Oro e Sangue, Partecipante al contest "Amore e Morte"

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Mirai
view post Posted on 10/6/2012, 22:41




Nick autore: Mirai
Titolo storia: oro e Sangue
Genere: Angst
Avvertimenti:
Rating:giallo/arancio
Breve introduzione: Chi dice che un Drow non può amare? Quando i suoi occhi si posano sulla creatura più bella della terra persino il cuore di un guerriero sanguinario può cominciare a battere più forte...
Eventuali note: Partecipante al contest "Amore e Morte" di Aborted666
Citazioni: Ogni uomo uccide qualcosa che ama - Quando un amore è la nostra vita, che differenza c'è tra vivere insieme e morire insieme?




Moril sospira lentamente. La luna in cielo si è fatta più pallida, segno che ormai la notte sta per finire.
Le sue iridi rosse scrutano l'orizzonte, cercando i primi raggi del sole, ancora evanescenti, poi abbassa lo sguardo sull'elfo che giace sul prato con lui, la tesa appoggiata al suo grembo. Con delicatezza passa una mano tra i fini capelli dorati sparsi sull'erba color smeraldo. Nessun gioiello potrebbe essere più brillante e delicato di quell’ondulato ricamo. La sua mano si sofferma a sfiorare il profilo delicato delle labbra piene e sensuali, che gli danno un espressione perennemente imbronciata. La pelle serica dell’elfo sembra avorio, in contrasto con quella color ebano della sua mano.
E’ bello, pensa. Gli elfi silvani sono noti per la loro bellezza, è vero, ma Esthar ha qualcosa di più. Qualcosa che colpisce, che spinge a voltarsi per concedergli una seconda occhiata. E’ come una magia che ti trafigge, ti entra sotto la pelle ed avvolge le sue spire attorno al tuo cuore e alla tua mente fino a diventare la tua sola ossessione.
Moril sospira di nuovo, stiracchiandosi ed appoggiando la schiena all’albero dietro di sé. La posizione non è delle più comode ma non vuole cambiarla. Il peso della testa di Esthar sulle proprie gambe è rassicurante. Gli accarezza di nuovo i capelli, tornando a guardare il cielo.
La sua coscienza si smarrisce lentamente tra le pieghe dei ricordi…

