Nocturnales, storico/ arancione

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DesertRose
view post Posted on 5/1/2012, 21:19




Nick autore: Desert_Rose (Florelle)
Titolo storia: Nocturnales
Titolo capitolo: Républicaine
Genere: storico
Avvertimenti: f+f, m+m (accennato), f+m; work in progress
Breve introduzione:9 Termidoro anno II (27 luglio 1794): la caduta di Robespierre segna la fine del Terrore secondo alcuni, la fine della Rivoluzione Francese secondo altri. I protagonisti maschili -i due Robespierre, Couthon, Saint-Just e Le Bas- sono ghigliottinati, ma le protagoniste femminili- mogli, fidanzate, amiche e sorelle- sopravvivono. Così tocca a Elisabeth, Eléonore, Henriette e Charlotte il compito di sopravvivere a quest'ultima tragedia, guardando al futuro e facendo i conti con un passato dolce e pesante.
Questa é la loro storia.
Eventuali note: L’accuratezza storica é al massimo delle mie conoscenze, tuttavia mi sono permessa alcune piccole libertà con alcune date (che segnalerò in dovuto corso); la mia ricerca sta comunque continuando. Poiché alcuni degli eventi citati sono ancora materia di dibattito storiografico, nel racconto la narrazione storica riflette la mia personale interpretazione, fondata su studi e opere storiografiche, ma comunque personale.
Quanto alla toponimia, ho cercato di rispettare il più possibile quella del tempo secondo le fonti in mio possesso, alle volte mi sono limitata a rimuovere, come secondo decreto della Convention national, gli appellativi cristiani dai nomi delle strade e dei luoghi. Per quanto riguarda il calendario, adotterò il sistema della doppia datazione (Calendario Rivoluzionario e Calendario Gregoriano) per facilitare la comprensione delle date.

Grazie per la pazienza.


Républicaine.



“J’aime la liberté ; le sang qui coule dans mes veines, à soixante-dix ans, est un sang de républicaine.”
Elisabeth Duplay, Mémoirs.



Era un primo pomeriggio di primavera quando due guardie vennero a prelevarla dalla sua cella per l’ennesimo interrogatorio. Ebbe giusto il tempo di stringere il piccolo Philippe tra le braccia- nove mesi non ancora compiuti- e ravvivarsi i capelli.

Mentre camminava scortata per i tetri corridoi ammuffiti sentiva gli occhi delle altre sventurate della prigione Lazare posarsi su di lei, sussurrare pettegolezzi o forse offese. Ormai era diventata la storiella più commovente (o più divertente, a seconda delle persone) di tutto il carcere: la giovanissima -sedicenne- madre e vedova, che ad ogni costo rifiutava di dissociarsi dal nome infame del marito. Quasi una piccola Capeto dei poveri!

Cosa voleva ancora l’accusatore pubblico? Ovviamente non avrebbe rinnegato nulla del suo passato, neppure se glielo avessero chiesto altre mille volte. Non c’era più molto che le potessero sottrarre, non aveva più niente.

“Forse mi condanneranno a morte.” Pensò, quasi con un sospiro di sollievo, quando la fecero salire su un carretto, altri due uomini a farle da guardia. Morire non la spaventava poi così tanto, le sarebbe dispiaciuto solo di lasciar solo il suo bambino: non avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderlo lei con le sue stesse mani.

D’altronde era probabile che il nuovo governo (quel manipolo di cani!) non avesse intenzione di ucciderla, la sua vita non era poi così interessante agli occhi dei suoi aguzzini. In fondo, come le avevano detto più volte, era solo “una sfortunata ragazzina che aveva sposato un traditore di secondo ordine.”

Quanto le faceva male attraversare da prigioniera le strade del Faubourg Denis, sapendo che ogni metro l’avvicinava sempre di più a quella che un tempo era stata la sua casa.

