| Nick autore: Sselene Titolo storia: L'ascesa di un Dio Genere: Erotico, Drammatico Avvertimenti: slash, vm18, angst Breve introduzione: Rivisitazione in chiave moderna dle mito di Giacinto. Zefiro e Apollo sono compagni di squadra, i più bravi piloti di F1, perennemente in lotta l'uno con l'altro. Hyacinthe, giovane barista che colleziona scopate, non migliorerà la situazione. Eventuali note: I titoli dei tre capitoli sono ispirati ad una canzone del musical Romeo&Giulietta "Mercuzio, Tebaldo, le spade"
Titolo capitolo: Zefiro
L’alba è il momento migliore per mettersi alla guida. La strada semideserta ti permette di raggiungere velocità molto elevate, di sfiorare i 360 km/h della gara, di superarli, anche. Non aveva speso 2 milioni di dollari nella Bugatti Veyron Grand Sport solo per raggiungere le stesse velocità che poteva raggiungere in pista, no. L’aveva fatto per superarle, per andarne anche al di là, per sentire l’urlo del vento spezzarsi contro la carrozzeria bianca.
Per superare il limite. Per andare sempre oltre.
Aveva sempre amato le strade americane per quella immensa possibilità che gli concedevano. Il miglio rettilineo obbligatorio gli permetteva di premere sull’acceleratore con una sicurezza ancora maggiore di quella che aveva in gara. Le curve, in quelle cinque miglia che separavano i rettilinei, di sentire nella gola quel sapore di adrenalina e terrore che mai avevano accompagnato le corse, fin troppo controllate.
Aveva sempre sognato di morire in pista, ma non sarebbe stato forse meglio morire così, in autostrada, a quella velocità? Poteva persino immaginare lo sfacelo che il suo corpo avrebbe subito in seguito ad un incidente di quel genere. Quante possibilità c’erano che quasi si fondesse con la carrozzeria della Bugatti, quasi polverizzata nell’impatto contro il fianco della montagna che affiancava la carreggiata? Quante possibilità c’erano che non lo facesse?
E se invece fosse volato fuori dal guard-rail? Quanto avrebbe viaggiato, prima di precipitare nel nulla e sfracellarsi al suolo? Fino a dove si sarebbe spostato, mosso solo dal vento di cui portava il nome?
Zefiro. Il più veloce.
Era ormai talmente abituato ad essere chiamato così che neanche lo ricordava più, il suo vero nome. Che importanza poteva avere, poi? Quello era il nome del mortale che era stato, in passato, da piccolo, prima di entrare nel circuito della Formula1. Da allora era Zefiro. Da allora era un Dio. E gli Dei non muoiono, ascendono al cielo.
Era quello che avrebbe fatto anche lui, premendo più a fondo sull’acceleratore. Sarebbe asceso al cielo. Sarebbe diventato un Dio.
Si abbandonò contro il sedile, rallentando, allentando finalmente la tensione delle dita serrate attorno al volante. Aveva guidato per ore e l’autostrada cominciava a riempirsi. Non aveva più gli spazi necessari per esprimersi.
L’impellente desiderio di comprarsi una vera e propria pista solo per sé lo sfiorò ancora, dopo che spesso l’aveva fatto da quando era diventato campione di F1, ma la certezza che l’adrenalina non sarebbe scorsa allo stesso modo nel suo corpo avaro di tumulti la allontanò presto, di nuovo. Muovendo appena la mano sul volante, poggiata solo con il palmo per dare finalmente libertà alle dita sbiancate, entrò nell’autogrill pubblicizzato dal cartello. Con un’unica manovra parcheggiò tra due grossi camion –a quell’ora solo i camionisti si fermavano agli autogrill- ed uscì, accolto da un’aria salmastra.
Dov’era arrivato? Non aveva idea. Aveva guidato troppo velocemente per poter badare ad un qualunque cartello stradale, né niente di ciò che aveva intorno gli ricordava qualcosa. Per quanto ne sapeva, poteva essere anche in Europa. E la cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Posò una mano sulla porta a vetri della zona bar, entrandovi. La pelle gli si accapponò subito nel ritrovarsi in quel clima gelido d’aria condizionata. Non aveva mai capito perché la gente si divertisse tanto a tramutarsi in cubetti di ghiaccio. Avanzò verso il bancone, sotto gli sguardi sorpresi degli astanti che, però, non ebbero il coraggio di accostarglisi.
