Third person conditional, Partecipante al contest "Lo slash d'oro"

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MaelstromDawn
view post Posted on 16/6/2013, 16:42




Nick autore: MaelstromDawn
Titolo storia: Third person conditional
Genere: sentimentale, romantico, fluff
Avvertimenti: linguaggio gergale e un po’ volgare, ironia pungente (ok, questo non è un vero avvertimento...), personaggi tendenti al violento (tranquilli, non realizzano)
Breve introduzione: Quindi resto soltanto io, per l’occasione eletto “Robert, psicologo privato”, e gratuito, per giunta.
Ma, per quanto uno si prepari mentalmente alla domanda in arrivo, rimane sempre quell'infido margine di probabilità che si tocchi un tasto dolente e Terence non l’ha soltanto toccato, ci è saltato sopra a piedi uniti, come minimo.
Eventuali note: : note esplicative varie alla fine della storia (così non spoilero ^^). Dunque, ho sempre avuto un grande amore per i balli scolastici americani e finalmente ho potuto realizzare il mio desiderio di scriverci qualcosa. Ho scelto di parlare di un primo bacio che non è un colpo di fulmine né un gesto che cambierà radicalmente la vita dei protagonisti, ma il semplice preludio di un’attrazione che cresce con il tempo e troverà il suo apice solo in futuro, come penso alla fin fine siano i primi baci della maggior parte delle coppie. La storia è costruita su un grosso flashback (il cui inizio e fine sono segnalati dagli ∞) di modo da dare uno sguardo a come tutto è (quasi) cominciato e a come si è evoluto.
Seguito di Wham bam, thank you 'maam, My fuckin', misleading, sexy grinner e A pudding of feelings


Third person conditional




Terence non è mai stato un fratello particolarmente espansivo o che condivida ogni singolo momento della sua vita con noi consanguinei, io però sono sempre stato quello a cui si è ritrovato a porre quelle domande considerate “scomode”; non poteva certo andare da Samuel, che ha la mentalità di un chierico del tredicesimo secolo, o da Andrew, che con i suoi quattordici anni non ha altro interesse che per i suoi modellini di aerei.
Quindi resto soltanto io, per l’occasione eletto “Robert, psicologo privato”, e gratuito, per giunta.

Ma, per quanto uno si prepari mentalmente alla domanda in arrivo, rimane sempre quell'infido margine di probabilità che si tocchi un tasto dolente e Terence non l’ha soltanto toccato, ci è saltato sopra a piedi uniti, come minimo.
«Com'è stato il tuo primo bacio?» domanda a bruciapelo.
Quasi lancio la mia tazza nel lavello della cucina per la sorpresa e mi preparo allo scatto verso la mia camera, al piano di sopra.
«In terza persona condizionale» rispondo lapidario prima di defilarmi.

Perché una così criptica risposta? Beh, è semplice: “avrebbe potuto andare meglio”, terza persona condizionale, appunto.





Nell’immaginario collettivo i balli scolastici hanno sempre un’accezione mistica e da quando è uscito Cinderella Story le ragazze di tutto il mondo sono giunte alla conclusione che, nel 99% dei casi, il principe azzurro si trovi lì.
Da comune studente del secondo anno, in una scuola in cui partecipano alle feste solo quelli del terzo e quarto anno, posso tranquillamente dire che non provo alcun irrefrenabile desiderio di trovare la donna della mia vita nel mezzo di quella bolgia caotica, anzi, dirò di più, non ho nemmeno la benché minima voglia di partecipare!

Verrebbe quindi spontaneo chiedersi cosa io ci faccia fuori dalla porta sul retro della palestra, ad un orario decisamente discutibile, la sera del suddetto ballo e con in mano un vestito così lungo e accollato che soltanto la castissima Luise Jenkins ˗ storica fidanzata di mio fratello Samuel ˗ potrebbe indossare.
La seconda domanda che, conoscendo la mia famiglia, ci si potrebbe porre è: perché, con altri due fratelli a disposizione oltre a quello già in pista, è proprio il più asociale dei Johnson a trovarsi nei pressi del ballo?

La risposta alla prima domanda è che quell’idiota di Samuel e la sua insipida metà hanno dimenticato a casa il vestito per il dopo-festival riservato agli alunni dell’ultimo anno e quella alla seconda che Terence domani avrà un concerto al pianoforte e Andrew ha soltanto undici anni, non può certo vagare da solo di notte.