Faubourg Honoré, Sezione des Piques. Ebbe un tuffo al cuore riconoscendo gli angoli delle case del suo quartiere, i profili degli edifici così familiari: ogni volta le sembrava che il cuore volesse fermarsi.

La carretta finalmente raggiunse la Senna, l’odore acre del fiume le colpì il naso. Guardò dritta davanti a sé: al di là della riva si ergeva la struttura imponente e spaventosa della Conciergerie. Il Tribunale Rivoluzionario.

Era insolito che l’avessero portata sin là, di solito un ufficiale le poneva le solite domande di rito direttamente nella prigione dove era stata rinchiusa. Al tribunale rivoluzionario, invece, era stata trascinata solo nel giorno disgraziato quando tutta la sua famiglia era stata arrestata, l’estate prima. Le avevano lasciato meno di mezza giornata per il lutto ed il dolore.

Due guardie la fecero scendere, braccandola per le braccia. Pregò che suo figlio non si mettesse a piangere adesso. Guardò in alto le colonne della Cour de Mai, da dove partivano le carrette dei condannati alla pena capitale. Che lugubre spettacolo… Nei giorni di esecuzione ai cancelli ferrati si ammassava il popolo, gridando insulti e spesso lanciando frutta marcia ai disgraziati che attendevano la ghigliottina.

Tremò entrando nei corridoi bui, maleodoranti di muffa e di escrementi. Si udivano qua e là i lamenti dei prigionieri...sì, era infinitamente peggio che a Lazare. Passare solo qualche ora là dentro, pensò, faceva diventare la prospettiva del patibolo migliore. Chissà che orrore, quale disperazione dovevano aver provato Antoine e Maxime nelle ultime ore spese là dentro.. Si fece coraggio, scacciò quel pensiero dalla testa: non voleva immaginare, non voleva ricordarli così.

I due uomini, infine, con mala grazia la fecero entrare in una stanza più illuminata e pulita delle altre. Di fronte a li un uomo sulla quarantina, vestito elegantemente dallo sguardo troppo serio. La fece accomodare e allungò una mano a fare una carezza al bambino. Quell’umanità non le piacque per niente.

L’uomo doveva essere il nuovo accusatore pubblico, quello che aveva sostituito Fouquier-Tinville, un’altra vittima del disastro di Termidoro.

“Cittadina, ti devo interrogare.” Asserì l’uomo con voce grave e impostata. Per tutta risposta lei fece cenno di sì con la testa.

“Confermi di essere la cittadina Elisabeth Le Bas, nata Duplay?”

“Sì, lo confermo, cittadino.” Sospirò.

“Rinneghi” le chiese spazientito, scribacchiando pochi appunti su delle carte ingiallite” il nome di tuo marito, condannato a morte per aver partecipato all’orribile cospirazione del defunto tiranno Robespierre?”

“Non rinnego niente e non lo farò finché sarò viva. E tale cospirazione non é mai esistita.” Nonostante Elisabeth avesse ripetuto quella stessa frase innumerevoli volte, si curò che il suo tono non perdesse di intensità e suonasse grave e solenne.

“É tutto quello che mi occorreva sapere, cittadina.” Concluse l’accusatore con sguardo torvo, aggiungendo ancora alcune frasi. Elisabeth ne osservò i lineamenti, cercando di intuire quale sarebbe stato il suo destino.

“Siete libera, Elisabeth Le Bas. Prendi tuo figlio e vattene da questo posto; qualcuno alla Convention National si ricorda di te.” Non poteva crederci…che scherzo crudele era mai quello? Libera? Libera? “Accompagnate la cittadina alla porta.” Ordinò il magistrato, tornando a lavorare sulle sue carte.

Finalmente erano liberi, lei e il piccolo Philippe! Baciò suo figlio sulle guance e il bimbo le rispose con un gorgoglìo. Il suo bambino non avrebbe passato il suo primo compleanno in carcere!

Uscì quasi correndo dalla Cour de Mai, incurante della gente attorno e corse fino alla spalletta della Senna.