“Buongiorno.” Mormorò, rivolto alla sonnolente ragazza dietro la cassa, che gli rivolse uno sguardo curioso, ma non fece cenno di averlo riconosciuto. “Un caffè espresso ed un cornetto vuoto.” La ragazza digitò sulla cassa, strappando poi lo scontrino. “1 dollaro e 60.” Recitò con voce meccanica, sicuramente abituata a quella scena da molto tempo. Che la ragazza volesse effettivamente fargli pagare la colazione e non gliela offrisse, fu un qualcosa che Zefiro non si aspettava, abituato a ben altri trattamenti ovunque andasse. Per un attimo, mentre si portava la mano alla tasca, temette di essere partito senza neanche portarsi qualche soldo, ma poi sentì tra le dita la familiare sensazione delle banconote arrotolate e ne tirò fuori un paio. “Ecco a lei, tenga il resto.” La ragazza sorrise. “Grazie.” Cinguettò.
Preso lo scontrino, l’uomo si scostò al bancone del bar, trovandolo vuoto. “Hyacinthe!” Chiamò la voce della cassiera. Dalla porta delle cucine uscì, rapidamente, un giovane dai capelli castani e gli occhi azzurri, piuttosto minuto, ma con dei tratti davvero bellissimi. “Eccomi, eccomi.” Borbottò tra sé e sé, alzando poi lo sguardo sul cliente. Trattenne il fiato e sgranò gli occhi, la sorpresa sul suo viso era evidente. Zefiro fu ben lieto di fare quell’effetto. “Oh, mio Dio…” Mormorò il ragazzo, che non poteva avere più di vent’anni. “Ma tu sei Zefiro.” L’uomo rise piano, cercando di dissimulare l’orgoglio nell’essere riconosciuto in quel modo. Aveva sempre sognato, sin da bambino, di diventare un idolo. “Sono io.” Ammise, porgendo poi lo scontrino. “Un espresso e un cornetto alla crema.” Hyacinthe guardò il foglietto e avvampò, trattenendo il fiato. “S-sono mortificato!” Balbettò, afferrandolo. “Deedee non è molto ferrata, nello sport, forse non L’ha riconosciuta, le rimborserò la spesa, sul serio!” Zefiro adorava i fan sfegatati. Gli davano quel senso di onnipotenza che era giusto sentisse, in quanto divinità. Ma non era un Dio cattivo, no, lui era magnanimo con i suoi fedeli servitori. “Non importa.” Lo rassicurò. “Posso permettermi una colazione al bar.” E rise, inclinando lievemente il capo, gesto studiato per far arrossire chiunque lo guardasse. Lo scopo fu raggiunto anche con il barista e Zefiro poté apprezzare totalmente la sua bellezza pudica e misurata dalla modestia. L’avrebbe sbattuto contro il muro e scopato con forza proprio in quel momento, cercando di raggiungere tutti i suoi punti più sensibili per vedergli il viso devastato dal puro piacere, per sentire la sua voce delicata urlare con foga il suo nome, innalzandolo al cielo. Di più, Zefiro… di più…
“Le preparo subito il caffè.” Mormorò in totale imbarazzo Hyacinthe, risvegliandolo dalle sue fantasia, andando a sistemare la capsula nella macchinetta. Nel farlo gli volse le spalle, mostrandogli un fondoschiena perfettamente tondeggiante che accese ancora di più le sue fantasie perverse, “S-sa…” Aggiunse dopo qualche lungo momento di silenzio il ragazzo. “Ho sempre sognato di vederLa entrare da quella porta, ma… o-ora che l’ha fatto davvero…” Rise, palesando tutta la sua emozione, afferrando la tazzina con mani tremanti. Un po’ di caffè fuoriuscì dalla ceramica bianca, cadendogli sulla mano, ma lui non emise neanche un verso, stoicamente. Glielo posò davanti. “Vuoi un autografo?” Gli chiese Zefiro, poggiandosi con i gomiti al bancone. Ormai era quasi una domanda automatica, tanto era abituato a quelle situazioni. “Beh, io…” Cominciò il ragazzo, prendendo un cornetto, infilandolo in un piccolo microonde. “Io non colleziono proprio autografi.” Ammise, sempre a sguardo chino. “No? E cosa collezioni?” Domandò curiosamente il pilota, sorseggiando con piccoli sorsi l’espresso che aveva davanti. Hyacinthe rimase in