L'ascesa di un Dio, rossa - vincitrice del contest "Cantami, O Diva"

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Sselene
view post Posted on 4/10/2011, 15:56




Nick autore: Sselene
Titolo storia: L'ascesa di un Dio
Genere: Erotico, Drammatico
Avvertimenti: slash, vm18, angst
Breve introduzione: Rivisitazione in chiave moderna dle mito di Giacinto. Zefiro e Apollo sono compagni di squadra, i più bravi piloti di F1, perennemente in lotta l'uno con l'altro. Hyacinthe, giovane barista che colleziona scopate, non migliorerà la situazione.
Eventuali note: I titoli dei tre capitoli sono ispirati ad una canzone del musical Romeo&Giulietta "Mercuzio, Tebaldo, le spade"

Titolo capitolo: Zefiro

L’alba è il momento migliore per mettersi alla guida.
La strada semideserta ti permette di raggiungere velocità molto elevate, di sfiorare i 360 km/h della gara, di superarli, anche.
Non aveva speso 2 milioni di dollari nella Bugatti Veyron Grand Sport solo per raggiungere le stesse velocità che poteva raggiungere in pista, no.
L’aveva fatto per superarle, per andarne anche al di là, per sentire l’urlo del vento spezzarsi contro la carrozzeria bianca.

Per superare il limite.
Per andare sempre oltre.

Aveva sempre amato le strade americane per quella immensa possibilità che gli concedevano.
Il miglio rettilineo obbligatorio gli permetteva di premere sull’acceleratore con una sicurezza ancora maggiore di quella che aveva in gara.
Le curve, in quelle cinque miglia che separavano i rettilinei, di sentire nella gola quel sapore di adrenalina e terrore che mai avevano accompagnato le corse, fin troppo controllate.

Aveva sempre sognato di morire in pista, ma non sarebbe stato forse meglio morire così, in autostrada, a quella velocità?
Poteva persino immaginare lo sfacelo che il suo corpo avrebbe subito in seguito ad un incidente di quel genere.
Quante possibilità c’erano che quasi si fondesse con la carrozzeria della Bugatti, quasi polverizzata nell’impatto contro il fianco della montagna che affiancava la carreggiata?
Quante possibilità c’erano che non lo facesse?

E se invece fosse volato fuori dal guard-rail?
Quanto avrebbe viaggiato, prima di precipitare nel nulla e sfracellarsi al suolo?
Fino a dove si sarebbe spostato, mosso solo dal vento di cui portava il nome?

Zefiro.
Il più veloce.

Era ormai talmente abituato ad essere chiamato così che neanche lo ricordava più, il suo vero nome.
Che importanza poteva avere, poi?
Quello era il nome del mortale che era stato, in passato, da piccolo, prima di entrare nel circuito della Formula1.
Da allora era Zefiro.
Da allora era un Dio.
E gli Dei non muoiono, ascendono al cielo.

Era quello che avrebbe fatto anche lui, premendo più a fondo sull’acceleratore.
Sarebbe asceso al cielo.
Sarebbe diventato un Dio.

Si abbandonò contro il sedile, rallentando, allentando finalmente la tensione delle dita serrate attorno al volante.
Aveva guidato per ore e l’autostrada cominciava a riempirsi.
Non aveva più gli spazi necessari per esprimersi.

L’impellente desiderio di comprarsi una vera e propria pista solo per sé lo sfiorò ancora, dopo che spesso l’aveva fatto da quando era diventato campione di F1, ma la certezza che l’adrenalina non sarebbe scorsa allo stesso modo nel suo corpo avaro di tumulti la allontanò presto, di nuovo.
Muovendo appena la mano sul volante, poggiata solo con il palmo per dare finalmente libertà alle dita sbiancate, entrò nell’autogrill pubblicizzato dal cartello.
Con un’unica manovra parcheggiò tra due grossi camion –a quell’ora solo i camionisti si fermavano agli autogrill- ed uscì, accolto da un’aria salmastra.

Dov’era arrivato? Non aveva idea.
Aveva guidato troppo velocemente per poter badare ad un qualunque cartello stradale, né niente di ciò che aveva intorno gli ricordava qualcosa.
Per quanto ne sapeva, poteva essere anche in Europa.
E la cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto.

Posò una mano sulla porta a vetri della zona bar, entrandovi.
La pelle gli si accapponò subito nel ritrovarsi in quel clima gelido d’aria condizionata.
Non aveva mai capito perché la gente si divertisse tanto a tramutarsi in cubetti di ghiaccio.
Avanzò verso il bancone, sotto gli sguardi sorpresi degli astanti che, però, non ebbero il coraggio di accostarglisi.

“Buongiorno.” Mormorò, rivolto alla sonnolente ragazza dietro la cassa, che gli rivolse uno sguardo curioso, ma non fece cenno di averlo riconosciuto. “Un caffè espresso ed un cornetto vuoto.”
La ragazza digitò sulla cassa, strappando poi lo scontrino.
“1 dollaro e 60.” Recitò con voce meccanica, sicuramente abituata a quella scena da molto tempo.
Che la ragazza volesse effettivamente fargli pagare la colazione e non gliela offrisse, fu un qualcosa che Zefiro non si aspettava, abituato a ben altri trattamenti ovunque andasse.
Per un attimo, mentre si portava la mano alla tasca, temette di essere partito senza neanche portarsi qualche soldo, ma poi sentì tra le dita la familiare sensazione delle banconote arrotolate e ne tirò fuori un paio.
“Ecco a lei, tenga il resto.”
La ragazza sorrise.
“Grazie.” Cinguettò.