Odia il sole.
Odia il giorno in generale e soprattutto odia la superficie.
Vorrebbe tornare a rintanarsi sotto terra, al villaggio dei Drow, ma per quel giorno è meglio evitarlo. Il vecchio regnante è morto ed i suoi figli si stanno scannando per decidere chi salirà al trono. Non che gli dispiaccia assistere ad un bello scontro a sangue, ma vista la spiccata tendenza dei Drow a coinvolgere nelle loro battaglie chiunque possa fare loro da scudo umano, è meglio starsene lontani finché la situazione non si è calmata. Non è certo l’unico ad essersi allontanato dal villaggio.
Moril sibila un’imprecazione tra i denti, fa dannatamente caldo. Rivoli di sudore gli scivolano lungo il collo e la schiena. Comincia a pentirsi di aver portato con se arco e frecce, nella speranza di cacciare qualcosa. Si sta rivelando solo un peso inutile e fastidioso. La faretra di cuoio sfrega dolorosamente contro la pelle umida e la sua vista, imbattibile di notte, è troppo delicata per riuscire a sopportare la luce del sole.
Si fa largo tra i cespugli seguendo il rumore di un ruscello, nella speranza di riuscire almeno a placare la sete che lo attanaglia.
È in quel momento che lo vede.
Tra schizzi e schiamazzi un gruppo di giovani elfi sta facendo il bagno in un piccolo laghetto. È una profusione di corpi candidi e capelli dorati. All’apparenza sono tutti uguali, ma il suo sguardo viene attratto da uno in particolare. Si tiene lontano dagli schizzi, muovendosi con estrema eleganza nell’acqua che gli arriva poco sopra i fianchi.
Moril sente la salivazione aumentare e sconcertato si rende conto che sta maledicendo mentalmente le piogge degli ultimi giorni che hanno alzato il livello di quel maledetto laghetto.
I capelli dorati dell’elfo, scuriti dall’acqua, sono appiccicati alla sua schiena, disegnando sottili arabeschi simili a tatuaggi. Ride, in risposta a qualcosa che gli è stato detto e scuote la testa, scostandosi una ciocca di capelli che gli si è incollata alle labbra.
Una visione.
Ogni suo gesto sembra trasudare un inconsapevole erotismo che risveglia in Moril quell'istinto più selvaggio ed oscuro che è comune ad ogni uomo, elfo o animale.
Muove qualche passo per avvicinarsi. Sa di aver osato troppo quando uno degli elfi, con un grido, avverte gli altri della sua presenza. E’ un attimo ed il laghetto si svuota, mentre i giovani, afferrati i loro vestiti, spariscono tra gli alberi. Tutti, meno uno. L’elfo su cui ha messo gli occhi non si è mosso, colto di sorpresa forse. Quella mancata reazione conferma la sua giovane età. Moril avanza ancora, gli occhi del giovane sono velati di una vaga apprensione ed i suoi muscoli sono tesi come corde di violino, ne può vedere la forma al disotto della pelle diafana. Ad un ulteriore passo l’elfo indietreggia, incespicando nell’acqua, come a voler fuggire.
Moril aggrotta la fronte, poi si ricorda che è armato. Forse è quello a spaventarlo.
Allenta la presa sull’arco, lasciandolo casere sull’erba, si sfila anche la faretra, appoggiandola lì accanto, poi solleva i palmi delle mani verso l’alto, come a volergli mostrare che non ha con sé nient’altro.
Rassicurato, l’elfo abbandona il suo tentativo di fuga avvicinandosi alla riva ed appoggiando le braccia ad una roccia, osservandolo.
Il suo sguardo curioso è come una carezza. Anche senza guardarlo sa che lo sta osservando da capo a piedi. Lo sente soffermarsi sui capelli, rasati ai lati della testa e raccolti in una lunga treccia candida i restanti. Sa che sta lasciando scivolare lo sguardo sulle spalle muscolose, su quella pelle color dell’ebano, lucida di sudore. Sostiene il suo sguardo di smeraldo quando alla fine decide di guardarlo negli occhi e quello che ci legge gli fa ribollire il sangue. Deve fare uno sforzo per trattenersi al saltargli addosso e farlo suo come una fiera con la sua preda. Lussuria.
Sembra che gli elfi silvani non siano poi così algidi come si dice, pensa, mentre la sua preda lentamente esce dall'acqua, prende uno dei teli abbandonati lì e lo usa per asciugarsi. E' consapevole che lui non si perde un movimento e ne sembra quasi compiaciuto. E’ civettuolo, quasi come una ragazzina.
Gli volta le spalle, stringendosi nel telo e negandogli la vista di quel serico corpo, reso lucido dall’acqua.
La brama di averlo ha la meglio su tutto; due falcate silenziose e lo raggiunge, afferrandolo da dietro, stringendolo tra le braccia possenti. Lo sente sussultare, lasciarsi sfuggire un mugolio sorpreso. Non se lo aspettava.
Con uno scatto animalesco Moril lo butta per terra, salendogli a cavalcioni e stringendogli i polsi, per impedirgli di ribellarsi. Incatena di nuovo lo sguardo al suo, è tornata quell’ansia vaga di poco prima. E’ così giovane…
Se così non fosse stato avrebbe saputo che non bisogna mai stuzzicare un drow e poi voltargli le spalle.
Gli sorride, quasi a volerlo rassicurare, anche se più che un sorriso è un ghigno da predatore. Si abbassa su di lui affondando il viso nell’incavo del suo collo ed inspirando bramoso il suo profumo. E’ dolce come il miele e la vaniglia, mischiato al fogliame del sottobosco. Morde quella pelle candida, curioso di sapere se ne ha anche il sapore. Un gemito strozzato gli risuona nelle orecchie, ma non ci fa troppo caso. Sa di non aver morso tanto forte da fargli male. Quella dell’elfo è sorpresa, eccitazione, forse. Di certo non è dolore. Segue con la lingua i contorni del segno rosato; è un po’ deluso dal sapore di quella pelle, morbida come panna, che non ha nulla di speciale. Prosegue seguendo il contorno della gola soffermandosi sul pomo d’adamo, appena visibile. Un ansito strozzato ed un fremito di inconfondibile piacere fanno eco a quelle umide carezze. Non si è sbagliato sulla lussuria che ha letto in quegli occhi smeraldini; lentamente gli lascia un polso. Trema, il giovane elfo, ma non si ribella. Moril solleva la testa per guardarlo. “Come ti chiami?”, chiede, parlando per la prima volta.
Il giovane elfo sospira, come a riprendere fiato. “Esthar”, risponde poi.
“Esthar.”
Moril ripete quel nome, assaporandolo. Gli da una bella sensazione.
Si avventa poi famelico sulle labbra rosee del giovane, che sanno di bosco e di fragole; le mani intanto strappano via il telo che avvolge quel corpo acerbo ma incredibilmente sensuale, gettandolo lontano ed alzandosi per ammirare Esthar nella sua totale nudità.
Lascia scorrere lo sguardo sulle spalle e sul petto che si solleva e si abbassa frenetico come quello di un passerotto. Il volto pallido si è colorato di un delizioso rossore, le labbra sono gonfi e umide come ciliegie mature. Dei onnipotenti, pensa, è da mangiare…
Lo sguardo scivola verso il basso, accarezzandone i fianchi stretti e scoprendo con la gioia di un infante davanti ad un regalo, la dorata peluria che serica si arriccia dolcemente verso il bassoventre, venendo poi nascosta dalla mano del giovane che vergognosamente è andato a coprire la propria intimità in un flebile baluardo di pudore.
Moril non resiste oltre e si avventa su di lui, strusciandosi contro quella pelle d’avorio, baciando e mordendo, strappando ad Esthar dei gemiti decisamente soddisfatti.
Poi l’’elfo lo ferma con poche parole. “Verranno a cercarmi…”, ansima, preoccupato.
Moril si ferma. Già, i suoi compagni si sarebbero accorti presto della sua mancanza. Non era il caso di farsi trovare a…
Beh, probabilmente i casti elfi avrebbero pensato ad uno stupro e lo avrebbero giustiziato sul posto, pensa amaramente.
Si raddrizza, guardando con rimpianto il giovane elfo che striscia via, recuperando il telo.
Ecco, pensa. Ora scapperà e non lo vedrà più.
Esthar si avvolge nuovamente nel telo, afferrando i suoi vestiti poco più in là e muove qualche passo verso il bosco. Poi si ferma, voltandosi a guardare Moril da sopra una spalla. “Domani sera, dopo il tramonto. Qui”, sussurra, prima di dileguarsi nel fogliame.
Il cuore di Moril fa una capriola, mentre l’emozione sale a stringergli la gola. Si lecca le labbra, prima di raccogliere il suo arco e le frecce ed allontanarsi dal laghetto.