Detto fatto, è bastato un “Robert, vai. Subito” di mio padre e mi sono ritrovato in rotta verso la Garfield High con il vestito di Luise a carico.

Ero d’accordo con Samuel che ci saremmo trovati sul retro, visto che mi è impossibile entrare, ma di mio fratello non c’è nemmeno l’ombra, non mi resta altro da fare che aspettarlo seduto sui gradini davanti alla porta sperando che nessuna bestia selvatica sbuchi fuori improvvisamente dal bosco che cresce incontrollato dietro la Garfield.
Devo ricordarmi di sottoporre la questione al preside, come membro del consiglio studentesco non posso sorvolare su un tale potenziale pericolo per gli alunni ˗ senza contare tutti i traffici illeciti che sicuramente si tengono in quella boscaglia ˗, farò pesare il buon nome dei Johnson, dopotutto non si può dire di no al figlio del pastore...

Uno schiocco secco seguito da un’imprecazione mi interrompono mentre penso ad un’arringa convincente per il preside Donovan.
Santo cielo, là dentro c’è qualcuno!
Potrei semplicemente ignorarlo e aspettare che si allontani, dopotutto non è affar mio chi sia e che ci faccia lì dentro...

Scorgo una luce bianca attraverso il fogliame, ma non è abbastanza forte per essere una torcia.
«Kil, dove diavolo sei?! Avevi detto “tra dieci minuti sul retro”!».
La luce si ferma per un attimo.
«Cosa? Con Sally Huntington? Ti ha dato di volta il cervello?! E come ci arrivo io a Madrona Beach?».
La luce riprende a muoversi mentre il tizio che sta evidentemente parlando al telefono tace.
«Aah, ‘fanculo, sei uno stronzo...».
La luce scompare improvvisamente, deve aver chiuso il telefono.
«Cazzo» borbotta emergendo dalla boscaglia, a questo punto non mi trattengo «Nessuno ti ha mai insegnato a esprimerti in modo un po’ più forbito? Ammesso che tu sappia cosa significhi...».

Il ragazzo che ho di fronte ha una t-shirt nera senza maniche con sopra il logo di qualche band che non conosco, un tatuaggio spicca sulla spalla sinistra estendendosi fino al gomito e mi sta fissando con la testa inclinata e un sopracciglio sollevato.
Nel mio archivio mentale di volti noti il suo è abbinato al nome Dwane Jester ed è accompagnato da un enorme cartello con su scritto “feccia”.

Quello che ho davanti è niente poco di meno che il Giullare, l’essere che, insieme ai suoi degni compari, passa buona parte delle sue giornate infrangendo regole e infilandosi in tutte le risse di Atlantic.
Dicono che sia un mostro con il coltello a farfalla, ma, francamente, fatico ad associare la faccia da idiota che ha in questo momento ad una qualunque abilità combattiva
In ogni caso, trovarmelo di fronte non è che il degno colpo di scena di una serata che già non era iniziata nel migliore dei modi.

Il Giullare sorride amabilmente facendo il gesto di togliersi il cappello «Chiedo venia, messere. Le mie fosche pupille non scorsero la vostra nobile figura» esclama buttandosi a sedere sul gradino più basso.
Preferirei non si avvicinasse ulteriormente, tanto più che sembra aver bevuto un po’ troppo, a giudicare dagli occhi lucidi, e di certo non vorrei che diventasse più molesto di quanto non sia già di per sé...
Si infila una sigaretta in bocca e osserva con interesse il vestito di Luise che tengo in mano «Bello straccetto, hai intenzione di indossarlo più tardi?» domanda strafottente facendo scattare più volte l’accendino.

Mi impegno ad ignorarlo ostinatamente, ma è evidente che lui non sia propenso a fare lo stesso «Dannazione, questo coso... non è che hai da accendere?».
Lo fisso come se mi avesse appena chiesto se la luna fosse fatta di formaggio, ho come la vaga sensazione che Mr. Jester, qui, non abbia nemmeno la più pallida idea di chi io sia nonostante fossi sul palco alla cerimonia di inizio anno a settembre e nonostante frequentassimo praticamente gli stessi corsi, prima che lui si facesse bocciare. Quindi, oltre ad essere un teppista fissato con i coltelli e indietro di un anno, Dwane Jester ha anche le peggiori capacità mnemoniche che la storia ricordi, altrimenti non avrebbe certo chiesto al figlio del pastore Abraham Johnson, nonché running back della Garfield High, se avesse da accendere.
Probabilmente la mia faccia deve essere stata sufficiente ad esprimere il concetto, perché ritira la sigaretta nel pacchetto e si volta a fissarmi.