Preso lo scontrino, l’uomo si scostò al bancone del bar, trovandolo vuoto.
“Hyacinthe!” Chiamò la voce della cassiera.
Dalla porta delle cucine uscì, rapidamente, un giovane dai capelli castani e gli occhi azzurri, piuttosto minuto, ma con dei tratti davvero bellissimi.
“Eccomi, eccomi.” Borbottò tra sé e sé, alzando poi lo sguardo sul cliente.
Trattenne il fiato e sgranò gli occhi, la sorpresa sul suo viso era evidente.
Zefiro fu ben lieto di fare quell’effetto.
“Oh, mio Dio…” Mormorò il ragazzo, che non poteva avere più di vent’anni. “Ma tu sei Zefiro.”
L’uomo rise piano, cercando di dissimulare l’orgoglio nell’essere riconosciuto in quel modo.
Aveva sempre sognato, sin da bambino, di diventare un idolo.
“Sono io.” Ammise, porgendo poi lo scontrino. “Un espresso e un cornetto alla crema.”
Hyacinthe guardò il foglietto e avvampò, trattenendo il fiato.
“S-sono mortificato!” Balbettò, afferrandolo. “Deedee non è molto ferrata, nello sport, forse non L’ha riconosciuta, le rimborserò la spesa, sul serio!”
Zefiro adorava i fan sfegatati.
Gli davano quel senso di onnipotenza che era giusto sentisse, in quanto divinità.
Ma non era un Dio cattivo, no, lui era magnanimo con i suoi fedeli servitori.
“Non importa.” Lo rassicurò. “Posso permettermi una colazione al bar.”
E rise, inclinando lievemente il capo, gesto studiato per far arrossire chiunque lo guardasse.
Lo scopo fu raggiunto anche con il barista e Zefiro poté apprezzare totalmente la sua bellezza pudica e misurata dalla modestia.
L’avrebbe sbattuto contro il muro e scopato con forza proprio in quel momento, cercando di raggiungere tutti i suoi punti più sensibili per vedergli il viso devastato dal puro piacere, per sentire la sua voce delicata urlare con foga il suo nome, innalzandolo al cielo.
Di più, Zefiro… di più…

“Le preparo subito il caffè.” Mormorò in totale imbarazzo Hyacinthe, risvegliandolo dalle sue fantasia, andando a sistemare la capsula nella macchinetta.
Nel farlo gli volse le spalle, mostrandogli un fondoschiena perfettamente tondeggiante che accese ancora di più le sue fantasie perverse,
“S-sa…” Aggiunse dopo qualche lungo momento di silenzio il ragazzo. “Ho sempre sognato di vederLa entrare da quella porta, ma… o-ora che l’ha fatto davvero…” Rise, palesando tutta la sua emozione, afferrando la tazzina con mani tremanti.
Un po’ di caffè fuoriuscì dalla ceramica bianca, cadendogli sulla mano, ma lui non emise neanche un verso, stoicamente.
Glielo posò davanti.
“Vuoi un autografo?” Gli chiese Zefiro, poggiandosi con i gomiti al bancone.
Ormai era quasi una domanda automatica, tanto era abituato a quelle situazioni.
“Beh, io…” Cominciò il ragazzo, prendendo un cornetto, infilandolo in un piccolo microonde. “Io non colleziono proprio autografi.” Ammise, sempre a sguardo chino.
“No? E cosa collezioni?” Domandò curiosamente il pilota, sorseggiando con piccoli sorsi l’espresso che aveva davanti.
Hyacinthe rimase in silenzio, percorrendo il bancone con le dita lievi, poi posò entrambe le mani ben saldamente sul legno, sporgendosi verso di lui.
“Scopate.” Rivelò con la voce ridotta ad un soffio.
Zefiro inarcò le sopracciglia, sorpreso, ma in positivo, da quell’affermazione.
La bellezza un po’ puttana del giovane era ancora più bella e più eccitante della sua bellezza pudica.
Rise, inclinando il viso, sorridendo divertito a quell’affermazione, socchiudendo gli occhi.
Intento reale era cercare di risultare il più eccitante possibile e doveva esserci riuscito, dato che il barista socchiuse a sua volta gli occhi, fremendo lievemente.
Rimase in silenzio qualche istante, poi posò le mani su quelle del minore, chinandosi sul suo viso.
“Ci sto.” Ammise in un soffio. “Vieni in macchina con me?”
Scoparsi un fan in una Bugatti da due milioni di dollari era l’apoteosi del successo.
“Sì.” Mormorò il giovane, scostandosi poi dal bancone. “Deedee io esco un attimo.”
“Dove vai?” Domandò sorpresa la giovane, portando lo sguardo su di lui.
“Esco.” Rispose seccato Hyacinthe, seguendo poi l’uomo fuori dal bar.

Con passo svelto, segno chiaro dell’urgenza che aveva di spingersi in quel corpo da modello, Zefiro arrivò all’auto, aprendola e sedendosi al posto di guida.
“Sulle mie gambe.” Ordinò con tono imperioso.
Il castano non se lo fece ripetere, entrando nell’auto, sistemandosi a cavalcioni sull’uomo, poggiando il petto al suo, respirando sulle sue labbra.
“Così?” Sospirò con voce accaldata.
“Preferivo al contrario, ma mi accontenterò.” Ammise il pilota.
Rapidamente portò le mani al pantalone del minore, sbottonandoli.
“Aspetta…” Mormorò lui, posando le mani sulle sue. “Così ci vedono tutti.”
Zefiro volse appena lo sguardo intorno a sé, sui finestrini dell’auto.
“E la cosa ti dispiace? Ti stai scopando Zefiro, campione di Formula Uno.” Fece notare.
E, questa volta, non riuscì a dissimulare l’immodestia nell’ironia.
Questa volta tutta la sua superbia esplose chiara nel sorriso accattivante e nello sguardo luminoso.