Ci torna, la sera dopo, ansioso. Ha passato tutto il giorno a tormentarsi, troverà davvero l’elfo, o è stata solo una breve illusione?
I suoi timori svaniscono in un attimo, appena mette piede nella radura. Eshtar è seduto su una roccia, accanto al laghetto. La luna regala una sfumatura argentea alla sua pelle e ai morbidi riccioli biondi che circondano il suo viso. I vestiti di pelle color verde e oro che fasciano strettamente il suo corpo lo rendono addirittura più sensuale del giorno prima.
Non lo lascia nemmeno alzare dalla roccia, gli si avventa contro, trascinandolo sull’erba e strappandogli i vestiti di dosso. Sente dal suo odore, sempre dolce, ma con un sentore acre e selvaggio, che Esthar è eccitato quanto lui.
Non ci pensa due volte a farlo suo, sotto la luna piena, marchiandolo a fondo. Suo. Suo…
C’è un’alchimia strana tra loro due, come se fossero destinati ad attrarsi.
Lo prede più volte, quella stessa notte, con i versi degli animali notturni che si mischiano ai loro gemiti.
Quando alla fine Moril si alza per rivestirsi non può fare a meno di soffermarsi ad osservare incantato Esthar, che giace esausto sull’erba. La pelle sudata sembra brillare di luce propria, gli occhi socchiusi sono lucidi e languidi. Un leggero incurvarsi delle labbra, uno stanco sorriso, è sufficiente a far battere più veloce il cuore del drow. “Domani?”, chiede, speranzoso.
“Domani”, conferma l’elfo con un filo di voce, tirandosi cautamente a sedere per rivestirsi. E’ dolorante, e si vede. Moril ammette con sé stesso che forse ha esagerato. Si abbassa per aiutarlo a vestirsi, poi lo prende tra le braccia, incamminandosi. Lo sente sospirare di sollievo ed accoccolarsi contro il suo petto. Il un moto di tenerezza, di cui non si sarebbe mai creduto capace, Moril china la testa per posargli un bacio tra i capelli.
Lo lascia infine al limitare del territorio degli elfi; non può sconfinare oltre, la sua presenza verrebbe notata. Ogni suo pensiero, mentre torna al suo villaggio, è rivolto alla sera successiva.

Ogni sera, ogni notte, quel rapporto proibito si consuma, a volte nella passione, a volte nella lussuria, a volte semplicemente in una dolce tenerezza.
Eshtar è un sole, una divinità reincarnata. Nessun elfo può essere tanto bello e sensuale.
Poi tutto ad un tratto le cose smettono di andare per il verso giusto. Moril lo sente, avverte un cambiamento nell’aura fulgida che sembra avvolgere Esthar. Si fa più fioca. L’elfo appare sempre più pensieroso. Fino a che non gli rivela il motivo di tanti pensieri...

