendo seguiva meccanismi più che erronei. Quello che la sua mente stava elaborando era un insulto alla divinità, prima di tutto; era un andare contro corrente, quando sapeva che le sue forze non avrebbero potuto contrastare la potenza del flusso energetico naturale. Era in preda alla follia che, senza tanti complimenti, egli stesso si attribuiva. E nemmeno le menzogne, ora, potevano nasconderlo.
Rivolse uno sguardo languido all'uomo che gli stava dinnanzi, sfilandosi con lentezza gli indumenti, denudando il suo pene eretto già da molti secondi, tanto teso da far male. Se solo avesse potuto, sarebbe fuggito da lì con il cuore in gola e la morte nell'anima.
Torvorqua lo osservava, senza mostrare alcun tipo di emozione. I suoi tratti rimasero inalterati, seri, anche quando il ragazzo rimase totalmente nudo dinnanzi a lui, tremante di paura e freddo.
Nozef singhiozzò quando la sua mano fredda sfiorò la propria verga.
«Padre...», sussurrò.
E mentre socchiudeva gli occhi, avendo ben in mente il volto austero del padre, cominciò a masturbarsi davanti all'altare di pietra, seguendo i passi di danza che erano ben fissati nella sua memoria.
Torvorqua non distolse mai gli occhi da lui.

***



Nozef, per tutta la notte, aveva danzato sulla roccia gelida e dura della caverna sacra. Le piante dei piedi gli dolevano terribilmente, ma il riverbero dell'adrenalina che l'aveva mosso permaneva, seppur incerto, sospingendo le sue gambe stanche.
Essere un adulto gli sembrava qualcosa di terribilmente banale, la semplice accettazione passiva di una fede disinteressata e la pedissequa, cieca riproduzione di ritualità la cui origine, ormai, si era persa nel tempo. La sostanziale sottomissione all'ignoto.
In fondo non serviva essere adulti per comprendere che ciò che lo circondava era solo un groviglio di meccaniche fatalità.
Allo stesso modo, era insensato preparare corpo e anima al trapasso verso un'età così arida. Nel suo caso, soprattutto, rasentava il ridicolo.
«Torvorqua, - disse, accostandosi all'ingresso della capanna che svettava al centro del villaggio. - Padre...» La sua voce palesava la titubanza che lo animava.
Torvorqua si voltò lentamente, rassettandosi il voluttuoso mantello porpora che adornava le sue spalle possenti.
«Nozef, sei stato bravo.» Il suo volto pallido, per un attimo, ebbe un fremito; Nozef, però, non lo notò.
«Isemoughtany mi punirà, - sussurrò Nozef. - Lo farà, non è così?» Nonostante il significato di tali parole risuonasse crudele come una condanna, gli venne da sorridere.
Perchè lui sapeva, non c'era bisogno di introdurre il suo discorso con blande frasi di circostanza. Lui sapeva tutto: non gli era più possibile celare la propria mostruosità dinnanzi a Torvorqua, sangue del suo sangue. Ormai non aveva più senso tacere.
«. Per questo, Nozef, dimostragli che puoi farlo e la tua punizione non sarà terribile come credi.»
«Non posso. Io non sono un uomo. Non lo sono mai stato.» Detto ciò, reclinò il capo in avanti, in segno di resa.
Quelle parole facevano male, più di quanto potesse immaginare. La verità, così violentemente scoperchiata, aveva infranto la sua ancora di bugie e bruciava come veleno sulle sue labbra, lacerava come artigli nel cuore. Nozef sentiva l'enorme sofferenza scivolare fuori dal suo corpo e ritorcerglisi contro, alla stregua di un serpente cavato fuori da un buco che lotta per la propria sopravvivenza.
Non era un uomo, nemmeno dopo aver offerto il proprio seme a Isemoughtany. Ma non serviva la clemenza di un dio che per Nozef nemmeno esisteva. Ciò che gli rimaneva era solo l'alone di un'identità distrutta.
Torvorqua non rispose; il suo sguardo, pur rimanendo duro, parve affranto.
«Basta bugie, - continuò Nozef, con la voce pregna di amarezza. - Sono stanco di essere qualcosa che non sono, di fingermi normale. Non voglio-»
«Taci, Nozef! Tu farai la cerimonia e diventerai un uomo, - lo interruppe Torvorqua. - Tu condividerai un amplesso con Vesnys, la fanciulla scelta per te da mio padre. Tu avrai una prole e sarai ciò che io dico che dovrei essere.» Era un'imposizione che non ammetteva repliche. Lapidaria, secca, forse un po' troppo crudele: questo era suo padre.
Nozef tacque, attonito. Cercò negli occhi del padre qualcosa di simile alla clemenza, ma non trovò altro che un'espressione indecifrabile.
«Sarai normale, - continuò Torvorqua. - E che la natura segua il suo corso.»
Il giovane ebbe un fremito. Si protese in avanti, come per prepararsi a a ribattere. Ma non sarebbe servito a niente. Non avrebbe potuto sopportare altre umiliazioni - almeno, non senza crollare a terra, per non rialzarsi più -.
Ma Nozef non lo vide, mentre usciva dalla capanna. Non vide l'espressione di Torvorqua, che mai era stata così intensa ed incerta, al tempo stesso.