Zefiro.
Il più veloce.
Il campione.
Il Dio.
Perché mai avrebbe dovuto cedere alla modestia?
La modestia era da perdenti.

“Preferirei qualcosa di un po’ più intimo, se possibile.” Ammise il ragazzo.
Eppure cominciò comunque a muoversi, strusciando il proprio fondoschiena contro il suo bacino che, piano, cominciava a tendersi.
“Come vuoi.” Ribatté l’uomo.
Premendo un semplice tasto i vetri dei finestrini si oscurarono.
“Meglio così?” Chiese.
Hyacinthe rise, gettando il capo all’indietro, mentre lo cavalcava sensualmente.
“Meglio.” Confermò.
“Allora basta chiacchiere.” Concluse Zefiro.
Con un gesto rapido gli spalanco la cerniera del jeans, tirandoglieli giù insieme agli slip, quel tanto che bastava per scoprire il suo fondoschiena sodo.
Allo stesso tempo il castano si occupava dei vestiti del pilota, spogliandolo il necessario per liberare la sua intimità semi-eccitata.
“Ma come siamo belli…” Mormorò, rivolgendosi proprio a questa.
Vi strinse lentamente le dita attorno, cominciando a massaggiarla ampiamente, per eccitarla totalmente.
Non ci volle molto perché la virilità del pilota si erigesse in tutta la sua statura.
“Direi che siamo pronti…” Disse ancora Hyacinthe.
Si alzò sulle ginocchia, per puntarsi l’eccitazione del maggiore contro la propria apertura, scivolando poi a sedervisi sopra.
Zefiro non poté non notare, mentre sospirava cauto, che il tutto era filato fin troppo liscio.
Il giovane che aveva sulle gambe doveva essere ben abituato a prendere.
D’altronde aveva già detto che collezionava scopate, era ovvio fosse ben preparato, anche se il pilota non poteva non ammettere che era smosso da un senso di immenso fastidio nel rendersi conto non solo di non essere l’unico, ma di essere persino uno tra tanti.

Zefiro non era uno tra tanti.
Zefiro era l’unico.
L’unico Dio.
E che lo si trattasse come tale.
Altrimenti…
Altrimenti non sarebbe stato un Dio tanto misericordioso.

Afferrò saldamente il fondoschiena del minore tra le dita, spingendosi contro il suo petto perché si rovesciasse all’indietro, poggiando la schiena sul volante.
“Reggiti forte, che oggi si vola.” Lo prese in giro, con un sorriso però molto serio.
Poi, finalmente, cominciò a muoversi nel suo corpo, imponendo da subito un ritmo serrato e quasi violento.

Che gli eretici venissero puniti.
Non si accostava un Dio a nessun mortale.

Affondò nel suo corpo, nella sua carne abituata, godendo dei suoi gemiti acuti, tra il piacere e il dolore, sorridendo soddisfatto nel vedere le sue mani aggrapparsi al volante su cui era appoggiato e stringerlo tra le dita fino a farle sbiancare.
“Ti piace, eh? E’ meglio di quello che ti danno gli altri.” Gli ringhiò sulla pelle, mentre imponeva su di lui un ritmo sempre più rapido, affondando nel suo corpo sempre più profondamente.
“S-sì…” Singhiozzò il ragazzo.
S’inarcò come poteva, per cercare di permettere all’uomo di spingersi ancora più a fondo.
“Di’ il mio nome.” Gli ordinò.
“Z-Zefiro…” Annaspò lui.

Adorava sentir pronunciare il suo nome divino.
Adorava sentirlo pronunciare dalla voce adorante di un fan.
Adorava sentirlo pronunciare durante una così bella scopata.

“Zefiro…”
Era a sé stesso che stava pensando, quando l’orgasmo arrivò, come una scossa elettrica, portandolo a riempire il corpo del minore con una specie di grugnito.
Anche Hyacinthe raggiunse l’orgasmo, solo qualche istante dopo, liberando una consistente quantità di denso biancore tra le dita del maggiore.
Zefiro si guardò qualche istante la mano sporca, poi la portò al viso del castano, che, sfinito, prendeva fiato.
Lui gli rivolse un’occhiata perplessa.
“Pulisci.” Ordinò senza mezzi termini il pilota e gli avvicinò maggiormente la mano.
Il giovane rimase fermo qualche istante, poi, ubbidiente, prese la mano dell’uomo tra le proprie, cominciando a leccarla con la punta della lingua per ripulirla.
Quando ebbe finito la lasciò.
Posò le mani sulle spalle dell’amante, sporgendosi in avanti, alzandosi per bene sulle ginocchia per far uscire la sua intimità ormai spenta dal proprio corpo, sospirando a sentirsi improvvisamente svuotato.
“Dio…” Mormorò.
Zefiro sapeva che si rivolgeva proprio a lui.
“Dovremmo rifarlo.”
Il pilota non rispose subito, limitandosi a percorrere con un dito il profilo del minore.
“Sì…” Ammise dopo qualche secondo. “Passa agli allenamenti, qualche volta che sei da quelle parti, lascio il tuo nome alla sicurezza.”
Hyacinthe rise piano, con il fiato ancora corto per l’esperienza sessuale appena affrontata.
“Fantastico.” Mormorò. “Ora torno a lavoro, ma passerò di sicuro.”
Gli fece l’occhiolino, rivestendosi in fretta, poi aprì la portiera ed uscì, allontanandosi.
“Ti aspetto.” Rispose in un soffio.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 5/10/2011, 10:24