“Non possiamo più vederci”, la voce di Esthar trema appena, mentre pronuncia deciso quelle parole difficili.
Moril lo guarda; non muove un muscolo ma quelle parole hanno avuto l’effetto di una pugnalata, dilaniandolo dentro.
“Perché?”, chiede.
L’elfo sospira, avvicinandosi ed appoggiandogli una mano al petto. “Hanno scoperto…”, un altro sospiro dolente. “Hanno scopeto che ci incontriamo, di notte. Non so se hanno idea di quello che facciamo, ma frequentare un drow è già abbastanza…”
“Sconveniente”, Moril conclude la frase per lui, afferrandolo per le braccia. “Non importa. Vieni via con me, andiamocene lontano da qui e agli inferi tutto il resto.”
“No…”, Esthar si libera dalla sua presa, indietreggiando. Gli occhi verdi brillano di lacrime trattenute. “E’… è già deciso. Mio padre mi ha imposto di allontanarmi da qui, andrò a stare da alcuni parenti, ad ovest.”
Moril stringe i pugni, mentre cerca di mantenere la calma. “Quindi hai già deciso tutto, vero? Così poco vale per te la nostra storia?”
Le lacrime traboccano, bagnando le guance pallide dell’elfo. “Tu… Non puoi capire. La tua ossessione svanirà non appena sarò lontano. E’ la natura dei drow. E’ il mio cuore che continuerà a sanguinare in eterno. Sono io tra noi due quello che sta perdendo tutto!”, mormora a scatti, scosso dai singhiozzi.
Moril viene percorso da un moto di rabbia. Eccola, l‘arroganza tipica degli elfi. Quello che prova lui è ossessione, tra i due è solo Esthar che soffre. Ovviamente, pensa sarcastico. “Non puoi lasciarmi, non te lo permetto!”, sibila rabbioso.
L’elfo scuote la testa, come se avesse a che fare con un bambino ottuso. “Non puoi decidere tu per me”, mormora sofferente, voltandosi per andarsene. Così, senza aggiungere altro.
E’ quel gesto, quel voltargli le spalle che manda Moril su tutte le furie. Non può andarsene. Non può vivere senza di lui, non può…
Con un rapido movimento afferra il suo arco ed incocca una freccia. La corda si tende, la punta d’acciaio freme contro al legno. Esthar non si è accorto di nulla; non è consapevole del fatto che Moril sta mirando al suo cuore. Che non appena allenterà la presa la freccia lo trapasserà senza nemmeno dargli il tempo di rendersene conto…


Moril torna improvvisamente in sé quando il sole decide di farsi vedere, ferendo i suoi occhi con i primi raggi. Abbassa lo sguardo, sibilando un imprecazione tra i denti quando si rende conto che il sangue sta inzuppando i dorati capelli di Esthar. Lo solleva tra le braccia, alzandosi, e raggiunge il laghetto, sciacquandoli nell’acqua. Non vuole che nulla deturpi l’eterea bellezza del suo amato. Ha atteso perché voleva rivederlo ancora una volta alla luce del sole.
Sospira sofferente, mentre si alza, stringendo l’elfo. Non poteva fare altrimenti, si ripete, non poteva permettergli di abbandonarlo.
Si inoltra nella foresta ed imbocca uno dei cunicoli che portano sotto terra, ma non si dirige verso la città. Prende la strada che va nella direzione opposta e che porta alle vecchie cripte in cui in passato venivano sepolti i guerrieri caduti in battaglia. Ora sono perdute, dimenticate, nessuno vi si avventura più, le sole luci che illuminano i cunicoli sono quelle che arrivano dalla superficie, riflesse dai cristalli che ricoprono le pareti e che si fanno via via più fioche. Quando infine vi arriva, fatica non poco ad azionare una delle leve che, con un sistema di pesi, smuove la grossa roccia che fa da porta, ma ci riesce e si addentra, in quell’antro che sa di polvere e vecchie ossa. L’odore della morte.
L’interno è ben diverso dai cunicoli esterni, pavimento e pareti sono ricoperti di prezioso marmo nero, elegantemente intagliato. Sono tombe degne di grandi re e guerrieri, in fondo.
Adagia dolcemente Esthar sul freddo marmo, accarezzandogli delicatamente i capelli prima di tornare all’apertura del sepolcro. Non ha esitazione nel tirare la leva e sgusciare di nuovo all’interno prima che la pietra che sigilla la grotta ricada pesantemente al suo posto. Gli sembra quasi di risentire la voce di sua madre quando, da piccolo, gli diceva di stare lontano dalle tombe. “Non andate a giocare il quei posti! Sono pericolosi. I meccanismi di chiusura hanno secoli, se rimanete chiusi dentro rimarrete senz’aria e nessuno vi troverà più.”
Il buio è improvviso, ma Moril vede perfettamente anche in assenza di luce. Raggiunge il piano di marmo e si sdraia accanto a Esthar, gli cinge la vita con le braccia ed attende con placida rassegnazione che l’aria all’interno della cripta si esaurisca.
Perché, in fondo, quando un amore è la nostra vita, che differenza c'è tra vivere insieme e morire insieme?

Edited by Mirai - 11/6/2012, 18:43
 
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