Warlord, Partecipante alla challenge la fantasia delle coppie

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MaelstromDawn
view post Posted on 31/7/2013, 22:55




Nick autore: MaelstromDawn
Titolo storia: Warlord
Genere: sovrannaturale, guerra, drammatico, dark
Avvertimenti: violenza
Breve introduzione: Il demone gli ripulì il sangue dagli angoli della bocca prima di poggiare le labbra sulle sue. Non era mai piacevole baciare Shylock quando era nella sua forma naturale, tutto quel fumo e quel calore insopportabile, Julian si allontanò tossendo e provocando in lui una nuova risata.
Una folata di vento portò via il fumo scoprendo il volto che aveva incontrato quella notte sull’autobus, il volto umano di Shylock.
I capelli neri gli arrivavano fino alla grossa cintura, lisci e ricoperti di fuliggine, sembravano fili di carbone e scurivano ancor di più quelle sue guance scarne sotto gli zigomi prominenti.

Julian lo amava, e centrava poco il fatto che l’avesse salvato, se anche l’avesse ucciso, lì, in quello stesso momento, l’avrebbe amato comunque.
Eventuali note: Bingen e Amantini sono parte di nomi di esorcisti realmente esistiti (Ildegarda si Bingen e Candido Amantini). Tutti i luoghi e le date citate e collocate in Vietnam corrispondo a battaglie realmente esistite (O a pochi giorni prima o a pochi giorni dopo) anche il Comandante Willoughby è realmente esistito e, sì, stava proprio in quel bunker.
Il 7 giugno 1944 è il giorno dopo lo sbarco in Normandia, la battaglia si stava protraendo ancora.
Alla vista della parola gargantuesco non ho potuto esimermi dal citare Elle Driver.
La Lancia di Longino è, secondo la leggenda, quella che ha ferito il costato di Cristo.
Alaric (Alarico) significa “colui che regna”.
L’esorcismo finale non è una formula realmente utilizzata (è un po’ complicatuccio trovarne in giro) ma è presa dal telefilm Supernatural (Devil Trap 1x22).
Chiedo scusa se queste note, e anche un po’ tutta la storia, risultano scombussolate, non credo di aver mai portato a termine una storia in così poco tempo, considerato che fino a ieri ero ferma a tre pagine.
Ho usato uno stile sperimentale, con molte pause, le virgole prima delle e congiunzione sono volute.
Buona lettura, spero ^^



Warlord





16 ottobre 1989, Milano.

Padre Bingen avrebbe di gran lunga preferito raggiungere il suo letto in sagrestia, e magari anche concedersi un goccetto prima di chiudere gli occhi. Se la sua fede e la sua devozione non fossero state incrollabili probabilmente si sarebbe finto addormentato.

«Perché non sei nel tuo letto a dormire, fratello?» aveva domandato appena varcato il portone. Rimpiangeva quasi di aver rifiutato quelle guardie che la curia gli aveva proposto.
«Non ne sono più capace» borbottò l’anziano signore sul sagrato. Sembrava quasi un bambino, così, chino nel suo soprabito di buona fattura.
Lo invitò ad entrare tenendogli aperta la possente porta in legno. Se il vescovo l’avesse sorpreso a lasciare entrare estranei nel duomo la sua reputazione non sarebbe servita a nulla, ma Padre Bingen non aveva mai fatto molto caso alle regole degli uomini in Terra.

«Prego, si accomodi». Il vecchino scivolò, silenzioso come un gatto, nella stretta cabina di legno.
«Da dove vuole cominciare?».
Gli occhi chiari dell’anziano scintillarono nel buio «Non mi è mai piaciuta questa chiesa» il prete sbuffò appena, ma non lo interruppe neanche per dirgli che quello era un duomo.
«C’è così tanto fuori, uno sfarzo, una bellezza, e poi» scostò la tenda di vellutino crema per guardarsi intorno «non c’è niente dentro, è spoglia. È tutta apparenza. Secondo questa chiesa, io che sono vecchio e cadente non sono nulla». Fece per ribattere, ma il vecchio non gliene lasciò il tempo «Comincerei dal 1968» dichiarò con tono più cupo.