silenzio, percorrendo il bancone con le dita lievi, poi posò entrambe le mani ben saldamente sul legno, sporgendosi verso di lui. “Scopate.” Rivelò con la voce ridotta ad un soffio. Zefiro inarcò le sopracciglia, sorpreso, ma in positivo, da quell’affermazione. La bellezza un po’ puttana del giovane era ancora più bella e più eccitante della sua bellezza pudica. Rise, inclinando il viso, sorridendo divertito a quell’affermazione, socchiudendo gli occhi. Intento reale era cercare di risultare il più eccitante possibile e doveva esserci riuscito, dato che il barista socchiuse a sua volta gli occhi, fremendo lievemente. Rimase in silenzio qualche istante, poi posò le mani su quelle del minore, chinandosi sul suo viso. “Ci sto.” Ammise in un soffio. “Vieni in macchina con me?” Scoparsi un fan in una Bugatti da due milioni di dollari era l’apoteosi del successo. “Sì.” Mormorò il giovane, scostandosi poi dal bancone. “Deedee io esco un attimo.” “Dove vai?” Domandò sorpresa la giovane, portando lo sguardo su di lui. “Esco.” Rispose seccato Hyacinthe, seguendo poi l’uomo fuori dal bar.
Con passo svelto, segno chiaro dell’urgenza che aveva di spingersi in quel corpo da modello, Zefiro arrivò all’auto, aprendola e sedendosi al posto di guida. “Sulle mie gambe.” Ordinò con tono imperioso. Il castano non se lo fece ripetere, entrando nell’auto, sistemandosi a cavalcioni sull’uomo, poggiando il petto al suo, respirando sulle sue labbra. “Così?” Sospirò con voce accaldata. “Preferivo al contrario, ma mi accontenterò.” Ammise il pilota. Rapidamente portò le mani al pantalone del minore, sbottonandoli. “Aspetta…” Mormorò lui, posando le mani sulle sue. “Così ci vedono tutti.” Zefiro volse appena lo sguardo intorno a sé, sui finestrini dell’auto. “E la cosa ti dispiace? Ti stai scopando Zefiro, campione di Formula Uno.” Fece notare. E, questa volta, non riuscì a dissimulare l’immodestia nell’ironia. Questa volta tutta la sua superbia esplose chiara nel sorriso accattivante e nello sguardo luminoso.
Zefiro. Il più veloce. Il campione. Il Dio. Perché mai avrebbe dovuto cedere alla modestia? La modestia era da perdenti.
“Preferirei qualcosa di un po’ più intimo, se possibile.” Ammise il ragazzo. Eppure cominciò comunque a muoversi, strusciando il proprio fondoschiena contro il suo bacino che, piano, cominciava a tendersi. “Come vuoi.” Ribatté l’uomo. Premendo un semplice tasto i vetri dei finestrini si oscurarono. “Meglio così?” Chiese. Hyacinthe rise, gettando il capo all’indietro, mentre lo cavalcava sensualmente. “Meglio.” Confermò. “Allora basta chiacchiere.” Concluse Zefiro. Con un gesto rapido gli spalanco la cerniera del jeans, tirandoglieli giù insieme agli slip, quel tanto che bastava per scoprire il suo fondoschiena sodo. Allo stesso tempo il castano si occupava dei vestiti del pilota, spogliandolo il necessario per liberare la sua intimità semi-eccitata. “Ma come siamo belli…” Mormorò, rivolgendosi proprio a questa. Vi strinse lentamente le dita attorno, cominciando a massaggiarla ampiamente, per eccitarla totalmente. Non ci volle molto perché la virilità del pilota si erigesse in tutta la sua statura. “Direi che siamo pronti…” Disse ancora Hyacinthe. Si alzò sulle ginocchia, per puntarsi l’eccitazione del maggiore contro la propria apertura, scivolando poi a sedervisi sopra. Zefiro non poté non notare, mentre sospirava cauto, che il tutto era filato fin troppo liscio. Il giovane che aveva sulle gambe doveva essere ben abituato a prendere. D’altronde aveva già detto che collezionava scopate, era ovvio fosse ben preparato, anche se il pilota non poteva non ammettere che era smosso da un senso di immenso fastidio nel rendersi conto non solo di non essere l’unico, ma di essere persino uno tra tanti.