Libertà, libertà…pensava che non avrebbe mai rivisto quel giorno.

Guardò il cielo plumbeo e le venne quasi da pregare una qualche entità superiore.

Dove andare adesso? Cosa fare? Nessuno della sua famiglia era stato ancora liberato. Aveva fame, era stanca, aveva bisogno di un bagno e di un cambio. Decise che per prima cosa sarebbe andata a vedere cosa ne era rimasto della sua casa, lì almeno avrebbe avuto un riparo e forse dei vestiti.

Sfidando il freddo della giornata che declinava e con una ritrovata allegria, serrò ancora più stretto il piccolo al petto e si incamminò lungo il Pont Neuf. A passò svelto, senza fermarsi a riflettere, tirò dritto verso le Halles…passare per les Tuileries sarebbe stato troppo per il suo spirito stanco, troppe memorie felici erano ancora ancorate là. Il tanfo del mercato, le voci della gente, il fango delle strade…tutto le sembrava un ritrovato paradiso. Svoltò a destra, dove in un varco tra le case si apriva Saint-Honoré. Ogni passo l’avvicinava a casa.

“Stiamo, andando a casa, piccino mio.” Sussurrava ad ogni respiro alla sua creaturina. Nulla sembrava essere cambiato da quando aveva lasciato quella via otto mesi prima. E perché avrebbe dovuto cambiare, si chiese con amarezza. La maggioranza della gente, com’era stato dimostrato nel più feroce dei modi, non é molto interessata a chi li governa.

Mano a mano che camminava le sembrava che nella penombra dei tetti e delle piccole traverse un’amichevole folla di fantasmi le venisse incontro facendole coraggio, congratulandosi con lei per la sua ritrovata libertà. Sembrava che la chiamassero, poteva sentire le voci gentili dei suoi cari dirle “Ben tornata a casa, piccola Babette.”

Si ritrovò inebetita davanti alla porta carraia che conduceva alla sua casa. Per un attimo le sembrò che suo marito fosse accanto a lei, le toccasse gentilmente la spalla e la baciasse sulla guancia, sussurrandole “mon amour”. Con un movimento del corpo scacciò quelle visioni di un tempo più felice e varcò l’ingresso, sussurrando a suo figlio:

“Siamo soli io e te, piccolo mio. Ma ce la faremo.” La corte era spettrale, senza l’andirivieni degli operai, senza più fiori nelle aiuole, senza rumore di attrezzi e di gente. Sospirò.

“Chi cercate, cittadina?”un uomo anziano, col cranio pelato e gli occhi miopi la apostrofò con voce dura. ”Che volete? Non c’é più nessuno qui, andatevene!” Un carlino macilento le si avvicinò digrignando i denti, poi si mise a guarire e le si fermò ai piedi..

“Schillichem!” Elisabeth si chinò ad accarezzare il suo cane… era ancora vivo, povera creatura! Le lacrime presero il sopravvento e non riuscì più a fermarle.

“Babette? Babette sei tu?” l’uomo si avvicinò e la guardò meglio… non fosse stato per il cane come avrebbe potuto riconoscere in quella figura emaciata e magra, sporca e malvestita con quel bambino troppo magro e maltenuto tra le braccia la figlia dei loro padroni di casa, la bella e florida giovinetta che era solita scorrazzare nella corte?

“Felicite! Felicite viene fuori!” l’anziano chiamò la moglie con voce rauca.

“Che vuoi, Charles? Lo sai che ho da fare…e tu sempre fuori a non far nulla! Oh, mon Dieu, la piccolina!” gridò un’anziana signora dalle braccia robuste, il petto e la vita coperti da un grembiule pieno di macchie.