«È molto tempo fa» esalò il prete sempre più pentito di aver aperto il portone.
«Mi creda, potrei cominciare da molto prima, Dio solo sa quand’ho commesso il primo peccato» socchiuse gli occhi in un sorriso «Ogni mio passo su questa Terra è peccato, ma non è assoluzione ciò che cerco».
Padre Bingen sobbalzò sul suo sedile di noce, cominciava a credere che il vescovo avesse ragione ad essere timoroso. Sfiorò il crocefisso d’argento che portava al collo, gli faceva piacere averlo indosso, gli aveva salvato la vita ben più di una volta.
«E che cosa vorrebbe?» domandò curioso e incerto.
Il vecchio parve tornare serio «Liberazione, è così che dite voi, no? Liberare. Non vi era nessuno che le fosse pari. Voglio la libertà». Non sapeva se il fumo nero attorno a quegli occhi di un grigio tanto chiaro fosse di lacrime o di rabbia, non si poteva mai sapere con un demone.

«Qual è il tuo nome?» chiese con noncuranza.
Rise, stanco e roco come se fosse vecchio davvero «Non bruciare le tappe, Gabriel. Puoi chiamarmi Shylock».
Padre Bingen non si spaventò troppo «Shylock? Mi aspettavo qualcosa di più altisonante» commentò sarcastico.
La risata antica del demone risuonò ancora nel bugigattolo di legno «Avrei voluto chiamarmi Thanatos o Belial, ma ci sono nomi a cui va portato rispetto, alla corte dei dannati» spiegò, confessando senza remore di essere soltanto un pesce piccolo.
Sorprendente come l’ultimo dei diavoli sembrasse un dio, una volta sceso in Terra.

«Ma perché proprio Shylock?» chiese il prete, divertito da un satanasso che leggeva Shakespeare.
«Questa è una domanda che fa al caso nostro» commentò il vecchio «La prima volta che vi diedi risposta fu proprio nel 1968».
Socchiuse gli occhi, come se quei ricordi fossero offuscati da una cortina di fumo «Era il 18 maggio 1968, a Da Nang, e io stavo prendendo un autobus» ridacchiò fra sé e sé «In realtà stavo prendendo il Tenente Colonnello Dunaway. Era una mattina sorprendentemente limpida, per essere in Vietnam.
Garey Dunaway non era un uomo particolarmente scaltro o prudente, ma era sopravvissuto a due attacchi e aveva capito che non gli conveniva restare solo. Per questo quella mattina lo trovai su un autobus, era convinto che lì non potesse essergli fatto alcun male.
Sa, Padre, trovo divertente che gli uomini si sentano protetti nei luoghi affollati» i suoi occhi scintillarono d’ilarità, Gabriel Bingen non era sicuro di apprezzare il fatto che non lo ritenesse un uomo comune.
«Si possono dire tante cosa sulla nostra gente, ma non che manchiamo di pazienza».
Il prete si ritrovò ad assentire «Per questo mi chiedo quando smetterai di giocare e ti prenderai ciò che vuoi». Non aveva paura, ma quella conversazione cominciava a irritarlo.
«Non bruci le tappe» ripeté il demone «Le ho già detto che non sono qui per divorarla» sbuffò, e il fumo nero si spinse oltre la grata.

«Eravamo su un autobus, nel 1968».
«A Da Nang» lo interruppe il religioso.
«A Da Nang» confermò, non gli piacevano le intromissioni.
«Garey Dunaway pensava di sfuggirmi, ma all’ultima fermata l’autobus rimase vuoto – la pazienza, dicevo – restava solo l’autista; era un simpatizzante di Ho Chi Minh, che sfortuna. Guardò tre volte nello specchietto, ma non fece nulla.
Sa, anche Garey Dunaway mi chiese chi fossi. “Shylock”, dissi allora.
“L’usuraio? E cosa vuole da me?” non si può dire che non avesse coraggio.
“Cosa voglio?” era facile da immaginare “Una libbra della tua carne”. Ero molto più teatrale all’epoca.
“Non dovrai versare nemmeno una goccia di sangue, allora”, era piuttosto colto, va detto. Una grande commedia “Il mercante di Venezia”, molto ispirante.
“Nemmeno una stilla” gli assicurai, non mentivo. Ha mai guardato nella bocca di un demone, Padre?» non gli lasciò nemmeno il tempo di pensarci «Siamo creature di fumo, la caligine è il nostro abito, e in gola abbiamo il fuoco» sbadigliò, non è che ne avesse bisogno, ma Gabriel poté vedere le sue fauci grigie illuminate da un bagliore arancio.
«Il morso di un demone non versa sangue, la ferita è cauterizzata all’istante. Mi sono preso una libbra di carne e quella sua anima sudicia, non aveva nemmeno un buon sapore.
Garey Dunaway fu il mio primo pasto in Vietnam. Se lo ricorda il Vietnam, Padre?».
Lo ricordava, eccome se lo ricordava.