Impasse, credo si dica così quando si arriva ad un momento in cui nessuno dice o fa nulla e sembra che il tempo abbia smesso di scorrere, restarci intrappolati è piuttosto imbarazzante, ma il difficile non è tanto viverla, quanto uscirne.
A Dwane Jester non sembra interessare quanto possa mettere in soggezione fissare una persona in questo modo, qualcuno dovrebbe insegnargli a comportarsi in modo normale.
«Che ci fai seduto qui fuori invece di essere lì dentro?» chiede finalmente indicando la porta con il pollice.
«Perché non posso entrare, ovviamente. Sono solo al secondo anno» rispondo sperando che quest’informazione aggiuntiva gli faccia ricordare, anche solo vagamente, il mio nome. Non so perché improvvisamente abbia questa fissa del farmi riconoscere, in fondo che m’importa se il Giullare non è in grado di identificarmi? Anzi, tanto meglio, almeno non potrà dire a nessuno di aver avuto a che fare con me e io non ci perdo in reputazione...
«Basta sapersi imbucare con un po’ di classe» spara come se fosse un gioco da ragazzi appoggiando i gomiti al terzo gradino «E allora che ci fai tu qui fuori se entrare era così semplice?».
Sbuffa ridacchiando divertito «Beh, all’inizio me ne stavo andando, poi però mi hanno lasciato a piedi e alla fine ho incontrato te, la compagnia è migliore di quella che potrei trovare là dentro e allora me ne resto qui» spiega come se stesse dicendo un’ovvietà, ma la cosa è invece decisamente nebulosa, che accidenti ci fa qui uno come lui quando potrebbe essere dentro a provarci con una qualsiasi delle ragazze sulla pista da ballo?

«E oltretutto sei molto più carino di chiunque possa esserci oltre quella porta».

Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva e proromperei in un sonoro “Come?!” se non fossi troppo occupato a liberare la mia laringe a colpi di tosse; riprendo a respirare in maniera accettabile e sto per porre la fatidica domanda quando Jester, che non è rimasto nemmeno un po’ perplesso per il mio quasi strangolamento, salta in piedi come una molla facendomi sobbalzare a mia volta.
«La senti?» domanda particolarmente esaltato mentre dalla festa proviene una canzone che non ho mai ascoltato. Invece di mandarlo a stendere faccio semplicemente di no con la testa, «Ma come “no”?!» prorompe il Giullare «Passi non essere un fan degli Abba, ma almeno Mamma Mia l’avrai visto, no?». Scuoto di nuovo la testa «Mio padre ce l’ha vietato, dice che non è adatto...».

Jester mi guarda come se fossi pazzo «Ma che razza di famiglia hai?» chiede fissandomi con gli occhi sgranati e un sopracciglio sollevato. Stritolo il vestito scattando in piedi pronto a spiegargli le mie ragioni con un numero di decibel che potrebbe sovrastare persino gli amplificatori del ballo, ma lui si volta e fa per allontanarsi.

Sarei rimasto a bocca aperta per quella sua sorta di fuga se non fossi troppo occupato a sorprendermi della sua giravolta improvvisa.
«It was like shooting a sitting duck» comincia a cantare.
«Prego?» domando perplesso, non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo.
«A little small talk, a smile and, baby, I was stuck!» continua a cantare seguendo la canzone del ballo e si inginocchia teatralmente.
«Cosa accidenti stai facendo?!» la situazione sta precipitando verso il baratro dell’imbarazzo supremo e il Giullare non sembra avere la minima intenzione di dare un senso al suo stacchetto musicale.
«I still don’t know what you’ve done with me».
Devo ammettere che se la cava decisamente bene, ma non è questo il punto... cosa diamine dovrei aver fatto di tanto eclatante da meritarmi una serenata in ginocchio?

Dwane Jester allunga un braccio e mi afferra la mano non impegnata a vanificare il perfetto stiraggio del vestito di Luise.
«A grown-up man shouldn’t fall so easily» continua impedendomi di fargli notare che siamo effettivamente coetanei trascinandomi giù dai gradini ed è solo con sommo sforzo muscolare che evito di finirgli addosso, ma il vestito finisce comunque per terra.