Zefiro non era uno tra tanti. Zefiro era l’unico. L’unico Dio. E che lo si trattasse come tale. Altrimenti… Altrimenti non sarebbe stato un Dio tanto misericordioso.
Afferrò saldamente il fondoschiena del minore tra le dita, spingendosi contro il suo petto perché si rovesciasse all’indietro, poggiando la schiena sul volante. “Reggiti forte, che oggi si vola.” Lo prese in giro, con un sorriso però molto serio. Poi, finalmente, cominciò a muoversi nel suo corpo, imponendo da subito un ritmo serrato e quasi violento.
Che gli eretici venissero puniti. Non si accostava un Dio a nessun mortale.
Affondò nel suo corpo, nella sua carne abituata, godendo dei suoi gemiti acuti, tra il piacere e il dolore, sorridendo soddisfatto nel vedere le sue mani aggrapparsi al volante su cui era appoggiato e stringerlo tra le dita fino a farle sbiancare. “Ti piace, eh? E’ meglio di quello che ti danno gli altri.” Gli ringhiò sulla pelle, mentre imponeva su di lui un ritmo sempre più rapido, affondando nel suo corpo sempre più profondamente. “S-sì…” Singhiozzò il ragazzo. S’inarcò come poteva, per cercare di permettere all’uomo di spingersi ancora più a fondo. “Di’ il mio nome.” Gli ordinò. “Z-Zefiro…” Annaspò lui.
Adorava sentir pronunciare il suo nome divino. Adorava sentirlo pronunciare dalla voce adorante di un fan. Adorava sentirlo pronunciare durante una così bella scopata.
“Zefiro…” Era a sé stesso che stava pensando, quando l’orgasmo arrivò, come una scossa elettrica, portandolo a riempire il corpo del minore con una specie di grugnito. Anche Hyacinthe raggiunse l’orgasmo, solo qualche istante dopo, liberando una consistente quantità di denso biancore tra le dita del maggiore. Zefiro si guardò qualche istante la mano sporca, poi la portò al viso del castano, che, sfinito, prendeva fiato. Lui gli rivolse un’occhiata perplessa. “Pulisci.” Ordinò senza mezzi termini il pilota e gli avvicinò maggiormente la mano. Il giovane rimase fermo qualche istante, poi, ubbidiente, prese la mano dell’uomo tra le proprie, cominciando a leccarla con la punta della lingua per ripulirla. Quando ebbe finito la lasciò. Posò le mani sulle spalle dell’amante, sporgendosi in avanti, alzandosi per bene sulle ginocchia per far uscire la sua intimità ormai spenta dal proprio corpo, sospirando a sentirsi improvvisamente svuotato. “Dio…” Mormorò. Zefiro sapeva che si rivolgeva proprio a lui. “Dovremmo rifarlo.” Il pilota non rispose subito, limitandosi a percorrere con un dito il profilo del minore. “Sì…” Ammise dopo qualche secondo. “Passa agli allenamenti, qualche volta che sei da quelle parti, lascio il tuo nome alla sicurezza.” Hyacinthe rise piano, con il fiato ancora corto per l’esperienza sessuale appena affrontata. “Fantastico.” Mormorò. “Ora torno a lavoro, ma passerò di sicuro.” Gli fece l’occhiolino, rivestendosi in fretta, poi aprì la portiera ed uscì, allontanandosi. “Ti aspetto.” Rispose in un soffio.
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