Era il 9 giugno 1966, a Dak To. In una valle a pochi chilometri di distanza, tre giorni prima, la compagnia Charlie, impiegata nell’operazione Hawthorne, si faceva arrostire con il napalm pur di abbattere qualche vietcong.

Era stato allora che Monsignor Amantini l’aveva inviato in Vietnam.
Era una piovosa mattina di giugno, ma d'altronde la pioggia non era una novità da quelle parti. Aveva visto qualche foto nelle riviste di paesaggistica, c’erano foreste lussureggianti di un bel verde smeraldo, distese scintillanti di risaie e piane di terra bruna punteggiate di capanne.
Se fosse stato uno sprovveduto avrebbe pensato di aver sbagliato aereo.
Non vi era più alcuna traccia di verde, solo fumo, una montagna nero carbone che inghiottiva ogni raggio di luce.

Il militare che l’aveva scortato nel suo alloggio aveva sorriso ironicamente «Se è qui per dare l’estrema unzione finirà presto l’olio, Padre». Gabriel Bingen si era limitato a sorridere.
Monsignor Amantini era stato molto chiaro: “massima discrezione”, erano le sue parole preferite.

Dove c’è guerra c’è morte, dove c’è morte c’è odio, e Dio solo sa quante schiere di creature infernali può attrarre l’odio.
No, Padre Bingen non era lì per l’estrema unzione, per una cosa del genere non avrebbero mandato un esorcista.


11 maggio 1969, valle di A Shau.

Il fumo saliva lento e denso dalla collina arsa, sarebbe morto soffocato, se avesse avuto bisogno di respirare.
Julian storse la bocca, non gli piaceva il napalm gli irritava gli occhi. Un rantolo nella coltre fumosa attrasse la sua attenzione, ce n’era qualcuno ogni tanto, qualche sopravvissuto.

Aveva paura di quei lamenti, sobbalzava sempre, voleva poter fingere di non averli sentiti e allontanarsi. Eppure si ritrovava sempre accanto al soldato morente e al suo sguardo pieno di speranza.
Erano sempre contenti di vederlo, prima di notare le zanne.

Julian aveva paura di quello sguardo che mutava dal sollievo all’orrore.
Era metodico, succhiava il sangue fino alla fine, fino all’ultima goccia, perché non potessero svegliarsi mai più. Gliel’aveva insegnato Shylock, ma lui non c’era in quei momenti, a lui non piaceva la notte.

Shylock non dormiva mai, restava seduto sul suo trono di ossa e attendeva che infuriasse la battaglia, solo allora scendeva in campo.
Una volta soltanto Julian si era nutrito con lui, a Lang Vei. Lui restava sulla linea dello scontro a graziare i soldati in punto di morte, Shylock invece aveva una preda ben precisa.
Si muoveva fra i proiettili e le esplosioni come un fantasma, ogni passo era un sbuffo di fumo che lo inghiottiva per mostrarlo nuovamente qualche metro più avanti.
Passava fra i soldati e fissava ognuno di loro soppesandone l’anima, come se avesse il potere di deciderne la condanna. Infine aveva raggiunto il bunker, all’interno vi era il Comandante Frank C. Willoughby.

Non provò nemmeno pena quando lo vide precipitarsi affannosamente nel cortile della base, Shylock alla sue calcagna con un sorriso infernale sulle labbra di fumo. Julian sapeva che Willoughby non era un martire, il demone sceglieva con inusitata cura le sue vittime.

“Guarda questi corpi straziati” gli aveva detto “Questo è un massacro, la mia è giustizia”.
Shylock aveva un gusto particolare per le anime, gli piaceva che fossero nere, dense come petrolio, e possibilmente macchiate di sangue.