“Cosa cavolo hai intenzione di fare, Jester?”.
Oh sì, sarebbe decisamente una domanda che dovrei porre, visto che il Giullare se ne sta semplicemente di fronte a me e indubbiamente troppo vicino. Sta sorridendo come un idiota e da questa distanza posso vedere le fossette sulle sue guance, il leggero diastema fra gli incisivi e il naso arricciato, strizza anche gli occhi, il che gli fa avere nel complesso una faccia da scemo non indifferente.

Mentre medito su cosa potrebbe essere più efficace nell’allontanarlo fra una testata e un montante al plesso solare, l’attenzione del Giullare viene catturata dal telefono che prende a vibrare rumorosamente nella tasca dei suoi jeans. Si allontana di un passo rispondendo alla chiamata «Kil! Chi non muore si risente!» tace per un attimo aggrottando leggermente le sopracciglia «Ho capito, davanti al cancello, sì... sì sto arrivando».
Chiude il telefono e torna a guardarmi serrando le labbra e scrollando le spalle «Devo andare...».
Non che la cosa mi rattristi particolarmente, vista la piega che la situazione stava prendendo...
«Il che è un peccato» aggiunge con un mezzo sorriso «Perché sei proprio carino».
Prima che io possa reagire mi appoggia le mani sulle guance e mezzo secondo dopo la sua bocca è attaccata alla mia, troppo attaccata alla mia.

Santo cielo, sto baciando Dwane Jester. La sera del ballo. Non c’è fine al peggio.

Forse dovrei staccarmelo di dosso con la mia ben nota durezza e fracassargli il naso prima che si mette in testa di averla avuta vinta su Robert Johnson; mi viene dunque spontaneo chiedermi perché mi ritrovi a pensare che la sua bocca sappia di frutta e fumo di sigaretta quando invece dovrei serrare la mascella e cercare di mozzargli la lingua.
Si separa da me dopo aver premuto ancora per un istante le labbra sulle mie e si esibisce in un breve inchino «Arrivederci, messere» esclama mentre sorride arricciando il naso, poi si risolleva e sgattaiola via saltellando come il totale imbecille che è.
Non c’è che dire, a volte il diavolo è un gentiluomo, o un giullare in questo caso...

Rimango lì a fissare l’angolo dietro cui Jester è appena sparito, il vestito di Luise è ancora abbandonato a terra, afflosciato nella sacca di cellophane, e tutto ciò che mi resta da sperare è che Samuel non esca proprio ora e non mi trovi così.





Alla fine mio fratello era arrivato con “solo” tre quarti d’ora di ritardo e Luise non aveva mai chiesto perché il suo vestito avesse più pieghe di uno shar pei. Per tutti quella era rimasta soltanto la sera del ballo, l’ultima festa scolastica prima delle vacanze.
Già, dopotutto nessuno di loro si era ritrovato a baciare Dwane Jester nel giardino sul retro...
La cosa avrebbe potuto avere conseguenze disastrose, se si fosse saputa in giro la mia reputazione sarebbe crollata del tutto e mio padre mi avrebbe come minimo disconosciuto, ma sottovalutavo la memoria del Giullare. Ritornati a scuola, a settembre, era nuovamente all’oscuro di chi io fossi, lui continuava la sua placida vita da teppista navigato e io proseguivo per la mia strada senza curarmi troppo di lui.
Restava il fatto che il mio primo bacio l’avessi dato a Dwane Jester, immonda creatura solita irretire giovani ignari dell’individuo con cui hanno a che fare ogni qual volta se ne senta attratto, la sera del ballo ˗ come ciliegina sulla torta ˗ e che lui se ne sia bellamente dimenticato lasciandomi lì a marcire fra i miei dubbi per ben tre anni prima di ripiombare nella mia vita come una palla di cannone quando ormai pensavo di essere ben lontano dalla Garfield High in cui lui stava facendo l’ultimo anno.
Scoprire che fosse diventato amico di mio fratello Terence è stato uno shock non indifferente, ma nulla in confronto al realizzare che dopo ben tre anni, e pur non ricordandosi assolutamente nulla di quella sera, continuasse ad avere una masochistica attrazione per uno come me, che tende a rispondere a qualsiasi manifestazione d’affetto con un pugno in qualche zona strategica e che ha un padre tremendamente conservatore.