***



Tetihu era una madre amorevole. Nozef amava la sua femminilità leggermente burbera, che non toglieva nulla al merito di genitrice paziente e di moglie responsabile. Questo sottile apprezzamento poteva definirsi un buon passo in avanti? Ne dubitava.
Ma il conto alla rovescia era iniziato e non poteva dimostrarsi incauto nel lasso di tempo concessogli: doveva farsi violenza, sbrindellare la sua essenza per ricomporla in modo tale da compiacere Torvorqua e la sua gente tutta.

Il quattordicesimo giorno di settembre era meno freddo della notte in cui aveva danzato sotto lo sguardo severo del padre. Nozef si ritrovò solo in quel momento, presso il confine meridionale del villaggio, a guardare il cielo che si stagliava infinito sotto al suo sguardo. Stava male; il terrore cresceva in lui ogni ora che passava e l'angoscia era ormai incontenibile. Non ce l'avrebbe fatta, mai e poi mai, a diventare qualcun altro (perché in fin dei conti era questo che gli si chiedeva). Quando il suo sguardo incontrava le iridi scure di Vesnys, durante i desolati pomeriggi che trascorreva al villaggio, cresceva dentro di lui un senso di vuoto incolmabile. Non era l'idea di essere umiliato a spaventarlo - senza che se ne rendesse conto, aveva già toccato il fondo della vergogna -; era piuttosto la certezza di dover palesare a tutti la sua malattia.
Dinnanzi all'altare di pietra, circondato da idoli lignei di pregevole fattura, quella notte aveva avvertito solo la presenza del padre, imponente ed austera. L'eccitazione era dolorosa, pulsava nella sua mano come una ferita aperta ed onnipresente, nonostante il freddo ed il senso di colpa che non gli dava tregua. Era il padre che cercava: il suo volto adulto e così simile al suo, la sua pelle bianca e le mani grandi che sporgevano dall'enorme tunica rituale che indossava.
Era una malsana ossessione la sua; un incauto infatuamento, spirituale e non, che l'avrebbe portato alla rovina. Eppure non poteva farne a meno, tanto quanto il respiro.
Quando era iniziata quella follia...? Era ormai impossibile decretarlo: gli parve, pensandoci bene, un'eternità, una tortura che non aveva avuto inizio e che non avrebbe avuto una fine.
Ma la più gran vergogna, quella per cui, ogni volta che vi rifletteva, faticava a respirare, era la consapevolezza che Lui, Torvorqua, sapeva. Nozef non poteva fare a meno di domandarsi se Torvorqua, dall'alto della sua encomiabile e sconfinata saggezza, avesse intuito che la notte della cerimonia avrebbe immaginato il suo corpo fra le sue braccia di ragazzo e non quello di Vesnys. Ma la risposta era ovvia, per quanto triste fosse tale considerazione. La pura e semplice verità coincideva con la sua più grande sofferenza e non vi erano vie di fuga.

Cinque giorni. Cinque giorni ancora e la sua infelicità sarebbe divenuta completa.

Edited by Aborted_666 - 9/12/2011, 14:48
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 21/9/2011, 19:59




Non so proprio cosa dire e come commentare, credo che per ora mi asterrò e farò una recensione seria solo quando la storia sarà termianta^^
 
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Aborted_666
view post Posted on 22/9/2011, 00:41




CITAZIONE (NonnaPapera! @ 21/9/2011, 20:59) 
Non so proprio cosa dire e come commentare, credo che per ora mi asterrò e farò una recensione seria solo quando la storia sarà termianta^^

Certo, mi fa piacere che tu abbia voluto farmi sapere che, in ogni caso l'hai letta. Attenderò con ansia il commento a lavoro compiuto! ^^
 
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Aborted_666
view post Posted on 8/12/2011, 23:55




Ho modificato tutto il primo capitolo, togliendo una piccola parte ed aggiungendone una più massiccia. xD
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 9/12/2011, 08:47




Ok appena riesco lo rileggo così capisco il seguito XD
 
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4 replies since 21/9/2011, 19:18   69 views
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