Si muoveva fra quelle eleganti volute di fumo, un suo movimento equivaleva a cinque dei concitati passi del Comandante, poi, forse stufo di quel patetico inseguimento, lo afferrò.
Serrò le dita attorno al braccio di Willoughby, non c’era la minima traccia di soddisfazione, sul suo volta cinereo, mentre l’uomo rovinava a terra con un patetico e flaccido singulto.
Affondo le sue dita adunche nella carne e il Comandante prese a ragliare un verso straziante che gelò l’intero cortile.
Poi Shylock strappò.

Willoughby si dibatteva come un pesce boccheggiante mentre il demone sollevava il suo braccio eradicato dalla sede naturale, alcuni tendini erano ancora tesi, come a volerlo trattenere, e spiccavano perlacei nel tripudio di sangue. Shylock sollevò solo un poco di più l’arto e quelli si recisero con lo stesso rumore di un elastico rotto, e il comandante si afflosciò a terra in preda agli spasmi.
Julian lo fissava rapito, non l’aveva mai visto sfoggiare la sua vera ferocia prima di allora.

Il demone rivoltò il corpo del militare e un sorriso si aprì come un taglio sul suo volto. Un volto di uomo, il primo che Julian gli avesse visto indossare, in quel momento capì che Shylock gli stava lasciando intravedere chi realmente fosse, gli stava lasciando ammirare il vero volto di un demone.

Julian crollò in ginocchio, le sue mani erano quelle di Shylock, le dita che squarciavano la pelle di Willoughby, che afferravano la cassa toracica e l’aprivano come fosse un forziere, e infine si serravano sul suo cuore.
Shylock lo strinse fino a farne piovere fuori tutto il sangue, e Julian con lui.
Fu solo allora che snudò le fauci e col suo morso di fuoco si portò via l’anima nera del Comandante in nome della giustizia.
E Julian mai lo vide così simile a un dio.
Sorprendente come l’ultimo dei diavoli sembrasse un dio, una volta sceso in Terra.


Gabriel Bingen ricordava.
Ce n’erano state di stragi e massacri ad opera di creature infernali, in Vietnam, ma quelle le ricordava con chiarezza.
Corpi straziati da profonde cicatrici, da morsi già rimarginati, talvolta bagni di sangue, carneficine in cui tutto ciò che restava erano arti scomposti e brandelli di carne appesi alle ossa umide.
Non aveva mai capito di chi fossero opera.

Comandanti, colonnelli, caporali, cadevano come mosche, pagavano un tributo troppo elevato per i crimini commessi.
Padre Bingen sapeva che non erano dei santi, ma non poteva permettere che un diavolo potesse credere di fare il mestiere di Dio.
«Sei il Warlord, un folle, un diavolo impazzito che attraversa le guerre e miete vittime corrotte» quasi cadde dallo scranno per la foga con cui abbandonò la cabina.
«Impazzito?» Shylock scostò brutalmente il tendaggio «A volte la verità può far impazzire. Immagini di poter vedere tutte le colpe, tutti i peccati, tutti i delitti che insozzano un’anima. Mi basta soltanto un sguardo».
Per la prima volta in vita sua Padre Gabriel Bingen si sentì vulnerabile.
«Ma perché nutrirti di dannazione quando i demoni cercano la purezza?» non capiva quel diavolo, non capiva cosa vi fosse di strano in lui.
«Per giustizia» il volto di Shylock parve assumere dei contorni più definiti «Un tempo ero un re, un re giusto, severo e talvolta crudele, ma giusto» guardò distante, gli occhi argentei si fecero velati.
«Poi la Terra è cambiata, l’uomo è cambiato. E io sono tornato ad essere soltanto l’ultimo dei diavoli» il suo corpo si faceva sempre più nitido mentre il fumo si dissipava.

«Ero un demone spento, privo di interessi, disilluso, prima di conoscere Julian» con un gesto scacciò le ultime volute di fumo dal viso, aveva il naso dritto e sottile e gli zigomi alti che gli scavavano le guance.
«Lui era giusto, mi ha fatto desiderare di cambiare le cose, mi ha risvegliato» si scrollò di dosso la cenere, indossava delle larghe braghe nere fermate da una pesante cintura d’argento e sulla sua testa spiccava una corona nera e viscida di sangue.
«Era l’ultima cosa buona di questa Terra. Abbiamo portato giustizia per quasi un secolo, durante le guerre battevamo i campi di battaglia alla ricerca di coloro che combattevano soltanto per la brama di sangue. Ora non mi è rimasto niente».