“E levati un po’, Charles.” Felicite abbracciò Elisabeth e la riempì di baci, asciugandole le lacrime con la manica della sua camicia. ”Vieni, bambina, vieni dentro.. Ma che bel creaturino che é questo, deve essere il piccolo Philippe. Su, Charles, aprici, la porta.” Entrarono dentro la casetta laboratorio, il cane che seguiva dietro scodinzolando. La fecero accomodare ad un tavolo di legno, vicino all’unica stufa. Felicite si allontanò per servirle un bicchiere di vino corpulento.

“Non pensavo che ti avremmo più rivista, piccolina. Che cos’é successo?”

“Non lo so. Ci hanno liberato stamattina. Io non ho rinnegato niente, niente!” precisò, sentendo che quella era la cosa più importante. Charles si accomodò a sedere

“Anche se tu lo avessi fatto, ne sarebbe valsa la pena, anche solo per salvare il tuo bambino.” La rassicurò Charles.

“Via, via, non son discorsi da fare questi. Ma dov’é tuo padre Maurice? Ed i tuoi fratelli? E la tua buona mamma?” la incalzò Felicite. Nessuno si era più visto dai giorni tremendi dell’estate scorsa…e coi tempi che correvano non c’era certo da sperare in niente di buono. Babette si prese la testa con una mano e le lacrime ricominciarono a scendere.

“Maman é morta. Ce l’hanno ammazzata.” Singhiozzò.

“Come? Sacre-coeur du Marat! Chi é stato?” sbottò Charles, battendo un colpo sonoro sul tavolo.

“Via, Charles, ce lo racconterà quando ne avrà le forze, povera piccina.” La donna si allungò ad accarezzare i capelli della giovane. ”Via, Charles, torna al tuo lavoro che noi donne abbiamo bisogno di stare un po’ da sole.” Quando Charles ebbe lasciato la stanza, Felicite si sedette e prese la mano della giovane.

“Hai fame? Hai mangiato?”

“Non c’é molto cibo nelle prigioni.”

“Neanche in città, te lo assicuro.” Si lamentò Felicite. ”Ovviamente non é cambiato niente.” La donna si alzò di nuovo, incapace di stare ferma. Avvicinò una pentola dell’acqua alla stufa, poi dalla madia prese un pezzo di pane rinsecchito e lo mise davanti alla sua ospite.

“Che ne é stato della nostra casa? Ci posso tornare?” chiese ansiosa Elizabeth, cullando Philippe che pareva essere inquieto.

“Domani, quando si farà giorno, andremo a vedere. Alcuni uomini della Sezione hanno inchiodato la porta con delle assi pesanti, sai, per paura che qualcuno entrasse dentro a rubare. Ma dopo il vostro arresto gli scagnozzi del Comitato sono rimasti giorni a frugare dappertutto, non so cosa stessero cercando. Hanno perquisito anche casa nostra..che speravano di trovare? Noi non abbiamo nulla.” Si lamentò Felicite, con le mani sui fianchi.

“Prove che non esistono. Documenti. Lettere private.” Borbottò Babette, pensando con tristezza che sicuramente dovevano aver preso tutte le lettere che suo marito le aveva spedito quando erano ancora fidanzati. ”Io e mio figlio abbiamo bisogno di un tetto dove stare.”

“Potete rimanere qui da noi, almeno finché la situazione non sarà un po’ migliorata. Almeno finché tuo padre non sarà libero.” Che poteva essere fra due giorni, un anno o mai, pensò Elisabeth.

“Sai com’é in questi mesi Charles e alcuni uomini della Sezione, quelli rimasti fedeli, intendo, così come alcuni giacobini hanno cercato di aver notizie di voi, ma niente, non c’era verso di sapere nulla. Ma magari adesso le cose cambieranno.”

“Mi é arrivato all’orecchio che hanno chiuso la Societè des Jacobins.” Mormorò Elisabeth.

“Sì, lo scorso autunno. Ma, sai com’é, non si può cambiare il cuore della gente con un decreto.” Felicite ammiccò facendole capire, a gesti, che, sì, potevano aver chiuso il club, ma la gente in qualche modo continuava a riunirsi.