Uraka O.O la psiche di Zefiro è malata, sul serio, pero anche Hyacinthe in quanto a complessi non scherza. Farebbero la fortuna di freud.
Però devo dire che questa storia è molto bella. mi piace ocme rivisiti la mitologia graca in chiave moderna!
bene ora aspetto che entri in scena apollo XS
 
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Sselene
view post Posted on 5/10/2011, 16:22




S', Zefiro è un pochiiiiiiiiiiiiiiiiiino psicopatico xD
 
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Sselene
view post Posted on 7/10/2011, 11:33




Titolo capitolo: Apollo

Apollo era completamente diverso da lui.
Biondo, grandi occhi azzurri, un corpo minuto e la pelle di porcellana, pareva essere nettamente il suo posto e i giornali avevano spesso giocato su quella precisa differenza.
L’aspetto non era l’unica cosa che li opponeva.
Sebbene Apollo portasse il nome di un Dio tanto grande, a causa della sua ammirevole bellezza, non mostrava affatto quella superbia che a Zefiro, invece, era tanto congeniale.

Dentro, però, non era poi così diverso.
Non era così diversa la sua convinzione di essere il migliore.
Di essere destinato a grandi cose.
Di essere destinato ad ascendere al cielo.

Quello era il primo motivo per cui lo odiava.
Gli opposti si attraggono? Fandonie.
Gli opposti si odiano.
La loro incredibile incapacità di collidere in un qualche tipo di compromesso fa sì che entrambi si ritrovino arroccati nelle loro posizioni, a farsi guerra l’un l’altro.
Pur così, non poteva negare che, ogni volta che parlava con Apollo, sentiva l’aria farsi carica di una tensione erotica che difficilmente riusciva a far svanire se non nella quiete di un bagno.

Apollo era bello.
Apollo era eccitante.
Apollo era un Dio, come lui, forse solo un poco più alto.
E averlo avrebbe coronato la sua gloria.

Ma c’era quell’opposizione che gli impediva persino di avvicinarsi.
Che gli impediva di parlare al compagno di scuderia senza aggredirlo.
Che impediva ad Apollo di rispondere a quelle parole dure senza spintoni e ringhi.
Che impediva loro di parlarsi civilmente.

Ma non era certo solo il loro essere così diversi a farli lottare in quel modo, no.
Il fatto reale è che due compagni di scuderia sono più nemici di due rivali.
Soprattutto quando sono entrambi molto bravi e loro erano i migliori.
I migliori di ogni scuderia.
I migliori di ogni tempo.
I migliori.

Loro erano divinità scese in terra per insegnare agli uomini la nobile arte della velocità.
Dell’adrenalina.
Della follia.

Perché solo loro potevano sfidare tanto la sorte da raggiungere velocità che altri temevano di sfiorare.
Solo loro si lasciavano coccolare sensualmente dai venti che rumoreggiavano contro la carrozzeria dell’auto.
Solo loro sfidavano la morte in gare contro loro stessi, bruciando l’asfalto Zefiro con la Bugatti ed Apollo con la Lambo.
Solo loro potevano permetterselo.
Solo loro potevano tentare l’ascesa nei cieli, accanto ai loro padri.

Premere sempre di più sull’acceleratore era una sfida con le altre scuderie.
Una sfida con i tifosi.
Una sfida con loro stessi.
Una sfida l’uno con l’altro.
E nessuno avrebbe ceduto prima della morte.

“Ho bisogno di parlarvi.”

Il dirigente di scuderia li aveva riuniti entrambi nel salottino sebbene sapesse chiaramente quanto fosse impossibile per loro stare anche solo un po’ vicini.
Doveva essere qualcosa di molto importante, se non addirittura grave.
Zefiro poteva sentirsi quasi nervoso.
Se anche fosse stato licenziato, comunque, se anche la scuderia fosse stata chiusa, avrebbe sicuramente trovato un altro posto da pilota.
Era il migliore.

“Siamo una scuderia forte, voi siete fantastici, ma abbiamo bisogno di un successo maggiore a livello mediatico.”

Maggiore successo a livello mediatico?
Erano due divinità.
Come potevano raggiungere un successo maggiore di quello?
La folla li adorava come idoli di religioni antiche.
Li pregava più ancora del Dio di cui parlavano Bibbia e Corano.
Erano la nuova religione, la religione della velocità e dell’adrenalina.
Un religione che aveva spazzato via con un soffio quelle precedenti, obsolete.
Erano la nuova religione.
I nuovi Dei.
I nuovi idoli.
Cos’altro serviva?

“Abbiamo bisogno che Apollo vinca le gare.”
“Che ci provi.” La risposta di Zefiro, quasi un ringhio tra i denti serrati.

Apollo non gli era mai arrivato davanti.
Sempre dietro di qualche centesimo di secondo.
Sempre.
Non avrebbe cambiato le cose per far contenti un paio di giornalisti.
Apollo era il più bello.
Zefiro il più veloce.
Era giusto fosse così.

“Abbiamo bisogno che tu lo faccia vincere, Zefiro.”

Una risata, dura, bassa, fredda.
Una risata che sembrava una sgridata urlata.
Una risata che pareva un coltello conficcato nello stomaco.

“Io non rallento.”
“Temo dovrai farlo.” La risposta grave del Dirigente di Scuderia.

Impettito nel suo completo grigio noia lui non capiva.
Non poteva comprendere la sublimità della velocità, dell’accelerazione.
La vita che scorreva dietro quel continuo inseguimento della morte.
E la paura che arrancava, che veniva sbalzata via dalla velocità eccessiva.
Perché Zefiro era troppo veloce per provare paura.
Tanto veloce che quasi non sentiva il cuore battere, perché il battito era accaduto troppo indietro per essere sentito.
Tanto veloce che poteva viaggiare nel tempo.
Non era forse quello che faceva un Dio?