Padre Bingen vide le cicatrici, simmetriche e profonde, che solcavano il suo costato e scendevano sull’addome, vi erano tagli anche sulle braccia, spiccavano rosei sulla sua pelle olivastra.
«Sa, Padre, quante volte ho tentato di andarmene? Quante volte ho tentato di seguirlo? Mi sono pugnalato con armi sacre, mi sono bagnato in acque benedette, ho tentato anche di lasciarmi invecchiare, come fate voi umani; mi sono persino trafitto con la Lancia di Longino. Eppure non mi sono dissolto, persino un’arma tanto potente diventa un comune coltello di fronte al peccato del suicidio. Ci sono andato così vicino, mi mancava così poco… una volta ho sentito persino gli angeli cantare. Dev’essere piaciuta molto, lassù, quella trovata di Gregorio. A me ha sempre fatto schifo, il canto gregoriano» lo guardò fisso, due rivoli di fumo s’innalzavano dalle sue fauci «Sono venuto qui in cerca di un esorcista, Gabriel, ne conosci uno?».

Il prete rimase immobile a fissare la sua corona insanguinata e putrefatta «Tu sei Alaric, colui che regna» mormorò, ricordando quel copricapo sui libri del suo maestro.
Le labbra del demone si sollevarono «Ora che sai il mio nome, fa ciò che devi».


23 novembre 1898, Londra.

Shylock uscì dal pub calcandosi in testa il cappello, il sapore dolciastro del whisky ancora in gola e il puzzo degli ubriaconi ormai irreparabilmente appiccicato alla sua giacca.
Sembrava una sera come tante altre, in quella Londra cupa e grigia. Shylock lanciò ancora un’occhiata di disprezzo alle sue spalle, non finiva mai di stupirsi della straordinaria capacità dell’uomo di cadere sempre più in basso.

Marciava sui boulevard, il cappotto nero lanciato sulle spalle come un mantello di morte, aveva ucciso quella sera. Non per fame, per sdegno, per disgusto della corruzione d’animo, era così tanto che non si sentiva un demone come gli altri.
Galanti gentiluomini infernali l’avevano invitato all’elitaria tavola dei vampiri londinesi, esseri di infima lega, parassiti che vivevano nella lussuria, schiavi delle brame, incurati del grande disegno dell’universo. Non capiva come ci fosse chi li considerava creature degli inferi.

Non era uno che si sporcasse le mani per nulla, aveva ucciso soltanto la loro fonte, colui che li aveva trasformati, affinché morissero tutti, affinché capissero di essere soltanto cadaveri un po’ troppo ostinati.

Si fermò accanto ad un lampione dipinto di un elegante bordeaux, gli piaceva prendere l’autobus, il vapore era così denso che poteva concedersi un attimo di riposo e lasciare che il suo fuoco divampasse alimentando il fumo.
Era tanto che non si trasformava.
Si sedette su una delle logore poltroncine di pelle e prese ad osservare la strada bagnata dalla nebbia. Vi era solo un altro passeggero sull’autobus, un uomo dai capelli rossi, quel rosso carota, quel colore rosso arancio che all’inferno non si era mai visto, lì i capelli rossi erano rossi davvero.
Era pallido e sudato, artigliava spasmodicamente i corrimano di metallo brunito, ci si aggrappava come se volesse alzarsi ma non ci riuscisse.
Con un ultimo sforzo riuscì a sollevarsi per poi rovinare quasi immediatamente a terra.

Shylock avrebbe voluto poter biasimare l’ennesimo alcolista della serata, ma non era questo ciò che aveva di fronte.
Quello era un vampiro, un vampiro che a quel punto avrebbe dovuto essere morto, dal momento che aveva ucciso il suo creatore.
Eppure Julian era sopravvissuto, l’aveva seguito strisciando su quell’autobus. Normalmente si sarebbe vergognato a presentarsi ad una simile entità conciato in quel modo, coperto di sporco, con il volto sfatto dalla fatica e i vestiti a brandelli, ma sapeva che non sarebbe durato a lungo e Shylock gli appariva come l’unica soluzione.