Un sassolino si schianta contro la mia finestra con un colpo secco, gliel’avrò detto almeno un milione di volte di lanciare piano, altrimenti prima o poi finirà per fracassare il vetro.
«Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli!» ulula l’imbecille e non mi resta che precipitarmi a spalancare l’imposta prima che quell’idiota faccia accorrere tutta la famiglia con i suoi starnazzi.
«Ti ha dato di volta il cervello? Piantala di urlare!».
Dwane sorride arricciando il naso, è sorprendente quanto poco sia cambiato ˗ fatta eccezione per le braccia completamente tatuate.
«Chiedo venia, my King. Ero impaziente di vedervi» si scusa con un breve inchino, non ha nemmeno perso quella sua irritante vena teatrale.
Il Giullare, mai soprannome fu più calzante...
Scendo cautamente le scale sperando di non incontrare nessuno dei miei famigliari e mi defilo rapidamente dalla porta sul retro.
Dwane è appeso alla staccionata e il suo volto sorridente sbuca da sopra le assi dipinte di bianco «Buongiorno!» esclama issandosi un po’ più in alto.
«Oh, buongiorno anche a te, il sole splende, gli uccelli cantano e tu, creaturina protozoica, non hai ancora capito che se mio padre ti becca qui sei un idiota morto» lo redarguisco cercando di sembrare autoritario, Dwane dal canto suo si limita ad allargare ancor di più quel suo sorriso da beota e si lascia cadere a terra aspettando che io esca dal giardinetto.
Non faccio nemmeno in tempo a richiudere il cancelletto che me lo ritrovo addosso «Dwane...» lo blocco piazzandogli una mano sulla bocca.
Il Giullare sorride contro il mio palmo prima di tirare fuori la lingua e leccarlo.
«Ma che schifo! Sei peggio di un bambi˗» non faccio in tempo a finire la frase che mi ritrovo la bocca di Dwane sulla mia. Mi appoggia piano le mani sulle guance e mi bacia, sa di fumo di sigaretta come tre anni fa sul retro della scuola.

Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe andata così, che una serie di assurde coincidenze ci avrebbero postati ad oggi, eppure goccia dopo goccia era nato un fiume e passo dopo passo sono certo che andremo lontano.
A ripensarci non mi era dispiaciuto poi così tanto, il mio primo bacio, diciamo che “avrebbe potuto andare peggio”, che è poi sempre terza persona condizionale.


Not yet the end.




Note finali:
-In America le superiori durano solo 4 anni.
-La Garfield High esiste davvero e si trova al confine tra Atlantic e Central Seattle, due distretti di Seattle. Anche Madrona Beach esiste e si trova sul lago Washington a circa 6 minuti in macchina dalla scuola.
-Jester in inglese significa effettivamente giullare
-Dwane apre e chiude il cellulare perché a occhio e croce il flashback è ambientato nel 2008/2009 e andavano parecchio i cellulari che si aprono a conchiglia.
-Il running back è un ruolo del football americano, il RB è quello che riceve i passaggi del quarterback e corre a fare meta, quindi non ha necessariamente (quasi mai a dire il vero) un fisico muscoloso come il resto della squadra.
-Robert non fuma, detesta i teppisti e ha altre limitazioni di carattere morale perché, come dice lui stesso, suo padre è un pastore protestante.
-La canzone cantata da Dwane è Lay all your love on me degli Abba
-La parola stacchetto, nonostante word sia convinto del contrario, esiste.
-Quando si torna al “presente” Robert afferma di aver pensato di essere lontano dalla Garfield High, questo perché effettivamente, dopo tre anni, lui è al college.
-Dwane non si ricordava del babio dato a Robert (e continua a non farlo), non so a voi ma a me è capitato di dimenticare alcuni miei “incontri occasionali” del sabato sera >///<
 
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view post Posted on 17/6/2013, 18:37
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Fantastica *^*
Il caro Giullare, proveniente da pirlandia, è stupendo! Adoro i personaggi così *^* Tutta la storia è bellissima e ben scritta... scrivi ancora su di loro se non l'hai già fatto *^*
 
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K'oa
view post Posted on 16/7/2013, 19:40




Valutazione _Koa_
Voto: 8


Correttezza grammaticale, ortografica e sintattica




Non mi dilungherò su questo punto nel dettaglio, ma come ho già detto anche agli altri, qualcosa la voglio in ogni caso far notare. Inizio con il tranquillizzarti, non ci sono errori madornali.