Ma il Dirigente di Scuderia non poteva capire, non poteva comprendere.
Lui non conosceva la velocità, l’adrenalina.
Lui, nel suo ufficio perfetto, nella sua vita perfetta, nella sua famiglia perfetta, non faceva che vivere nella noia e nella routine, nel grigiore.
Lui non poteva capire.
Nessuno a parte Apollo poteva.

La notizia pareva non fare contento neanche lui.
Il fastidio era palese nei suoi bei lineamenti contratti.

“Non ho bisogno di elemosinare vittorie.” Anche la sua voce era ridotta ad un ringhio.
“Evidentemente sì, invece.” La risposta del Dirigente. “Altrimenti arriveresti primo.”
“Posso farcela!” Ribatté ancora Apollo, sporgendosi in avanti.
Tutti i muscoli contratti, come fosse pronto a saltare alla gola dell’uomo tarchiato per fargli rimangiare ogni singola parola di quel discorso.
Come una belva affamata pronta a saltare ad ogni minimo movimento.
“Tu devi farcela, Alan.”

Il suo vero nome.
Un affronto imperdonabile.

Apollo si rizzò di scatto.
“Non permetterti di chiamarmi così!”
La voce, come uno schiaffo, si riversò sul volto del Dirigente, che arretrò di mezzo passo.
Forse colpevole. Forse spaventato. Forse entrambi.
“Abbiamo bisogno che tu vinca, Apollo. E Zefiro ti lascerà vincere.” Sentenziò.
Poi volse le spalle e si allontanò.

Un lento stillicidio di silenzio riempì la camera per moltissimo tempo.
Due divinità mortalmente offese dovevano cercare di quietarsi prima di potersi esprimere o avrebbero potuto far scatenare una guerra titanica.

“Io non ti lascerò vincere.”
Fu la voce imperiosa di Zefiro a rompere il silenzio, con parole pronunciate astiosamente tra i denti, per non doverle urlare in faccia al compagno.
“Io non voglio tu lo faccia.”
La risposta altrettanto irata di Apollo.
Com’era suo solito, quand’era nervoso, ovvero sempre dato che lo innervosiva arrivare secondo, strinse i denti, muovendo lievemente la mandibola serrata.

Zefiro non poté non notare la sua grandiosa bellezza.
Non lo sorprendeva che a lui fosse stato accostato il nome di un Dio tanto bello.
E neanche gli importava.
Che Apollo avesse tutta la bellezza che desiderava.
Lui aveva la velocità.
Lui aveva la gloria della vittoria.
La bella Nike a lui e solo a lui si era concessa.

“Scusate…”
Uno degli assistenti, uno dei mille assistenti che giravano nella scuderia, aprì la porta, affacciandosi.
“Zefiro c’è un ragazzino per te… dice che ha il tuo permesso di entrare…”

Zefiro era magnanimo.
Zefiro distribuiva inviti.
Quasi mai venivano accettati però.

“Chi è?”
“Un certo Hyacinthe.”

Hyacinthe…
Solo il suo nome riusciva a riportargli alla mente tutte le sensazioni che aveva provato durante l’atto sessuale che li aveva uniti.
Ricordava il suo corpo accogliente e contratto, i suoi singulti alti, le sue dita strette sul volante.
Chiuse un attimo gli occhi, assaporando i ricordi, poi li riaprì.

“Fallo entrare.”

Ubbidiente l’assistente si allontanò in fretta.
Non molto dopo Hyacinthe fece il suo ingresso nel salottino, con dei pantaloni stretti che mettevano in risalto la curva del fondoschiena ed una canotta semiscesa su di una spalla.

“Hey…” Lo salutò Zefiro, con un cenno del capo.
Hyacinthe gli passò accanto, accostandosi ad apollo.
Gli occhi lucidi di un ecclesiastico dinnanzi a Dio.
“Oddio, tu sei Apollo!” Esclamò concitato.

Il modo in cui era stato snobbato riempiva il cuore di Zefiro d’ira profonda, ma mai l’avrebbe mostrata.
Che quel ragazzino facesse come voleva, non era importante.
Il Grande Dio Zefiro l’aveva già dimenticato e superato.
Che Apollo si prendesse pure gli avanzi.
Che si prendesse la polvere.

“Già.” Rispose solamente il pilota.
Appariva alquanto annoiato dall’interesse petulante del ragazzino.
“Ho sognato tutta la vita di incontrarti!”
“Ma tu non sei qui per Zefiro?”

Che domanda stupida.
Se fosse stato lì per Zefiro, se fosse stato di Zefiro, non si sarebbe certo preoccupato di Apollo, in nessun modo.
No, ormai Zefiro era troppo in là per lui, per questo si era accontentato del secondo posto.
Se non puoi ambire al meglio, accontentati.
Era una lezione così ovvia.

“No, lui l’ho già collezionato.”

Zefiro strinse forte un pugno.
Serrò la mandibola.
Avrebbe voluto sfracellare con un pugno quel perfetto visino da modello.
Non si trattava un Dio come un mortale di poco conto.
Lui era Zefiro, non una cartolina sull’album da collezione di un bambino.
Che stesse attento a ciò che diceva, se non voleva ritrovarsi nei guai.
Zefiro sapeva essere un dio benevolo, ma anche un Dio assai vendicativo.

“Collezionato?” Sillabò Apollo.
Sul viso lo scherno.

Zefiro avrebbe voluto distruggere anche il suo volto.
Si alzò.

“Sì, il ragazzino qui, Hyacith o quello che è…” pretendere di non ricordare il nome, uno dei primi passi della punizione. “colleziona scopate.”
“Scopate di gente famosa.” Precisò il castano.
Apollo tacque, poi scosse il capo.
“Non sono interessato.”