Non aveva torto a pensare che il demone potesse aiutarlo, ma ne aveva alquanto se si era convinto che avesse voglia di farlo.
Shylock pensò dapprima di abbandonarlo ad una morre lenta e atroce, poi pensò che sarebbe stato meglio ucciderlo e occultarne il cadavere, infine cedette.
Il vampiro era ai suoi piedi, lo guardava supplicante. Non doveva essere morto da molto, le cicatrici spiccavano ancora di un rosa livido sulla pelle eburnea, quasi giallognola; erano due squarci profondi, dove le zanne avevano lacerato in profondità, e mezzelune perfette come stilettate dove gli artigli si erano conficcati a immobilizzarlo.
Non doveva essere consenziente.

C’era in terra chi rubava vite e dannava anime, e non era né un diavolo né un dio, questo non poteva sopportarlo.
La rabbia gli fece perdere il controllo, o forse semplicemente non aveva voglia di trattenersi ancora, afferrò in malo modo il vampiro e aprì a forza la porta dell’autobus dileguandosi nella notte.
Julian non ricordava molto della notte in cui era divenuto qualcosa di più di un mostro, l’unica cosa di cui era certo era che quello nella sua gola non era sangue; bruciava e graffiava come se avesse denti e artigli, come se godesse di vita propria. Poi era sorta l’alba, e lui era morto, come ad ogni alba.

Da allora non aveva più dovuto inchinarsi di fronte ai vampiri più antichi, non si era più sentito come se le sue costole si stessero accartocciando ogni volta che incontrava lo sguardo di uno di loro. Era diventato indipendente, almeno dai signori della notte, Shylock, di lui non avrebbe mai potuto liberarsi.


7 giugno 1944, Omaha Beach.

«Cosa vedi, Jul?» chiese il demone. Il vampiro sospirò «Una battaglia… gargantuesca» Shylock scoppiò in una fragorosa risata guadagnandosi una sua occhiata inviperita «È una parola che volevo usare da sempre» si giustificò, probabilmente se non fosse stato un vampiro sarebbe arrossito.
Il demone gli ripulì il sangue dagli angoli della bocca prima di poggiare le labbra sulle sue. Non era mai piacevole baciare Shylock quando era nella sua forma naturale, tutto quel fumo e quel calore insopportabile, Julian si allontanò tossendo e provocando in lui una nuova risata.
Una folata di vento portò via il fumo scoprendo il volto che aveva incontrato quella notte sull’autobus, il volto umano di Shylock.
I capelli neri gli arrivavano fino alla grossa cintura, lisci e ricoperti di fuliggine, sembravano fili di carbone e scurivano ancor di più quelle sue guance scarne sotto gli zigomi prominenti.

Julian lo amava, e centrava poco il fatto che l’avesse salvato, se anche l’avesse ucciso, lì, in quello stesso momento, l’avrebbe amato comunque.

Shylock sorrise «Un giorno, tutto questo finirà, e allora saremo tu e io, e tutto sarà giusto».


«Ora ricordo» per un solo istante Padre Bingen provò rimorso e pena.
«Quel vampiro…» Shylock annuì. «È morto fra le mie braccia» un brontolio sorse dal suo petto, era il rumore del magma che si solidifica e si spezza a contatto con la nuova lava, il suo cuore piangeva lacrime di fuoco e cenere.
«Argento e acqua santa, nemmeno io avrei potuto salvarlo, sono solo un povero diavolo» sorrise come se stesse ringhiando «Quella notte in Vietnam fu lei a portarmi via l’unica mia ragione di esistere, è ora che rammendi alla colpa».
Si tolse la corona «Per venti lunghi anni ho tentato di distruggermi, per venti lunghi anni ho cercato una soluzione. Avrei potuto cercarla subito, ma la rabbia, la sete di vendetta, erano troppo forti, l’avrei uccisa. Ora, sono pronto, Padre».

Regna terrae, cantate Deo,
psallite Domino
qui fertis super caelum
caeli ad Orientem
Ecce dabit voci Suae
vocem virtutis,
tribuite virtutem Deo.
Exorcizamus te, omnis immundus spiritus
omnis satanica potestas, omnis incursio
infernalis adversarii, omnis legio,
omnis congregatio et secta diabolica.
Ergo draco maledicte
et omnis legio diabolica adjuramus te.
Cessa decipere humanas creaturas.
Eisque aeternae Perditionis venenum propinare.
Alaric, ipse qui regnat.

 
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