Ho trovato un numero scritto in cifre, con tanto di simbolo percentuale. Di solito il scrivere o meno i numeri in cifre e non in lettere è a discrezione, ma nel tuo caso forse è consigliabile la seconda versione. L’espressione “nel novantanove per cento dei casi” infatti, è più che altro un modo di dire utilizzato nel linguaggio corrente. Scritto in numeri, a mio parere, non aiuta appieno nella comprensione del significato e crea anche qualche problema di fluidità.

Vorrei anche farti due annotazioni di punteggiatura. Di quella in genere ne parlo in “stile”, ma dato che questi mi sembrano errori oggettivi, te lo faccio notare qui:

Devo ricordarmi di sottoporre la questione al preside, come membro del consiglio studentesco non posso sorvolare su un tale potenziale pericolo per gli alunni ˗senza contare tutti i traffici illeciti che sicuramente si tengono in quellaboscaglia ˗, farò pesare il buon nome dei Johnson, dopotutto non si può dire di no al figlio del pastore...

Utilizzare il trattino per gli incisi è senza dubbio corretto, anche se è un po' giornalistica come impostazione, è una scelta dell'autore che non credo debba essere sindacata (lo utilizzo anch'io, tanto per farti capire); dato che è sostitutivo della virgola però, non ritengo necessario mettere la virgola dopo il trattino come hai fatto nella frase sopra citata:

boscaglia ˗, E dato che si parla di sovrabbondanza... Premetto l'osservazione che ti faccio adesso è una nota puramente stilistica ed è un mio personale parere.Utilizzare il punto esclamativo dopo il punto interrogativo è senza dubbio la forma più corretta, perché in questa maniera la frase ha un'intonazione interrogativa, ma se posso darti un consiglio io eviterei di usarlo:sei?! La trovo una sovrabbonzanza senza una reale utilità. Se la frase è interrogativa, basta il punto di domanda a rendere chiaro il concetto. Non è necessario mettere anche un punto esclamativo. E qui apro una parentesi, tu ne utilizzi davvero molti, un po' troppi. Ti consiglio di rileggere con attenzione e soppesare dove è necessario da dove non lo è. Soprattutto perché, se utilizzato troppo spesso, il punto esclamativo perde di incisività. E magari si corre il rischio di non metterlo dove invece serve.


Stile e lessico

Il tuo stile è molto pulito, estremamente piacevole da leggere. Tuttavia ho riscontrato spesso una punteggiatura che non aiuta nella completa scorrevolezza del testo. Ogni tanto ti perdi in periodi lunghi e privi di punti fermi. So che l’altra giudice che si occupa della parte grammaticale ti ha già fatto notare questo punto, quindi non mi dilungherò a ripeterti le stesse cose che ti ha detto lei. Voglio solo darti un consiglio, perché ci sono passata. Prima mi perdevo nei meandri dell’ipotassi, costruendo frasi senza mai una fine. Poi, quando mi hanno fatto notare l'errore stilistico, ho fatto quello che non si dovrebbe mai fare, ovvero rivoluzionare tutto. Sono passata alle frasi minimal, e a scrivere interi testi composti solo di paratassi. Non fare il mio stesso sbaglio, tu devi solo limare certi aspetti. All’inizio forse non saprai bene da che parte girarti, ma poi con la pratica riuscirai a trovare il tuo equilibrio. Il mio consiglio sono le riletture mirate. Leggere e leggere ancora il testo, cercando di limare questo singolo aspetto. Prova ad utilizzare anche il trucco di leggere a voce alta, sembra una banalità, ma serve davvero.

Ritengo anche che abusi un po’ troppo delle virgolette alte. Alle volte non è necessario rimarcare in questa maniera, una semplice frase magari rigirata, esprime perfettamente un concetto forte. Ricordati, in evenienza, che ti è permesso enfatizzare, ripetendo la parola subito dopo o iniziando le frasi con il “ma” o con la “e”. Nel caso più estremo puoi sempre utilizzare il corsivo, ha lo stesso effetto ed è meno invasivo.