No.
Apollo non poteva rifiutare i suoi scarti.
Non poteva volgere le spalle a chi gli si era offerto dopo essersi offerto a lui.
Non poteva snobbare in quel modo ciò che era stato suo.
Non poteva.
Non ne aveva diritto.
Non era un Dio così potente.
Non era un Dio così importante.

“Suvvia, Apollo…” Lo prese in giro Zefiro.
Passò un braccio attorno alle spalle di Hyacinthe che a lui volse lo sguardo.
“Ma ti pare che rifiuti un ragazzino che è venuto da te ad implorarti di prenderlo e di farlo tuo?”
Una risata, sommessa, mentre la testa veniva scossa.
“Non si fa, Apollo, non si fa.”
“Guarda che scopo bene.” Sottolineò il giovane.
“Oh, scopa davvero bene.” Confermò il Dio.
Abbassò la mano, dando un forte schiaffo sul fondoschiena di Hyacinthe che sussultò, ma poi rise.
“Solo un po’… come dire… troppo accogliente.” Concluse il pilota.

Apollo era rimasto in silenzio, osservando tutta la scena.
Lo sguardo si posò sul compagno di squadra, divertito.
Zefiro non riuscì a capire cosa stesse cercando di dirgli.

“Non te ne pentirai.” Insistette Hyacinthe.
“Va bene.” Confermò il biondo. “Seguimi.”

Zefiro li osservò allontanarsi.
Attese che la porta si fosse chiusa e poi, ancora, che non si sentisse alcun passo.
Attese un altro po’, per assicurarsi che tutti fossero abbastanza lontani.
Poi con una mossa fulminea si volse, mollando un forte pugno alla parete che aveva accanto.

Nessuno snobbava Zefiro.
Nessuno trattava Zefiro come un rifiuto.
Nessuno.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 12/10/2011, 13:47




Sempre più folle O.O sul serio questi tre sono da manicomio, Sselene cominci a preoccuparmi. però perccato mi sarebbe piaciuto che Apollo rifiutasse l'invito, che facesse capire a Zefiro quanto è fesso e che alla fine il ragazzino linfomane cadesse ai suoi piedi
 
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Sselene
view post Posted on 12/10/2011, 16:14




Beh, c'è ancora una parte, può succede di tutto XP
Comunque sìììì sono folli *w* (d'altronde ho ricevuto il massimo del punteggio a "caratterizzazione dei personaggi")
 
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Sselene
view post Posted on 14/10/2011, 11:52




Titolo Capitolo: Le Spade

La passione è un gioco curioso, che muta appena credi di averne capito le regole, che ha come scopo quello di non averne alcuno, che si gioca da soli o in infiniti.
Passi la tua vita ad amare una persona per poi odiarla.
Passi la tua vita ad odiare una persona per poi amarla.
Passi la tua vita ad essere indifferente per poi ritrovarti incredibilmente coinvolto.
Passi la tua vita ad assecondarla con chiunque per poi ritrovarti legato indissolubilmente ad una sola persona.

L’ultimo caso l’aveva visto accadere sotto i suoi occhi impotenti.
Aveva visto la mezz’ora di sesso di Apollo e Hyacinthe diventare una cena fuori e poi un secondo appuntamento e poi un terzo.
E poi una storia.

Una rabbia cupa l’aveva assalito, soffocandogli il cuore sotto litri di bile nerastra e molliccia.
Come aveva osato quella puttana, perché come altro doveva definire quel ragazzino alla ricerca di sesso?, prima di rifiutarlo per una seconda volta, preferendogli Apollo, e poi di stringersi con lui in una storia d’amore?
Come aveva potuto, con tanta leggerezza, commettere un’eresia tanto grande?
Come aveva creduto di poterla passare liscia?
Che stesse attento, che pregasse e salutasse le persone care, perché la vendetta di Zefiro sarebbe arrivata presto, implacabile.
E si sarebbe pentito del suo peccato, ma sarebbe stato troppo tardi.
Zefiro era un dio magnanimo, ma anche vendicativo.
E per Hyacinthe sarebbe stato anche crudele.
Che si preparasse al peggio perché niente di ciò che avrebbe potuto immaginare si sarebbe avvicinato a ciò che davvero gli avrebbe fatto passare.

Prima avrebbe distrutto il suo amante, abbandonandolo dietro di sé come un povero cagnolino in autostrada, ignorando i suoi guaiti sofferenti.
Gli avrebbe fatto mangiare tanto di quella polvere che l’avrebbe vomitata per anni.
Avrebbe premuto tanto sull’acceleratore, raggiungendo velocità mai viste prima, che nessuno sarebbe neanche riuscito a vederlo passare.
Avrebbe vinto ancora che qualcuno si rendesse conto che era partito.

Poi si sarebbe occupato di Hyacinthe.
Avrebbe atteso che lui tornasse –perché l’avrebbe fatto sicuramente dopo averlo visto vincere in quel modo, dopo essersi reso conto di quale schifezza si era tenuto accanto- avrebbe ascoltato i suoi pianti, le sue preghiere.
L’avrebbe rassicurato, persino, coccolato.
Gli avrebbe accarezzato i capelli, il viso.
Gli avrebbe asciugato le lacrime.
L’avrebbe baciato, forse, e, forse, l’avrebbe persino accettato accanto a sé per una notte.
Avrebbero fatto l’amore come mai prima.
Hyacinthe avrebbe provato sensazioni mai neanche sfiorate prima.
Sarebbe stata la notte più bella della sua vita.
Poi gli avrebbe chiesto di rivedersi, di rifarlo.
Di cominciare una storia.
E lui gli avrebbe riso in faccia.
Non mi interessano le puttane.
E l’avrebbe cacciato via, per non rivederlo mai più.
Già pregustava il volto stravolto del ragazzo, i suoi grandi occhi lucidi per l’umiliazione subita.
Sarebbe stato fantastico.