“Avrò anche bisogno di un lavoro, per sfamare me e Philippe.” Continuò Elisabeth, non era sicura di sentirsi ancora pronta per la politica.

“Come ti dicevo, la situazione in città va sempre peggio. Mio marito non ha che poche commissioni. Chi vuoi che faccia restaurare o costruire mobili se la gente non ha neppure di che vivere? Io la mattina scendo alla Senna a lavare i panni dei più ricchi. Sarei dovuta essere là oggi, ma la fila per il pane era troppo lunga. Mia nipotina Libertè é giù al fiume con suo fratello e alcune donne del vicinato, dovrebbe tornare a casa a momenti.”

“Andrò anch’io domani con te, porterò Philippe dietro. Il fiume non può essere più pericoloso del carcere.” Si consolò a voce alta.

“Povera piccolina… Vieni, ti ho scaldato un po’ d’acqua per sciacquare te ed il bambino.” Felicite la invitò a seguirla in una camera buia. L’anziana versò l’acqua in un bacile tiepido e invitò la giovane a darsi una ripulita, mentre dall’armadio lei tirava fuori alcune vecchi vestiti per avvolgere Philippe. “Al bambino ci penso io… come é magro, poverino.”Commentò Felicite.”Chissà quanto avete sofferto.”

“Mi dicevi che non c’é pane per nessuno, forse la mia situazione non era così tanto differente.”

“La situazione peggiora di giorno in giorno. Non c’é cibo, manca tutto, la gente é scontenta ed il governo é repressivo. Hanno scatenato bande di perdigiorno che vanno in giro bastonando la gente onesta. E intanto i signori del nuovo governo vivono nell’agio e non manca loro niente… almeno prima c’era la consolazione di avere al governo gente che viveva come noi, che soffriva come noi. Mi ricordo quando al pomeriggio il cittadino Robespierre usciva per la sua passeggiata con tua sorella Eléonore e si fermava sempre a salutarci, a chiederci come andassero le cose. Per non parlare di tuo marito poi, che era sempre gentile, sempre sorridente sempre pronto ad aiutarci se ne avessimo bisogno.” Felicite notò che la sua ospite si era intristita per i suoi argomenti e rimase in silenzio, finendo di cambiare il piccolino. Che carattere dolce che aveva quel bambino! Fin'ora non aveva mai pianto, anche con lei si era dimostrato socievole. Aveva preso il meglio della madre e del padre, decisamente.

“Su, piccina, su. Mettiti uno dei vestiti di mia figlia, ti dovrebbero andare bene.” Le disse, accennando con il capo ad un vestito verde chiaro che aveva lasciato sul letto.

“Dov’é tua figlia?” le chiese Elisabeth, mentre si vestiva dell’abito pulito. Che bella sensazione potersi finalmente lavare con acqua non gelida e vestire decorosamente.

“La morte se l’é presa il mese scorso.” La informò Felicite. ”Suo marito é morto durante le insurrezioni, raggiunto da due colpi di baionetta. Lei non ha retto il dolore.”

“Mi dispiace moltissimo.” Si rammaricò Elisabeth, posando lo sguardo sul pavimento.

“É stata egoista, mi ha lasciato con quei due poveri bambini. Ed io e Charles siamo ormai vecchi e stanchi, per star loro dietro.” Sospirò Felicite. “Libertè sarà contenta di avere una nuova sorella maggiore con cui parlare.” Scherzo la donna, cercando di trovare un sorriso.
 
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NonnaPapera!
view post Posted on 6/1/2012, 11:43




Wao O.O impressionante, ti sei sobbarcata un lavoro di ricerca storica non indifferente e devo anche dire che l'idea non è per niente male,anzi comlimenti.
Mi piace molto come scrivi e questo primo capitolo l'ho trovato molto bello. Ora attendo il resto
 
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1 replies since 5/1/2012, 21:19   82 views
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