Il lessico invece è davvero molto buono: vario e ben curato. Di tanto in tanto ti perdi in ridondanze, ripetizioni, ma sono cose da poco e comunque nulla che non si possa aggiustare con qualche rilettura in più. C’è solo una cosa su cui vorrei darti un consiglio. Premetto che è un mio punto di vista, ma alle volte punti di vista differenti possono aiutare a migliorare. Un paio di volte hai utilizzato dei termini inglesi “t-shirt” e “Mr”. Nonostante io ami l’inglese, sotto questo aspetto non sono anglofona. L’italiano è una lingua già di per sé piuttosto complessa e offre una vasta gamma di sinonimi. Il mio consiglio in questo senso è di italianizzare dove possibile. Nel caso dei nomi dei luoghi o delle persone, ovviamente no e nemmeno nel caso del ruolo del football che hai citato, perché lì non avrebbe davvero senso. Ma qui bastavano le parole “signore” e “maglietta” e il senso era più che comprensibile.



Coerenza logico-narrativa

La tua trama è piuttosto semplice nel complesso ovvero il protagonista che ricorda il suo primo bacio. Il fatto scatenante il flashback io lo ritengo piuttosto marginale, il cosiddetto “espediente narrativo” in piena regola. Espediente che poteva essere quello che hai utilizzato tu, o magari un'altra cosa, sono fatti a cui non do molta importanza quando leggo un testo.

La cosa importante non è cosa scatena il ricordo del tuo personaggio, ma il fatto che ricordi. E qui veniamo alla parte più importante. Il flashback che viene descritto in maniera eccellente e senza incidenti verbali, senza orrori di consecutio temporum nei quali è facilissimo cadere in storie come la tua. La parte centrale della storia viene narrata in maniera consequenziale e logica e il tutto porta inevitabilmente verso il finale. Il ritorno alla presente dopo il flashback, e quindi la parte che conclude la storia, è raccontata in maniera molto veloce, sembra quasi essere un riassunto di ciò che è avvenuto dopo. Forse non da tutti è apprezzabile, ma mi piace l’intento che volevi dare che mi è sembrato molto cinematografico. Ho avuto la netta sensazione che quello che avevi in mente, fosse uno scorcio del futuro, è una cosa che si vede spesso nelle commedie cinematografiche americane. Insomma, non so se era voluto o meno e se ciò che avevi in mente era questo genere di cosa, piuttosto che un finale frettoloso come potrebbe apparire, ma io ho avuto questa netta sensazione e da parte mia ho davvero apprezzato.


Originalità

Come ho già detto e ripetuto, l’originalità non ritengo possa essere un punto che viene trattato in maniera obiettiva. Perché questo aspetto è labile e varia a seconda di molti fattori che ho già in precedenza espresso, il tutto sta nel far capire che il concetto di "originale" è una visione soggettiva. Premesso questo, ammetto che quando ho saputo il tema che avrebbe avuto la tua shot, ho avuto paura. Perché quando penso alle teenstory/teendrama ambientate nei licei americani, non mi viene certo in mente una bella storia. Anzi, tutt'altro. Gli stessi telefilm americani che toccano questo tema, sono delle storie banali e ripetitive, senza un minimo di seria introspezione psicologica. Ma poi… l’ho letta e me ne sono innamorata! Mai giudicare un libro dalla copertina e niente è mai stato tanto vero. Ciò che ho trovato davvero originale, è il fatto che la storia sia farcita di ironia. Un’ironia ben accetta che rende il tutto più leggero e gradevole. Ritengo che non importi un gran che se la storia è trita e ritrita o se le caratterizzazioni dei personaggi ricordano molto altri personaggi. Il tutto sta nell’abilità dell’autore (questo aspetto lo approfondirò meglio nel prossimo punto, qui non anticipo nulla).

Il finale è di quelli che non ti aspetti. Da come è stata impostata la storia, abbiamo un ricordo del primo bacio con uno che si conosce appena. Nulla di strano, se non scoprissimo alla fine che i due poi si sono messi insieme e che, addirittura, il giullare nemmeno si ricorda d’averlo baciato. Sono tutti pezzi di puzzle che, alla fine, si incastrano alla perfezione e che rendono la conclusione di questa storia molto ben pensata. Finale molto carino e che mantiene l’ironia e la leggerezza della storia.


Caratterizzazione dei personaggi

Qui arriviamo al cardine, al punto cruciale, a ciò che mi ha convinto a darti un otto pieno. Ho trovato i protagonisti eccellenti. Nonostante siano apparentemente standardizzati li ho trovati gestiti come meglio non potevi. Uno è una specie di teppistello tatuato, mentre l’altro è un bravo ragazzo, figlio di un pastore protestante. Buon amico di qualcuno, bravo fratello di qualcun altro, giocatore di footbool… Insomma un bravo ragazzo. Di solito, nelle storie mediocri, in qualunque modo rigiri queste due caratterizzazioni ottieni sempre qualcosa che hai già visto.