Osservò attentamente il semaforo dinnanzi a sé, stringendo le dita guantate sul volante dell’auto da corsa.
La prima fila era sempre un posto fantastico da cui partire.
Accanto a lui, separato da nessuna macchina, Apollo.
S’illudeva di poterlo battere, ma avrebbe avuto un’amara sorpresa.
Nessuno poteva battere Zefiro.

Zefiro, la personificazione del vento.
Come poteva mai essere battuto in una gara di velocità?
Che ci provassero, che Apollo ci provasse.
Non ci sarebbe riuscito.
Poteva essere il più bello, il più apprezzato dal pubblico, certo.
Ma era Zefiro il più veloce.

Strinse meglio le dita.
Quando la luce verde s’illuminò premette interamente l’acceleratore.
L’auto spiccò in avanti con un movimento fluido.
In pochi istanti era il primo, com’era giusto che fosse.
Dinnanzi a tutto, con Apollo dietro, poteva quasi sentire persino i pantaloni tendersi per l’adrenalina, per l’eccitazione.

Dopo il pit-stop era ancora il primo.
A metà gara era ancora il primo.
Al penultimo giro era ancora il primo.

Apollo gli si affiancò appena iniziato l’ultimo giro, con un movimento tale che Zefiro non se ne rese conto finché non l’ebbe accanto.
Sterzando cercò disperatamente di chiudergli ogni possibilità di sorpasso.
Se doveva mandarlo contro il guard-rail per non farlo vincere, l’avrebbe fatto.
Che vincesse Dryanon, che vincesse Nabolski.
Ma Apollo… Apollo non poteva vincere.
Non l’avrebbe mai permesso.

“Zefiro, che cazzo stai facendo?”
Lo assalì la voce metallica nel microfono.
La ignorò.

Sterzò piuttosto rapidamente conto l’auto del compagno, ma lui, con una mossa aggraziata, sgusciò fuori da quella presa, superandolo.
Tagliando il traguardo.

Quasi si gettò fuori dall’auto ancora in corsa.
Avrebbe voluto farlo.
Avrebbe voluto morire lì.
Invece, vigliaccamente, attese che l’auto si fermasse sulla pista prima di uscire.
Le altre auto gli passavano accanto, salutando il pubblico.
Apollo lì, davanti a tutti, trionfante.

Si passò una mano sul viso, avviandosi all’interno dell’edificio.
Ignorò fan, stampa, tecnici, persino il Dirigente di Scuderia.
Ignorò chiunque ed ogni cosa.

Zefiro, il più veloce, il grande, era stato sconfitto da un belloccio.
Sentiva il cuore dilaniarsi alla consapevolezza di quella sconfitta.
Era stato battuto.
Era stato sconfitto.
Era stato umiliato.

Notò appena la spallata che qualcuno gli diede, passandogli accanto quasi di corsa.
Volse lo sguardo, intercettando i capelli castani di Hyacinthe.
Istintivamente lo afferrò per un polso.
Lui si voltò di scatto.

“Lasciami.” Sbottò. “Devo andare da Apollo.”
“Vieni con me.” Ringhiò Zefiro, strattonandolo.

Una preghiera più che un ordine.
Si ritrovò a serrare i denti.
A cosa lo stava riducendo quel ragazzino?

“Devo andare da Apollo.”
Lo strattonò ancora.
“Vieni con me. Ti devo parlare.”
Hyacinthe sospirò, guardando nella direzione in cui stava andando, poi annuì.
“Okay.”

Malamente, Zefiro lo trascinò con sé fino ad una stanza con delle poltroncine.
Lì lo spinse, gettandolo contro una di esse.
Il ragazzo strinse i denti alla botta, socchiudendo gli occhi.

“Che cazzo vuoi, Zefiro?”

Sembrava irritato, ma anche, in fondo, intimorito.
Faceva bene.
Presto Zefiro avrebbe avuto la sua vendetta.
Apollo aveva vinto? Che importava.
Il resto del piano non sarebbe fallito.

“L’ho fatto vincere, sai?”
Una bugia necessaria, per stare bene, per ridarsi un’aria d’orgoglio.

Hyacinthe rise.
“Non pareva.”

A lungo Zefiro non disse più nient’altro.
Rimase fermo, immobile, come una statua.
Come la statua del Dio di cui portava il nome.
Poi, lentamente, si volse verso il castano, che era rimasto fermo.

“Una persona debole come lui non ti merita, Hyacinthe.”
Uno sguardo sorpreso da parte del castano, poi una risata, sprezzante.
“E chi mi merita? Tu?”
“Sì, io!” Fu la risposta, ringhiata attraverso i denti serrati. “Io ti merito. Il migliore ti merita! Non quella sottospecie di modello buono a nulla!”
Ancora una risata, di puro scherno.
“Quella sottospecie di modello buono a nulla ti ha battuto, Zefiro. Direi che tra voi il migliore è lui.”

Bugie.
Soltanto bugie.
Quell’inetto aveva avuto fortuna, nient’altro.
Lui aveva commesso un errore, un semplice fottutissimo errore e lui ne aveva approfittato.
Era tutto lì quello che era successo.
Niente di grandioso, niente di miracoloso!
Non sarebbe successo di nuovo.
Non sarebbe successo mai più.
Mai più.