Quindi o quello che sembra essere il bravo ragazzo in realtà è cattivo e il cattivo è bravo, oppure sono esattamente quello che sembrano. Ma qui non è così. Già, perché il giullare, è un personaggio più complesso di ciò che appare. Si presenta come uno a cui non interessa molto della scuola, che fa "banda" assieme ai suoi amici, insomma un perdigiorno in piena regola. Uno così, nella caratterizzazione standard di un personaggio, non si interesserebbe mai ad un ragazzo qualunque come è il tuo protagonista. Tutt'altro, spesso si vede come le tue tipologie cozzino tra loro, entrando in conflitto e creando, di fatto, la vera e propria trama. Ma qui è tutto alla rovescia, tutto diverso. Insomma, il giullare canta le canzoni degli Abba e si inchina mentre esclama “my king”? Bacia il protagonista dopo avergli fatto più di un complimento e poi se ne dimentica, ma alla fine si mettono insieme ugualmente? Non è quello che ti aspetti da un tipo così ed è questo che più di tutto il resto mi è piaciuto. Non sembra nemmeno un classico teppistello da bande, ma semplicemente eccentrico.

Dall’altra parte abbiamo il nostro protagonista, protagonista che subisce un po’ gli eventi che gli capitano. Riusciamo ad avere una visione di lui piuttosto completa, anche se soggettiva. Ritengo che la prima persona sia un'arma a doppio taglio, ottieni una buona introspezione se la utilizzi, il che aiuta in una costruzione del personaggio più accurata, ma è una visione soggettiva, voglio dire: tizio racconta quello che gli succede cosa prova... Ma ci fornisce una sua visione di sé, e sappiamo benissimo quanto spesso non si riesca ad essere obiettivi parlando di sé stessi. Comunque, qualcosa si riesce ugualmente ad intuire, specie se si decide di scavare a fondo. Sta andando al ballo della scuola con un vestito in mano, ma non sembra che gli importi davvero di stare lì. Si imbatte in qualcuno di inaspettato e che conosce nemmeno tanto bene e che addirittura lo bacia. Sul momento subisce la cosa in maniera passiva, forse preso dallo stupore (magari per il fatto che è un uomo), ma poi forse capisce che non stava aspettando altro. Ecco, ho avuto proprio l’impressione che fosse uno che non stia aspettando altro che un ragazzo come il giullare. Ha amici e una famiglia che sembrano, da ciò che dice, molto affettuosi. Ma ho la sensazione che lui li subisca, che abbia bisogno di tirarsi fuori mentalmente dal contesto in cui vive ed evadere. Forse è per questo che alla fine si mette insieme al giullare, perché è imprevedibile. Sono due personaggi agli antipodi e che si completano piuttosto bene. È il concetto di coppia che io prediligo, credo molto nel fatto che due persone che caratterialmente sono totalmente opposte, in realtà si completino totalmente. L'unico rammarico è non aver letto di più sulla loro vita di coppia, sarebbe stato interessante approfondire ancora i caratteri dei personaggi.


Attinenza promt/citazione

Altra premessa: io ho una mia idea di "Promt", non penso che debba sempre e per forza essere ispiratore dell'intera storia, ma che possa benissimo far parte di un passaggio all'interno della narrazione. Per questo non ho nulla da dire, la frase è ben inserita all’interno del testo. Fa parte dei pensieri del protagonista e scivola via come se fosse uno di essi, non sembra nemmeno un promt, perché non è forzato.


Gradimento personale

Ho molto apprezzato questa storia, ben scritta, ben pensata, ben strutturata, ben impostata. Utilizzi la prima persona in maniera eccellente, dandoci modo di apprezzare l’ironia del protagonista e facendoci immergere totalmente in quello che è il suo mondo visto dai suoi occhi. Ci sono ancora delle cose da affinare, la punteggiatura e la costruzione delle frasi su tutto, ma sono aspetti sui quali un autore non finisce mai di lavorare. Uno scrittore, anche se amatoriale, non finirà mai e poi mai di combattere con la punteggiatura. Il mio consiglio è mettere in atto una riflessione e se hai bisogno di un parere distaccato, io sono sempre a disposizione.
 
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2 replies since 16/6/2013, 16:42   49 views
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