“E’ stata fortuna. Oggi non ero molto in me.”
Hyacinthe rise, scotendo il capo.
“Ma ti senti? Lo vedi quanto sei vigliacco?” Lo prese in giro, tagliente. “Non riesci neanche ad ammettere la tua sconfitta. E tu saresti il migliore? Ma per favore!”

Lo schiaffo arrivò improvviso per entrambi.
Caricato fin da vicino l’orecchio colpì in un manrovescio la guancia del giovane, con tale violenza che il braccio risultò spalancato alla fine dell’azione.
Zefiro tremava, paonazzo d’ira, con i denti serrati, i muscoli contratti.

“Non osare usare questo tono con me, inutile mortale!”

Hyacinthe espirò, finalmente, tutto il fiato che aveva trattenuto da dopo il colpo.
Portò lo sguardo sul pilota, respirando appena.
Pareva che muovere di più il costato gli facesse male, come se il dolore per lo schiaffo che gli arrossava la guancia si fosse spostato fino al petto.

“Tu sei pazzo.” Soffiò, rialzandosi in piedi dopo che il colpo l’aveva gettato seduto. “Io torno da Apollo, tu sbollisci.”
Zefiro si fissò davanti a lui, afferrandolo per la maglia.
“Tu non andrai da nessuna parte e di certo non andrai da Apollo.” Ringhiò.
Lo spinse, buttandolo di nuovo a sedersi sul divano.
“Lasciami andare.” S’impose Hyacinthe, alzandosi.
La paura che l’aveva assalito era chiaramente visibile attraverso i tremiti del suo corpo.
“Io non ti lascerò mai andare, Hyacinthe.” Rispose il Dio.
Gli prese il viso tra le mani, alzandoglielo, costringendolo in un bacio violento.
Hyacinthe si agitò sotto quel tocco, ritraendosi, annaspando.
“Lasciami andare, Zefiro.” Ripeté.
“Non avrai altro Dio al di fuori di me.” Recitò il pilota con tono fin troppo serio.
“Tu sei pazzo!” Urlò ancora Hyacinthe, dandogli una spinta. “Se proprio vuoi saperlo,” Aggiunse, notando che l’uomo non s’era mosso d’un passo a quello spintone. “il mio Dio è Apollo.”

Zefiro strinse i denti, contraendo ogni muscolo a quell’affermazione.
Prima ancora di rendersene conto le dita si strinsero attorno alla dama di porcellana poggiata sul comò accanto al divano.
Hyacinthe non notò neanche quel movimento, mentre ancora concludeva la frase.

“Allora muori nella tua eresia!” Urlò a voce alta il pilota.
Alzò la statuetta sopra il capo, stringendola tra le dita, poi con violenza la calò sul capo del giovane.
Cranio e ceramica si fracassarono in un comune clamore di cocci.
Hyacinthe crollò sul divano, già morto.

Affannato Zefiro abbassò la mano ancora serrata, osservando il sangue fioccare dall’imponente ferita, rosso come alcuni Giacinti di cui il giovane portava il nome.

“Hyaci- Oh mio Dio.”

Non si volse a vedere Apollo, l’aveva riconosciuto dalla voce.
Non disse neanche niente che potesse giustificarlo.
Un dio non si giustifica.
E poi cos’avrebbe dovuto dire?
Era tutto abbastanza chiaro.

Apollo gli si fermò accanto, osservando attonito il cadavere del giovane.
“Sì, l’ho ucciso.” Avrebbe voluto rispondere Zefiro alla sua muta domanda.
Invece rimase in silenzio.
Dopo qualche istante il biondo si volse verso di lui.

“Diremo che l’hai fatto per proteggermi.” Disse.
Zefiro si ritrovò completamente spiazzato.
“Come?”
“Diremo che lui stava cercando di soffocarmi, tu l’hai visto e hai cercato di liberarmi. Hai fatto la prima cosa che ti è venuta in mente, non ci hai pensato, non volevi ucciderlo.”
Il pilota rimase in silenzio, intontito dalla piega che aveva preso la situazione.
Apollo gli prese il viso tra le mani.
“Hai capito Zefiro? Hai capito cosa dobbiamo dire?”
“S-Sì…” Rispose incerto l’assassino. “Ma perché?”
Perché lo fai? Era la domanda completa, ma non la concluse.
Apollo comprese lo stesso.
“Lottare con te, cercare di strapparti il primo posto, le nostre litigate… sono tutto ciò che mi fa sentire vivo, Zefiro. Io sarei morto senza di te.”

Poteva capire le parole del compagno di squadra.
Non era così anche per lui, in fondo?
Non ricercava anche lui la vita nel continuo brivido dell’essere il migliore?
Non cercava l’adrenalina degli spintoni e dei pugni anche?
Non facevano forse parte del suo essere, la rabbia e la violenza?

Annuì, lentamente, lanciando solo un’occhiata al cadavere.
“Va bene.” Disse. “Chiama la polizia.”

Gli eretici avevano avuto la loro punizione, ma lui, in quanto Dio, non ne sarebbe stato toccato.
Aveva solo fatto il suo dovere.
Doveva usare una scusa per farlo capire, ma il fine non cambiava.
Sarebbe stato un uomo libero.
Com’era giusto che fosse.

Non si imprigionano gli Dei.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 14/10/2011, 13:32




Evvai di pazzia! Siii pare il festival dei malati di mente, ed ioo che credevo che Apollo fosse meglio, questa cosa deve essere contagiosa.
In fondo Hyacinthe non mi piaceva era un deficente, però mi fa strano che alla fine si sia concluso tutto così!
Comunque storia molto bella sul serio splendida, complimenti^^
 
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Sselene
view post Posted on 14/10/2011, 18:02




Ahah, grazie XD Sì, sono tutti un po' folli.
 
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8 replies since 4/10/2011, 15:56   34 views
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